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22/12/2013
I lavoratori dipendenti e l'Euro
Le politiche di austerity e le cosiddette riforme strutturali non
riducono la forbice tra gli andamenti economici dei paesi dell’eurozona
ma tendono ad accentuarla. Né l’unione bancaria costituisce una
soluzione: anzi, con simili divergenze negli andamenti macroeconomici,
le ristrutturazioni che deriverebbero dall’unione bancaria potrebbero
accentuare il processo di “mezzogiornificazione” dei paesi periferici
dell’eurozona. A queste condizioni l’unione monetaria europea resta
dunque insostenibile. Il problema, come segnalato dal “monito degli economisti”
pubblicato poche settimane fa sul Financial Times, è che esistono
modalità alternative di uscita dell’eurozona. Vi è in primo luogo una
modalità di abbandono della moneta unica definibile “gattopardesca”, di
stampo liberista e liberoscambista, che si limiterebbe ad affidare i
tassi di cambio al gioco erratico delle forze del mercato, che non
metterebbe assolutamente in discussione il mercato unico europeo e che
eviterebbe qualsiasi meccanismo di tutela dei lavoratori subordinati e
dei salari. Ma esiste anche un’altra opzione, definibile statuale e
protezionista: un’alternativa che lega l’uscita dalla moneta unica alla
messa in discussione di alcuni aspetti del mercato unico europeo, che in
tal senso associa l’abbandono dell’euro alle nazionalizzazioni bancarie
e che mira, tra l’altro, a tutelare i lavoratori subordinati e il
potere d’acquisto delle retribuzioni. Allo stato attuale si tratta di
una opzione minoritaria, che tuttavia presenta una interessante
caratteristica politica: chi rassicura i lavoratori dipendenti può
spaccare il sistema del consenso in Italia e creare una maggioranza
anti-euro. Intervento di Emiliano Brancaccio al seminario organizzato
dal gruppo parlamentare del M5S presso il Palazzo dei Gruppi, Camera dei
Deputati.
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