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23/12/2013

La povertà è una condanna con l'aggravante

I tagli di questo governo, come di quelli precedenti e di quelli futuri (Renzi minaccia di essere solo più drastico e con maggiore facilità di menzogna), sono assolutamente univoci: spazzano via diritti e, soprattutto, l'occupazione creata dalla loro esistenza.

Tra i mille “codicilli” della legge di stabilità, ormai in dirittura di approvazione, ce n'è uno esemplarmente odioso: la sostanziale abolizione del “gratuito patrocinio”. Di cosa si tratta? Di una istituzione classicamente “sociale”: se un imputato in una causa penale non ha i soldi per pagarsi l'avvocato difensore provvede (provvedeva) lo Stato. Naturalmente pagando pochissimo l'avvocato, il “minimo della pena”, scusate, della tariffa. Anzi, il 50% in meno. L'effetto pratico di questa istituzione non era un granché per l'imputato povero: gli avvocati che si iscrivono ai ruoli del “gratuito patrocinio”, cioè quelli che si dichiarano disponibili a rendere il servizio, sono in genere quelli appena abilitati, oppure perennemente senza clienti, oppure ancora quelli che per etica o convinzione politica ritengono – come da Costituzione – che ogni imputato vada difeso al meglio delle possibilità. A meno di non avere la fortuna di ritrovarsi assegnato – per sorteggio – un avvocato dell'ultima categoria (i “convinti”), la sorte dell'imputato povero così difeso era già abbastanza segnata. Non bisogna infatti dimenticare che nel sistema penale italiano c'è l'obbligo di avere un avvocarto difensore. Non per “aiutare” l'imputato, ma semplicemente per garantire la “correttezza formale” del processo. Negli anni '70 i prigionieri politici che praticavano la “tattica del processo guerriglia”, ad esempio, revocavano i difensori perché non riconoscevano l'autorità dello Stato e la legittimità del processo; i tribunali rispondevano imponendo dei difensori d'ufficio proprio per garantire la “correttezza legale” di processi già decisi prima d'essere celebrati.

Ad essere precisi, non si tratta ancora dell'abolizione pura e semplice (sarebbe incostituzionale e comunque inficerebbe – come detto – la “correttezza formale” del giudizio), ma “soltanto” della riduzione di un ulteriore 30% dei compensi per i legali. Di fatto, come si dice in gergo, si “scoraggiano” gli avvocati (ma anche gli eventuali consulenti tecnici, ausiliari e “investigatori autorizzati”) dal prestarsi a questo ruolo; in ogni caso li si “invita” a non prestare troppa attenzione nella cura della difesa (più vuoi fare le cose bene, più ci devi spendere tempo; è matematico).

Non è difficile capire cosa accadrà nei tribunali in tutte le cause – la maggior parte – che vedono sul banco degli imputati poveri di qualsiasi nazionalità. Per i migranti, che quasi sempre avrebbero bisogno anche di traduzioni (sia orali che scritte), l'efficacia della difesa verrà sostanzialmente ridotta a zero. Il loro avvocato d'ufficio sarà dunque quel famoso “Massimo Della Pena” di cui si ironizza nelle celle d'attesa, appena fuori dell'aula...
Ma pensate a quanti chilometri di Tav si potranno scavare con quei risparmi...

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