Ieri tre ministri tra i più importanti del governo di Recep Tayyip Erdogan avevano rassegnato le proprie dimissioni dal governo, mettendo in evidenza le forti difficoltà del settore dell’Akp guidato dal premier, che ancora nella giornata di ieri ha realizzato il già annunciato rimpasto di governo, sostituendo ben 10 esponenti dell’esecutivo, compresi i tre dimissionari perché coinvolti direttamente nella maxi operazione contro la corruzione scattata il 17 dicembre scorso e che ha portato a numerosi arresti. Erdogan ha quindi sostituito i ministri dimissionari con Efkan Ala (agli Interni), Nihat Zeybekç (all’Economia) e Idris Gulluce (all’Ambiente) ma ha rimpiazzato anche i titolari di altri dicasteri di peso come quello della Giustizia, dei Trasporti, della Famiglia e degli Affari europei. Quest'ultimo, Egemen Bagis, era stato del resto citato dalla stampa tra le persone coinvolte nella 'tangentopoli' che ha travolto l'esecutivo anche se per il momento non sarebbe indagato dalla magistratura.
Ma il rimpasto di governo di ieri, insieme alla pesante purga che ha colpito la polizia – 500 i dirigenti, gli ufficiali e gli agenti rimossi in una settimana – potrebbero non bastare a salvare il ‘sultano’, contestato dalle piazze e ora assediato dalle inchieste che prendono di mira il vastissimo grado di clientelismo e corruzione che ha rappresentato finora la fortuna di Erdogan permettendone l’ascesa ai massimi livelli del potere in Turchia. Secondo alcune indiscrezioni la magistratura sarebbe infatti sul punto di ordinare una seconda maxiretata e questa volta a finire in manette potrebbero essere i suoi figli e non più solo quelli dei suoi ministri.
Come ai tempi delle grandi manifestazioni popolari della scorsa estate il premier continua ad accusare un non meglio specificato “complotto straniero contro la volontà nazionale” e se l’è anche presa con alcuni ambasciatori stranieri presenti ad Ankara che tramerebbero “contro la grandezza della Turchia”, ma anche in questo caso senza fare nomi. In realtà tutti sanno che dietro gli arresti e le difficoltà che potrebbero minare il futuro politico del ‘sultano’ c’è un pezzo consistente delle classi dirigenti dello stesso partito liberal-islamista spaccato in almeno due correnti, una delle quali capitanata dagli uomini del potente Fethullah Gulen che dagli Stati Uniti prepara il ricambio ai vertici dell’Akp.
Dalla Pennsylvania, dove vive ormai dal 1999 anche se seguitissimo dai suoi seguaci sia in Turchia che negli Stati Uniti, Gulen tuona contro «coloro che non vedono il ladro ma se la prendono con coloro che cercano di prendere il ladro, che non vedono l'omicidio ma diffamano altri accusando persone innocenti», invocando la punizione divina: «che Dio porti il fuoco nelle loro case, bruci le loro abitazioni, spezzi le loro famiglie». Secondo gli analisti la sua confraternita "Hizmet" punterebbe ad indebolire il blocco di potere di Erdogan facendogli perdere le elezioni amministrative a Istanbul e favorendo un aumento dei voti delle opposizioni moderate a scapito dell'Akp, in particolare del Chp (Partito repubblicano del popolo). Nel caso di una doppia sconfitta Erdogan dovrebbe lasciare a qualcun altro la guida del partito di governo.
La faida interna al Partito della Giustizia e del Progresso ha avuto l’effetto di rivitalizzare le proteste popolari che la mancanza di coordinamento delle opposizioni e la pesantissima repressione dei mesi scorsi avevano in parte soffocato. Già nei giorni scorsi a migliaia erano scesi in piazza in tutto il paese, e poi a decine di migliaia domenica scorsa a Kadikoy, quartiere asiatico di Istanbul, chiedendo a gran voce le dimissioni dell’esecutivo e sventolando scatole di scarpe come quelle trovate piene di banconote nei domicili di alcuni dei ‘vip’ arrestati per corruzione. Ieri di nuovo le città turche si sono popolate di dimostrazioni di protesta. Parecchie migliaia di persone sono scese in piazza in diversi quartieri di Istanbul per chiedere le dimissioni del primo ministro. La polizia ha attaccato i dimostranti di nuovo a Kadikoy, come era avvenuto domenica, con lacrimogeni e idranti, ma scontri ci sono stati anche a Besiktas, popolare e combattivo quartiere nella zona europea della metropoli sul Bosforo. Alle fine degli scontri si sono registrati anche alcuni arresti.
Proteste sono state organizzate anche nella capitale, ad Izmir, a Eskisehir, a Kocaeli, a Denizli, Mersin, Mugla e in altre località minori. In molti casi le manifestazioni hanno preso di mira proprio le sedi del partito di governo, rispondendo all’appello di alcuni dei partiti dell’opposizione parlamentare ed extraparlamentare, ma anche di comitati spontanei di quartiere nati dopo la rivolta di Gezi Park dell’estate scorsa.
Per domani alle 19, intanto, un coordinamento di realtà sociali nato l’estate scorsa ai tempi della lotta per la difesa del Gezi Park dalla speculazione edilizia ha convocato una grande manifestazione nella proibitissima Piazza Taksim, con lo slogan "Basta corruzione, repressione e saccheggio".
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