Francia in piena recessione. Dalle colonne de «Les Echos» l’economista Rémy Prud’homme torna a parlare della “follia” di un progetto faraonico in mano a lobbies e politici regionali.
A metà maggio, i dati diffusi da Eurostat, che riguardavano l’economia della zona euro, decretavano senza mezzi termini l’entrata della Francia in recessione dal primo trimestre 2013, dopo quattro trimestri di progressiva erosione del Pil. Le rilevazioni compiute su 20 dei 27 Paesi non erano rosee per nessuno (soltanto Germania, Belgio e Slovacchia assicuravano una tiepida crescita del Pil mentre l’Austria rimaneva stabile) ma la Francia venne definita il “nuovo malato d’Europa”.
Non più tardi di due settimane, i primi di giugno, si poteva leggere su «Le Monde» un servizio allarmante che titolava a piena pagina come fossero ormai oltre 900mila i giovani che in Francia non si davano più la pena di cercare un lavoro. Estate e autunno caldi han quindi visto sfilare per le strade francesi studenti, operai, agricoltori, autotrasportatori, postini, i “berretti rossi” bretoni e tanti altri.
Cresce la disoccupazione mentre il Pil francese continua a scendere.
Il 16 dicembre vengono pubblicati i dati forniti dal Pmi – Purchasing Managers’ Index – che effettua indagini tra i direttori acquisti nel comparto manifatturiero e dei servizi, come rende noto l’agenzia Reuters. E ciò che ne risulta è un’ulteriore contrazione dell’attività del settore privato.
Due giorni dopo, il 18 dicembre, compare tra le colonne dell’autorevole quotidiano di economia e finanza «Les Echos» un editoriale che definisce “il progetto faraonico” della linea ferroviaria ad Alta velocità Torino-Lione “una follia economica”. A dirlo è Rémy Prud’homme, economista, professore emerito di Paris XII e docente al MIT – Massachussetts Institute of Technology –, per anni docente all’Institut d’Urbanisme de Paris.
La Torino-Lione, sostiene Prud’homme, è più costosa del Tunnel della Manica, ovvero dell’intera linea Parigi-Londra, i cui ricavi non coprono né gli investimenti effettuati né il mantenimento; la Torino-Lione non arriverebbe a coprire neanche il 10% dei costi. Le cause sono ormai note: preventivo destinato a salire, traffico stagnante prima, in declino poi. Ma ciò che preoccupa Prud’homme è che il progetto non potrà mai contare su investitori o banche, dovendosi poggiare esclusivamente su denaro pubblico anche se “ci viene detto che l’Unione Europea contribuirà per il 10-15% alla spesa, con soldi nostri. Curiosa istituzione drogata e schizofrenica: da un lato esige che Italia e Francia riducano il debito pubblico e la pressione fiscale, ma dall’altro le incoraggia ad affrontare pesanti, inutili, spese”.
Chi beneficia delle sovvenzioni statali sono sempre gli stessi: le lobbies dei grandi appalti e i politici eletti nelle regioni interessate, Piemonte e Rhône-Alpes.
Ben prima che si cominciasse a parlare seriamente di recessione (agosto 2012), in Francia la Corte dei Conti fu molto critica nei riguardi della linea Torino-Lione, raccomandando “di non accantonare troppo in fretta l’alternativa di migliorare la linea esistente”, che secondo Prud’homme era un modo per dire “Abbandonare il progetto!”
Ma la situazione è cambiata all’ombra dell’Arco di Trionfo, se anche la Sncf (Société Nationale des Chemins de fer Français) sostiene di mala voglia la realizzazione della nuova linea Av, ben cosciente del fatto che le verrà attribuita la responsabilità dell’incremento del debito pubblico; e, d’altro canto, anche il ministero di Economia e Finanza è “fortemente contrario” a incrementare una spesa supplementare di queste proporzioni.
Sarebbe meglio rileggere attentamente, almeno in Francia, quanto il 21 giugno scorso la commissione Mobilité 21 ha deposto nelle mani del governo in tema di investimenti sui trasporti, abbandonare i sogni faraonici e tornare a metter mano alle reti locali.
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