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26/12/2013

Abe provoca la Cina, protesta anche la Corea

Le provocazioni simboliche rivelano sempre un'intenzione molto pratica. Così oggi la visita di Shinzo Abe al santuario di Yasukuni mostra al mondo intero che il Giappone attuale è pronto a lanciarsi nuovamente in avventure militari, rigettando ogni autocritica per quanto fatto contro i vicini nella seconda guerra mondiale e anche prima.

Il santuario di Yasukuni, dove sono custodite le tavole rituali dei criminali di guerra del conflitto 1939-45, è considerato da sempre luogo tabù per i governanti e tutti i principali politici giapponesi. Non visitarlo, infatti, equivale ad ammettere le proprie responsabilità. Un po' come se la Merkel andasse a far visita alla tomba di Hitler o a un cimitero di SS (che, intelligentemente, non sono mai stati costruiti).

Inevitabile la furiosa protesta diplomatica del governo cinese - la principale e più potente vittima dell'imperialismo nipponico nel '900 - . I principali leader del ministero degli Esteri cinese e l'ambasciatore cinese in Giappone hanno avanzato "severe rimostranze" all'ambasciatore giapponese in Cina e ai responsabili del ministero degli Esteri giapponese. Reazioni che erano state ovviamente messe in conto da Abe, che punta decisamente al riarmo del Giappone come elemento coerente con la necessità di "rilanciare l'economia".
La conseguenza non voluta, o forse considerata un "danno collaterale" di dimensioni minori, è stata la reazione della Corea e di tutti gli altri paesi asiatici invasi negli anni '30.

Ma le "soluzioni nazionalistiche" alla crisi sono segnate fin nell'immaginazione come "combattimento per la vita e per la morte". Quando sentite parlare di "competitività", in realtà, state ascoltando un guerrafondaio che inizia ad accumulare armi per la prossima guerra.

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