Il 2013 in Medio Oriente e Nord Africa è stato un anno di grande
complessità politica e di immensi spargimenti di sangue. Una eredità che
peserà sul 2014. Nell'anno che ci volge le spalle ha dominato ancora la
guerra civile siriana con i suoi 120mila morti e che, nella seconda
metà di gennaio, dovrebbe essere affrontata al tavolo della conferenza
di Ginevra II, sponsorizzata da Usa e Russia. La crisi siriana travolge
l'Iraq e rischia di far precipitare il Libano.
In Siria si combattono potenze regionali come Arabia Saudita e Iran e si
contrappongono gli interessi di Washington e Mosca. Lo scontro tra
Riyadh e Tehran, tra musulmani sunniti e sciiti, divampa ogni giorno in
Iraq, finito in una nuova spirale di violenze che ogni giorno fa molte
decine di morti nel disinteresse del mondo. Al Qaeda,
nata come una organizzazione segreta di pochi militanti, ha adottato una
linea più «movimentista» che fa molti proseliti tra i salafiti più
radicali. Torna ad avere una forte presenza in Iraq e si è rapidamente
diffusa in Siria dove ha stabilito alleanze con «formazioni sorelle»
come il Fronte Nusra e il Fronte islamico. Stesso discorso per il Libano
dove bombe e violenze da diversi mesi colpiscono sunniti e sciiti, le
roccaforti del fronte anti-siriano «14 marzo» come quelle dello
schieramento «8 Marzo» dominato da Hezbollah, alleato di Damasco e
sostenuto da Tehran.
Proprio il movimento sciita è nell'occhio
del ciclone. La sua decisione di mandare centinaia, forse migliaia, dei
suoi uomini migliori a combattere in Siria in appoggio all'esercito
governativo, ha ridato fiato alle trombe delle forze libanesi di destra
che chiedono il completo disarmo dei guerriglieri sciiti e che sia
«rimosso» dal vocabolario politico nazionale l'idea di «resistenza
armata».
Il 2014 rischia di rivelarsi subito un anno drammatico
per il Paese dei Cedri: il 16 gennaio si apre presso il Tribunale
Speciale per il Libano il processo contro alcuni militanti di Hezbollah
accusati dalla procura internazionale di aver preso parte all'attentato
del 14 febbraio 2005 in cui rimase ucciso l'ex premier Rafik Hariri,
stretto alleato dell'Arabia Saudita e padre del leader sunnita Saad
Hariri. Per il segretario di Hezbollah, Hassan Nasrallah, il processo
del 16 gennaio è un «complotto internazionale», appoggiato da Usa e
Israele, volto a disarmare la resistenza.
Parlare ancora di «rivoluzione» in atto in Siria contro il regime del
presidente Bashar Assad è fuorviante, serve solo a ingannare l'opinione
pubblica internazionale e a nascondere la realtà sul terreno. Sono
svanite le proteste popolari in nome di diritti e libertà della
primavera del 2011 che dalla città meridionale di Deraa si erano poi
allargate ad altre città, inclusa la capitale Damasco. L'opposizione
politica siriana, raggruppata in maggioranza nella Coalizione Nazionale,
e il suo braccio armato, l'Esercito libero siriano (Els), armato e
finanziato dai governi occidentali e dai petromonarchi, contano sempre
meno e alla conferenza di Ginevra II rischiano di prendere decisioni
impossibili da attuare.
Il neonato Fronte Islamico (sostenuto da
Riyadh), lo Stato islamico in Iraq e nel Levante (al Qaeda) e il Fronte
Nusra non hanno alcuna intenzione diplomatica, piuttosto vogliono
continuare la «guerra santa» contro il regime alawita (sciita) di Assad
che, da parte sua, è convinto di poter riprendere una buona parte dei
territori siriani caduti in mano ai ribelli. Il bagno di sangue perciò
andrà avanti, non solo in Siria ma anche in Iraq dove lo scontro tra gli
alleati di Iran e Arabia Saudita si fa sempre più violento. Potrebbe
essere il destino anche del Libano dove la guerra civile in effetti è
già in atto ma a bassa intensità.
E nel 2013 c'è stato il duro ridimensionamento del movimento dei
Fratelli Musulmani (e del Qatar, suo sponsor regionale) - che solo un
anno fa era in forte ascesa nel Medio Oriente - per effetto del colpo di
stato militare in Egitto, che il 3 luglio ha deposto il presidente
Morsi e il suo governo islamista, e il progressivo sfaldarsi del
consenso di cui ha goduto per anni il premier turco Erdogan, travolto
prima dalle proteste di Gezi Park e poi dalla tangentopoli turca. I
contraccolpi si sono sentiti anche in Tunisia, con le gravi difficoltà
che sta incontrando il partito islamista «en Nahda», e a Gaza dove il
governo di Hamas subisce di nuovo le misure restrittive imposte dalle
nuove autorità del Cairo.
Mentre si è aggravata l'occupazione israeliana dei Territori
palestinesi, con l'espansione senza sosta delle colonie, nonostante la
ripresa del negoziato bilaterale imposto alle parti dal Segretario di
stato Usa, John Kerry. Le tensioni quotidiane non mancano, numerosi gli
uccisi nel 2013, quasi tutti palestinesi. Tra i rari sviluppi positivi
c'è l'accordo preliminare raggiunto dalle potenze occidentali con Tehran
sul programma nucleare iraniano. Tuttavia il percorso verso un'intesa
definitiva è lungo, Israele e Arabia Saudita remano contro l'accordo con
il presidente Rowhani e tengono sotto pressione l'Amministrazione Obama
favorevole, almeno in apparenza, a voltare pagina nelle relazioni con
Tehran e a sotterrare l'ascia di guerra.
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