Inizia in questo modo un articolo del Fatto Quotidiano, datato 31 maggio 2013, ma sono tanti i giornali da cui avrei potuto riportare una citazione simile. Purtroppo ai dati Istat corrisponde come non mai una realtà silenziosa, spesso arresa, invischiata in meccanismi di vecchia data e che la crisi economica che il nostro Paese sta attraversando non ha fatto altro che acuire. Ma dietro questi numeri, queste percentuali, ci sono delle persone in carne ed ossa, ci sono dei volti: giovani laureati con curricula impeccabili che rimangono senza risposta; altri che svolgono lavori spesso sottopagati, ma indispensabili per potersi mantenere. Passioni che restano irrisolte, sospese per l’impossibilità di dedicarcisi, la mancanza di spazi, strumenti, perché sempre meno spazio è dato a cultura e arte, ampiamente sacrificabili per il bene dell’economia del Paese. Situazioni difficili in cui un lavoro distante dal proprio percorso di studi è spesso l’unica strada verso un’indipendenza economica sempre più difficile da conquistare e mantenere. I giovani sono così costretti a rivedersi, a ricostruire l’immagine di sé e del proprio futuro nebuloso, lontano, a reinventarsi, darsi un nuova identità, diversa da quelli che si erano figurati. E allora ci si ricicla, si cercano strade a cui un tempo non si avrebbe mai pensato, si accettano compromessi dolorosi e si tentano percorsi nuovi, che si spera rispondano meglio ai bisogni economici che si hanno, ma che spengono progressivamente le proprie e vere aspirazioni. Si respira l’impossibilità di riconoscere come un traguardo ciò che un tempo era rispettato come tale: la laurea, il conseguimento di un titolo, il compimento di un percorso formativo, artistico. Il riconoscimento dei propri passi verso una meta sognata, desiderata, per cui si sono spesi energie e coraggio, è qualcosa di indispensabile per la vita di qualunque persona: semplicemente, è ciò che permette di avere la forza di fare ogni giorno un passo in più, la motivazione necessaria a progredire. Lo smarrimento derivato dall’impossibilità concreta di arrivare a qualcosa di spendibile in termini del proprio futuro blocca il pensiero, il flusso di desideri e ambizioni che deve essere garantito ad ogni persona di qualsiasi età. Si perde la speranza perché si è privati di molto altro, della possibilità di sognare. Siamo diventati solo dei numeri, percentuali, un fastidioso dato di fatto che sentiamo quasi ogni giorno, come un ritornello di cui sembriamo non capire il senso e la gravità. Non abbiamo una nostra identità, un volto, non abbiamo un’esistenza, ambizioni, sogni: agli occhi dei più siamo solo una notizia scomoda.
Bologna è per definizione una città universitaria, sede del polo universitario più antico d'Europa e da sempre luogo di scambio, crocevia di saperi, arti, culture e ragazzi che raggiungono la città da tutta Italia ed Europa. Ed è proprio dalla famosa università di Bologna, ma non solo, che provengono le storie dei giovani italiani ritratti. Vissuti diversi, ma che hanno tutti un’origine comune: il naturale desiderio di crearsi un futuro conforme alle proprie ambizioni, ai propri saperi e le personali passioni. Una piccola serie, brevi storie, ma che rispecchiano di buon grado una situazione ben più ampia e che ci coinvolge tutti. C’è chi non lavora da tempo, c’è chi ha un paio di lauree conseguite col massimo dei voti, ma è costretto a chiedere i soldi per una birra ai genitori; chi sa già che il suo futuro è all’estero o lontano dal percorso di studi che ha compiuto; chi gli studi li deve interrompere perché hanno perso di credibilità o per trovare un lavoro per pagarseli. Nessuno è indipendente economicamente quanto basta da poter vivere per conto proprio senza l’aiuto dei propri genitori, una risorsa che diventa fondamentale per le vite di chi ha un futuro precario come il nostro. Ogni giorno, però, questa dipendenza è più pesante e si manifesta nel bisogno naturale sempre più acuto di doversi distaccare, di crearsi un percorso proprio e nuovo. Nessuno riflette su cosa voglia dire non avere controllo sul proprio futuro, essere immobilizzati in una rete di compromessi, accettazioni che fanno male, soprattutto rinunce che diventano quotidiane. E nonostante questo i giovani continuano ad essere umiliati da un linguaggio mediatico e politico che questi compromessi, queste rinunce, queste vite non le vede nemmeno: siamo quelli choosy, quelli fannulloni, quelli di cui non ci si preoccupa se non a parole, e con i fatti che stanno a zero. Ci si è dimenticati delle persone, delle loro esistenze, dei loro sogni. Sui nostri futuri si può speculare, si può rischiare, si può perdere tutto. La crisi la stiamo pagando noi quando pensiamo alle nostre ambizioni e siamo consapevoli del fatto che non ci sono dati gli strumenti per costruirle e coltivarle. Immersi nella precarietà che circonda le nostre prospettive future e nell’inattuabilità di qualcosa che naturalmente si crea nell’individuo – per definizione incline a progredire, a costruire, a pensare e guardare avanti, sognando – ci rinchiudiamo nella nostra stanza, fatta di ciò che ci ha dato una forma e ci ha anche modificato nel tempo, in qualche modo cresciuto, sperando che prima o poi le cose migliorino. E che a cambiare non saremo costretti a farlo soltanto noi.
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Buke
Buke compie venticinque anni in agosto e vive per il cinema. E’ venuta in Italia per studiare cinema al Dams di Bologna sei anni fa; dopo la laurea ha potuto prolungare la sua permanenza grazie al tirocinio che ha svolto presso il Kinodromo, un’associazione culturale che riunisce operatori (ma anche semplici appassionati) del settore audiovisivo e che promuove il cinema indipendente, spontaneo e del territorio. La preoccupante situazione lavorativa italiana non le ha dato molte scelte: a luglio scadrà il suo permesso di soggiorno e dovrà tornare in Turchia, il suo paese d’origine.
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Margherita
Margherita è una ragazza marchigiana iscritta alla laurea magistrale di Italianistica, presso l’università di Bologna. Una volta laureata non ha idea di che strada prendere: in Italia, a causa di decenni di politiche irrazionali e ingiuste sulla scuola, è davvero difficile riuscire a entrare nel meccanismo scolastico poter ottenere contratti lavorativi e che non siano precari. La letteratura la circonda ogni giorno e le riempie di vita, anche se qualcuno in Italia dice che di cultura non si vive.
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Alberto
Alberto ha ventisette anni: da tredici pratica Meihuaquan, uno stile di arte marziale cinese, ed è un grande appassionato di fumetti. La sua vicinanza alla cultura orientale l’ha portato ad iscriversi alla magistrale di Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa, dopo essersi laureato alla triennale di scienze della Comunicazione e non aver trovato lavoro. Lo studio del cinese, però, è molto impegnativo e impossibile da conciliare con la preparazione degli altri esami e con la ricerca di un lavoro per coprire almeno in parte la spesa degli studi stessi. A settembre congelerà la sua carriera universitaria e proverà a fare un corso di cinese e a lavorare contemporaneamente. Non mi nasconde la sua preoccupazione: la ricerca di un lavoro dopo la prima laurea è stata fallimentare, perché ora dovrebbe andare meglio?
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Martina e Ginevra
Martina, appassionata di scrittura, si è laureata in scienze della Comunicazione perché voleva perseguire la carriera giornalistica. Purtroppo, considerata la situazione lavorativa in Italia, ma anche le cattive condizioni della libertà di espressione, di parola e della stampa in generale, ha deciso di cambiare percorso e iscriversi alla laurea magistrale di “Lingue per la comunicazione”, dopo un periodo di studio all’estero. Ginevra, sua sorella, ha dovuto abbandonare lo scherma, sport che praticava da anni a livelli agonistici, per l’università. In Italia è molto difficile riuscire a intraprendere entrambi o sopravvivere con lo stipendio ricavato dall’attività sportiva.
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Luca
Luca si è iscritto alla facoltà di Lettere e filosofia di Bologna qualche anno fa. Ne è uscito laureato a 23 anni con il massimo dei voti e frequentando contemporaneamente il Collegio superiore, un ente parallelo all’università che offre borse di studio per merito a chi mantiene una media superiore al 28 e sostiene esami extracurriculari (una decina di persone in tutto vi hanno accesso su circa trecento all’anno che provano il concorso). Subito dopo la laurea, incoronata da una tesi che ha ricevuto dignità di stampa, ha fatto il concorso per entrare in un master in Svizzera che gli avrebbe garantito l’abilitazione a insegnare latino e greco. Svolto il master, il caso, o forse no, ha voluto che non passasse il concorso per insegnare. Il prossimo è fra sette anni. Tornato in Italia sta cercando disperatamente di contattare il ministero per capire se può farsi riconoscere l’abilitazione conseguita in Svizzera. Se, miracolosamente, riuscisse nell’impresa potrebbe iscriversi alle graduatorie in seconda fascia (quelle per gli abilitati) del prossimo anno e sperare in una chiamata. Se così non fosse sarà costretto a iscriversi alla terza fascia (quella dei non abilitati) con pochissime probabilità di essere chiamato anche solo per delle sostituzioni. Ha mandato il suo impeccabile curriculum a tutte le scuole paritarie di Bologna, Messina e molte sparse in tutta Italia. Ha ricevuto un paio di risposte, negative. Le persone che gli vogliono bene stanno cercando di persuaderlo a fare un dottorato di ricerca, ma lui non è convinto e mi dice: “Ha senso fare un dottorato, ora? Con quali risultati? La verità è che io sono stanco di chiedere i soldi ai miei genitori per andare a bere una birra con gli amici. Se potessi fare un corso professionale qualsiasi che mi garantisse un lavoro da mille euro al mese lo farei subito”.
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Serena
Serena, dopo la laurea triennale in Lettere moderne, ha deciso di iscriversi alla magistrale di Pubblicità, Editoria e Creatività d’impresa. Il suo sogno è quello di lavorare in una casa editrice di libri per l’infanzia, in modo tale da far confluire le sue due più grandi passioni: la letteratura e l’illustrazione. E’ convinta che la letteratura per bambini sia molto importante per la loro crescita, anche se purtroppo in Italia nel settore dell’editoria si fa più attenzione al profitto che alla qualità di ciò che si pubblica. Inoltre è, anche per questo, molto difficile rendere visibile il proprio lavoro. Serena mi dice che secondo lei è un problema dell’arte in generale: in Italia, nonostante il suo passato di paese artistico come pochi altri, non c’è spazio per certe attività legate alle arti e alla cultura. Di compromessi se ne sono fatti già tanti… a cos’altro dobbiamo rinunciare ancora?
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Daniek
Daniek ha quasi ventisette anni e ha passato gli ultimi saltando da un lavoretto precario all’altro, senza una seria continuità e provando le occupazioni più disparate. Attualmente è disoccupato.
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Alberto
Alberto ha congelato la sua carriera universitaria a Marzo per dedicarsi a ciò che veramente stimola e muove la sua curiosità: la fotografia. Ha frequentato un corso di Grafica finanziato dalla Regione Emilia-Romagna e ora sta cercando di portare avanti i suoi progetti: quello della fotografia in Italia è un mondo chiuso, saturo e molto competitivo, dove spesso non sono il merito e la qualità ad andare avanti. Per un ragazzo giovane è molto difficile affermarsi e quasi impossibile iniziare una carriera in tal senso senza qualche aiuto esterno. A ottobre dovrà decidere se riprendere gli studi, ma con quale forza? Non ha mai escluso l’idea di insegnare, ma avendo ben nota la situazione lavorativa nella scuola in Italia riprendere la propria strada verso quella direzione perde molto di senso.
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Elena
Elena ha poco più di trent’anni e vive con i suoi genitori in un piccolo paese in provincia di Ferrara. Dopo cinque anni di istituto d’arte ha proseguito laureandosi in Scultura all’accademia delle Belle arti di Venezia. Da quando si è laureata ha cercato lavoro come assistente in botteghe artigianali, come insegnante di laboratorio, ma non ha trovato nulla. Ha curato delle sue mostre, ha fatto qualche lavoro per cercare di mantenersi un minimo, ma senza risultati. Mi spiega che aprire un’attività in proprio è impensabile: troppi ostacoli. Da qualche mese si sta dedicando al cake design e spera di poter trovare qualche sbocco lavorativo in quel settore. Al suo ultimo stipendio, per un inventario, l’impiegato della banca ha cercato di sdrammatizzare: “Mi raccomando, non spenderli tutti!”, le ha detto. Ha ritirato 29 euro.
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Danilo
Danilo compie ventitre anni fra qualche giorno ed è senza lavoro da mesi. Dopo aver preso il diploma come elettricista ed essersi impegnato con costanza facendo uno stage di due anni (di cui uno non pagato), ha fatto qualche mese di esperienza in fabbrica per poi essere assunto a tempo determinato presso la Coop. Dopo una serie di contratti rinnovati di pochi mesi in pochi mesi è stato lasciato a casa. Sono mesi che porta curricula ovunque, ma non riceve risposta. Mi dice che un suo amico a giorni parte per l’Australia e commenta: “Se la situazione non migliora, e credo non migliorerà, una soluzione bisognerà pur trovarla”.
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Luca
Luca è un ragazzo siciliano che davanti all’obbiettivo della macchina fotografica non riesce a non sorridere. Ha lasciato l’università qualche anno fa: studiava Informatica, ma insoddisfatto ha voluto prendere una strada diversa. Un anno fa è partito per Londra, dove si è guadagnato da vivere come cameriere. Ora è tornato in Italia, a Bologna, dove vive ospite da un amico. “Londra non fa per me”, mi dice, “la gente non capisce il mio modo di vivere. Certo che ci penso a quando avrò quarantanni e dovrò sistemarmi in qualche modo, ma ora voglio solo godermi la vita”. Per ora non cerca un lavoro, per ora va bene così.
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Nicola
Nicola è un ragazzo di ventidue anni che fra qualche giorno parte per l’Australia. Un suo amico gli aveva riferito di questa sua intenzione e non ci ha pensato due volte: starà sei mesi all’estero, lavorerà in un ristorante. “Giusto per far qualcosa”, mi dice. E’ disoccupato, con un diploma da ragioniere e perito commerciale. L’ultimo contratto di lavoro gliel’hanno fatto per una settimana, era una sostituzione. Infiniti i curricula senza risposta.
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Francesco
Francesco si è diplomato come restauratore di ceramica e mi dice che il mondo del lavoro, per chi un lavoro ce l’ha, non è serio come ci si aspetta. Non ha mai cercato lavoro nel suo settore perché in declino e perché non abbastanza appassionato. Mi dice che delle agenzie interinali diventi schiavo, sono le uniche che, oltre ad amicizie e parenti, possono trovarti un lavoro. Negli ultimi cinque anni ci sono stati alti e bassi, bei periodi e periodi di vera e propria ansia: come si può andare avanti immersi in questa precarietà? Come costruire qualcosa in futuro? Ora ha un contratto di tre anni di apprendistato in una azienda in cui lavora all’aperto (ci siano 35° o 0°non fa differenza) e che mi dice essere organizzata malissimo, in un ambiente difficile da sopportare. Aspetta la fine dell’estate per cercare qualcos’altro e intanto cerca di imparare l’arte del tatuaggio, sua più grande passione: magari un giorno potrà farlo come lavoro.
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Giovanni
Leggo la storia di Giovanni su un interessantissimo sito che si chiama LaureatiArtigiani e decido di contattarlo. Giovanni si è laureato alla triennale di Lettere Moderne a Bologna, ma poi non ha voluto continuare in quell’ambito. Ha frequentato due master, uno in Development, Innovation and Change (MiDIC) e l’altro in cui ha studiato discipline molto diverse dal suo percorso fino a quel momento, come economia e statistica. Purtroppo me ne parla come qualcosa di essenzialmente inutile: studiare per l’esame, dare l’esame e ritrovarsi punto e a capo. Dopo un tirocinio preso il CISA, Centro per l’Innovazione e la Sostenibilità Ambientale, e l’aumento d’interesse verso le tematiche ambientali, decide di lasciare l’Italia per andare in Olanda a seguire un master di ricerca su questi temi. Prima di partire Giovanni non aveva le idee chiare, non si sentiva capace di fare nulla, sentiva di non ricoprire nessuna figura professionale, nonostante il suo curriculum e le varie esperienze fatte fino a quel momento. “In Olanda ho iniziato a confrontarmi con me stesso e gli altri, impari a responsabilizzarti, a riflettere su te stesso” mi dice, e aggiunge: “dovevo scrivere una relazione su quello che stavo facendo ogni settimana, essere critico, riflettere sul mio lavoro, un approccio che in Italia non esiste”. Dopo aver finito il master ha provato a cercare lavoro in Olanda, ma a parte qualche lavoretto (come postino TNT; per un signore disabile che ha un negozio di candele) non trova nulla: la competitività è altissima, così come i livelli di preparazione di altri giovani come lui. Decide, quindi, anche a causa di una serie di questioni personali, di tornare in Italia. Nonostante il curriculum costruito fino a quel momento non riesce a trovare un lavoro nel suo campo, proponendosi ai Comuni, in Regione e Provincia. Decide di reinventarsi attraverso una passione, quella per il lavoro manuale, che fin da quando era bambino non l’ha mai abbandonato. L’idea era nata nel campus universitario in Olanda dove abitava e decide di riproporsela anche a Bologna: apre un’officina di biciclette, che si chiama Ri.Ciclo. Impara il mestiere grazie a un vecchio amico, dopo averlo tampinato per settimane, il quale accetta di insegnargli l’arte della bicicletta. Ora gestisce l’officina a Bologna e ne è molto soddisfatto.
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Queste immagini sono protette da copyright © Simona Hassan.
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Sono partita da Bologna, ma vorrei raccontare una storia che sia nazionale, che coinvolga i giovani di tutto il nostro paese. Finanziando i miei spostamenti attraverso una campagna crowdfunding, vorrei raccontare con immagini e parole una storia comune, un viaggio che attraversi l’Italia e che componga una trama fatta di tanti racconti, diversi, ma di giovani che hanno gli stessi bisogni, gli stessi desideri e diritti. Parlo dei disoccupati. Parlo dei giovani sognatori che questo bel paese dovrebbero costruirlo, ma a cui hanno sottratto gli strumenti per farlo. Parlo dei precari. Dei compromessi e delle ingiustizie a cui si sono dovuti abbassare tutti quelli che un impiego ce l’hanno, se così si può dire. I (dis)occupati, gli “occupati sì, ma come?”. Parlo di tutto ciò che non viene mai detto, di tutto ciò che viene coperto da un’informazione insensibile, sorda, schiava e disinformante. Vorrei che queste storie fossero contro informatrici, raccontassero una realtà che ogni giorno rischia di morire asfissiata, una verità che quotidianamente viene offesa da pregiudizi, populismi, ingiustizie e false promesse. Vorrei che queste storie potessero, in qualche modo, riscattare i loro protagonisti: noi, gli affamati del nostro tempo e di tutto ciò che ci viene negato.
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