Dopo una giornata trascorsa con i poteri occidentali a definire i
dettagli dell'accordo nucleare tra Iran e 5+1, Teheran ha deciso ieri
sera di sospendere il dialogo come contro-offensiva alla nuova misura
punitiva assunta dall'amministrazione di Washington: gli Stati Uniti
hanno inserito nella lista nera 17 compagnie e individui di tutto il
mondo considerati responsabili di aver aiutato Teheran a aggirare le
sanzioni internazionali.
Tra queste quattro compagnie di Singapore, accusate di aver aiutato la
National Iranian Tanker Company a pagare servizi senza menzionarne la
reale destinazione. Su altre cinque società iraniane pesa invece
l'accusa di aver sostenuto il programma nucleare, fornendo a Teheran
componenti speciali e difficili da costruire e reperire.
"I negoziatori iraniani hanno interrotto il dialogo con il 5+1", ha annunciato ieri sera un membro del team iraniano. L'Iran era stato chiaro: sì al dialogo solo se non saranno prese altre misure punitive.
Questa la precondizione all'accordo stipulato il 24 novembre, con il
quale Teheran si impegnava a sospendere per sei mesi il programma
nucleare, in cambio di 7 miliardi di dollari provenienti
dall'allentamento delle sanzioni (per lo più provenienti dai conti
esteri congelati).
Gli Stati Uniti hanno subito commentato la decisione, affermando che non
si tratta di nuove punizioni, ma di sanzioni prese nell'ambito di
quelle già esistenti. Washington si ritrova così stretto tra le pressioni iraniane e quelle interne:
due giorni fa il segretario di Stato Kerry era stato duramente
criticato sia dai democratici che dai repubblicani che chiedevano nuove
sanzioni contro l'Iran.
Il tentativo statunitense di mettere una toppa, però, non convince il
regime iraniano: il vice ministro degli Esteri, Seyyed Abbas Araqchi, ha
subito criticato l'allargamento della lista nera, considerandolo non
conforme allo spirito dell'accordo firmato a Ginevra. Quello che
Teheran sta cercando di ottenere sono le basi fondamentali alla
rinascita della propria economia interna, soffocata dalle sanzioni
finanziarie degli ultimi anni, che hanno fatto crollare la
produzione di greggio e le conseguenti esportazioni e hanno fatto
impennare il tasso di inflazione. Secondo dati dell'amministrazione di
Washington, dall'inizio del 2012 l'Iran avrebbe perso 80 miliardi di dollari a causa delle sanzioni sul petrolio e altri 100 sono congelati in banche estere.
Certo è che gli Stati Uniti, capofila della ripresa delle relazioni
diplomatiche con il nuovo Iran del presidente Rowhani, si trovano alle
prese con pressioni di ogni tipo, da Israele all'Arabia Saudita, tutti in prima fila nel tentare di fermare il reingresso dell'Iran nella comunità internazionale,
vuoi per ragioni economiche e di leadership politica nella regione,
vuoi per utilizzare la minaccia iraniana a fini di consenso interno.
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