Domani torna in Israele il segretario di Stato Usa, John Kerry, per
tentare di tenere in piedi il negoziato israelo-palestinese ripreso
sotto la sua egida lo scorso luglio, dopo tre anni di stallo. La
trattativa però è ancora al palo e rischia di saltare del tutto dopo la
proposta di Kerry sulla sicurezza israeliana, rigettata dai palestinesi.
"Una cattiva idea, inaccettabile", ha dichiarato Yasser Abed Rabbo,
esponente di spicco dell'Olp, "Queste idee porteranno a un totale
fallimento (del negoziato) perché (Kerry) sta trattando la nostra
questione con molta indifferenza".
Un piano, quello proposto da Kerry ed elaborato dal generale John Allen,
che di fatto autorizzerebbe la presenza militare israeliana nella Valle
del Giordano, che rappresenta un terzo della Cisgiordania occupata, e
quindi farebbe perdurare l'occupazione. Tutto al fine di rassicurare
Israele sulla sua sicurezza, ma favorendo così un'annessione de facto
allo Stato ebraico. D'altronde, la scorsa settimana il viceministro
della Difesa, Danny Danon, aveva escluso la possibilità di smobilitare
colonie e basi militari dalla Valle, aggiungendo che Tel Aviv non
accetterebbe mai la presenza di forze di sicurezza palestinesi ai varchi
di confine con la Giordania.
La Valle è un'area di rilevanza economica e strategica, la zona
più fertile della Palestina storica, con l'unico confine verso l'esterno
e uno degli angoli del cosiddetto triangolo delle risorse idriche
palestinesi. Dal 1967 a oggi la popolazione palestinese è drasticamente
diminuita - da 320.000 abitanti a 57.000, secondo gli attivisti del
Jordan Valley Solidarity (JVS) - a causa delle politiche di Tel Aviv che
in parte l'ha militarizzata installandoci diverse basi militari, in
parte l'ha occupata attraverso gli insediamenti e per un 20 per cento
l'ha resa inaccessibile ai palestinesi dichiarandola riserva naturale,
quindi una zona vincolata in cui non si può edificare né lavorare la
terra.
La proposta di Kerry, ben accolta da Israele, ha messo in crisi il negoziato,
nonostante le dichiarazioni d'intenti del diplomatico statunitense, che
ha affermato di essere impegnato nel raggiungimento di un accordo
"definitivo". Ma l'accordo appare focalizzato sul tema della sicurezza
di Israele, a scapito della sovranità del futuro Stato palestinese.
Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, Kerry sta tentando di
togliere al premier israeliano Benjamin Netanyahu l'argomento dietro cui
si rifugia ogni volta che è esortato a esprimersi sui confini del
futuro Stato palestinese. Si riaprirebbe così anche il dibattito interno
sui confini del 1967 e sul destino delle colonie costruite all'interno
di questi confini.
Ma Kerry starebbe facendo pressione anche sui palestinesi affinché accettino il piano, secondo il quotidiano israeliano Maariv
che ha riferito che potrebbe essere rinviato il rilascio del terzo
gruppo di detenuti palestinesi nelle prigioni israeliane, previsto per
il 29 dicembre. Un'ipotesi che affosserebbe il negoziato, ha avvertito
il ministro dei Detenuti palestinese, Issa Qaraqe. Gli ha fatto eco, il
negoziatore palestinese Saeb Erekat: "Non accettiamo assolutamente alcun rinvio del rilascio del terzo gruppo di prigionieri".
Il secondo gruppo di 26 detenuti è stato liberato il 30 ottobre scorso,
nell'ambito degli accordi raggiunti a luglio in base ai quali saranno
rilasciati dalle carceri israeliane 104 palestinesi. Ma i rilasci
sono stati accompagnati da annunci di nuovi insediamenti ebraici nei
Territori occupati e da luglio nei blitz dell'esercito israeliano in
Cisgiordania sono stati arrestati oltre 1.100 palestinesi, tra cui studenti e attivisti.
Intanto, ieri l'Organizzazione della Cooperazione islamica nella
sua conferenza di apertura ha lanciato un appello alla comunità
internazionale affinché sostenga la nascita di uno Stato palestinese
indipendente.
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