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10/12/2013

Kerry in Israele dopo 'no' dei palestinesi al suo piano

Domani torna in Israele il segretario di Stato Usa, John Kerry, per tentare di tenere in piedi il negoziato israelo-palestinese ripreso sotto la sua egida lo scorso luglio, dopo tre anni di stallo. La trattativa però è ancora al palo e rischia di saltare del tutto dopo la proposta di Kerry sulla sicurezza israeliana, rigettata dai palestinesi. "Una cattiva idea, inaccettabile", ha dichiarato Yasser Abed Rabbo, esponente di spicco dell'Olp, "Queste idee porteranno a un totale fallimento (del negoziato) perché (Kerry) sta trattando la nostra questione con molta indifferenza".

Un piano, quello proposto da Kerry ed elaborato dal generale John Allen, che di fatto autorizzerebbe la presenza militare israeliana nella Valle del Giordano, che rappresenta un terzo della Cisgiordania occupata, e quindi farebbe perdurare l'occupazione. Tutto al fine di rassicurare Israele sulla sua sicurezza, ma favorendo così un'annessione de facto allo Stato ebraico. D'altronde, la scorsa settimana il viceministro della Difesa, Danny Danon, aveva escluso la possibilità di smobilitare colonie e basi militari dalla Valle, aggiungendo che Tel Aviv non accetterebbe mai la presenza di forze di sicurezza palestinesi ai varchi di confine con la Giordania.

La Valle è un'area di rilevanza economica e strategica, la zona più fertile della Palestina storica, con l'unico confine verso l'esterno e uno degli angoli del cosiddetto triangolo delle risorse idriche palestinesi. Dal 1967 a oggi la popolazione palestinese è drasticamente diminuita - da 320.000 abitanti a 57.000, secondo gli attivisti del Jordan Valley Solidarity (JVS) - a causa delle politiche di Tel Aviv che in parte l'ha militarizzata installandoci diverse basi militari, in parte l'ha occupata attraverso gli insediamenti e per un 20 per cento l'ha resa inaccessibile ai palestinesi dichiarandola riserva naturale, quindi una zona vincolata in cui non si può edificare né lavorare la terra.

La proposta di Kerry, ben accolta da Israele, ha messo in crisi il negoziato, nonostante le dichiarazioni d'intenti del diplomatico statunitense, che ha affermato di essere impegnato nel raggiungimento di un accordo "definitivo". Ma l'accordo appare focalizzato sul tema della sicurezza di Israele, a scapito della sovranità del futuro Stato palestinese. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, Kerry sta tentando di togliere al premier israeliano Benjamin Netanyahu l'argomento dietro cui si rifugia ogni volta che è esortato a esprimersi sui confini del futuro Stato palestinese. Si riaprirebbe così anche il dibattito interno sui confini del 1967 e sul destino delle colonie costruite all'interno di questi confini.

Ma Kerry starebbe facendo pressione anche sui palestinesi affinché accettino il piano, secondo il quotidiano israeliano Maariv che ha riferito che potrebbe essere rinviato il rilascio del terzo gruppo di detenuti palestinesi nelle prigioni israeliane, previsto per il 29 dicembre. Un'ipotesi che affosserebbe il negoziato, ha avvertito il ministro dei Detenuti palestinese, Issa Qaraqe. Gli ha fatto eco, il negoziatore palestinese Saeb Erekat: "Non accettiamo assolutamente alcun rinvio del rilascio del terzo gruppo di prigionieri".

Il secondo gruppo di 26 detenuti è stato liberato il 30 ottobre scorso, nell'ambito degli accordi raggiunti a luglio in base ai quali saranno rilasciati dalle carceri israeliane 104 palestinesi. Ma i rilasci sono stati accompagnati da annunci di nuovi insediamenti ebraici nei Territori occupati e da luglio nei blitz dell'esercito israeliano in Cisgiordania sono stati arrestati oltre 1.100 palestinesi, tra cui studenti e attivisti.

Intanto, ieri l'Organizzazione della Cooperazione islamica nella sua conferenza di apertura ha lanciato un appello alla comunità internazionale affinché sostenga la nascita di uno Stato palestinese indipendente.

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