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07/01/2014

Il fascino dell'Unione Europea. Una risposta a Negri e Mezzadra

E’ circolato in questi giorni un intervento di Toni Negri e Sandro Mezzadra sullo scenario politico europeo in previsione delle prossime elezioni continentali. Nelle prime quattro righe si delinea il centro del ragionamento dei due estensori: “Un elevato astensionismo e una significativa affermazione delle forze euroscettiche… non sono buone cose per noi” affermano Negri e Mezzadra.

E’ l’esatto contrario di quello che vive nel pensiero di chiunque oggi lavori ad una ipotesi di rottura del quadro esistente a livello di Unione Europea. Una manifestazione estesa di estraneità (l’astensionismo) e di contrarietà (le forze non omogenee che variamente vengono definite come euroscettiche) non rappresentano esattamente il meglio che si possa ottenere, ma sono la precondizione “oggettiva” su cui bisogna lavorare. E duramente.

Negri e Mezzadra continuano invece a confondere l’Europa con l'Unione Europea. Se lo spazio europeo rappresenta il confine obiettivo e per alcuni versi anche soggettivo dell’azione politica, sociale, sindacale, la seconda rappresenta il soggetto agente e dominante su questo spazio. E’ da tempo che affermiamo che non siano affatto la stessa cosa, anzi che la rottura e la crisi della seconda appare come la minima possibilità di sopravvivenza sociale, democratica e pacifica della prima. Così come – per fare un paragone – nel secolo scorso si poteva essere e sentirsi “italiani” (o spagnoli, tedeschi, ecc) e contemporaneamente battersi contro le classi dominanti e l'imperialismo dei rispettivi Stati-nazione.

Negri e Mezzadra ammettono inoltre che “l’Europa oggi è un’Europa tedesca”. Il che non è affatto un dettaglio. Anche il Nafta (North American Free Trade Area) era “americano” (nel senso statunitense ovviamente), così come lo era il tentativo di trasformarlo in Afta (American Free Trade Area) esteso a tutta l’America Latina. La cosa più importante dell’insurrezione zapatista del capodanno del 1994 – quando il Nafta entrava in vigore – è stata proprio il tentativo di impedire questo progetto. Negli anni successivi, infatti, l’aver impedito la realizzazione dell’Afta e l'aver creato in alternativa l’alleanza dell’Alba tra vari paesi latinoamericani, hanno reso possibile, dopo un secolo di dominio statunitense, che tutte le Americhe non diventassero definitivamente “americane”. Questa rottura del progetto di integrazione imperialista è avvenuta proprio perché tutte le forze progressiste e rivoluzionarie latinoamericane avevano ben chiaro che lo spazio comune di “lotta, sperimentazione e invenzione” era la Nuestra America, in tutta la sua estensione. Esattamente come dovrebbe essere l’Europa e in Europa, per noi che lottiamo in questo quadrante del mondo alle prese con la competizione globale.

Negri e Mezzadra, come un numero crescente di commentatori politici, caldeggiano e salutano la figura di Alexis Tsipras come oggetto di speranza e di “positiva apertura del dibattito a sinistra”. Abbiamo l’impressione che Tsipras il meglio di sé lo abbia già dato e che oggi non sia nelle condizioni di farlo più. Il programma in 40 punti di Syriza, ad esempio, contiene elementi molto importanti e condivisibili, ma ne manca almeno uno: quello fondamentale ossia la rottura e la fuoriuscita dall’Unione Europea e dall’eurozona. Syriza intende infatti: “Esigere dalla Ue un cambiamento nel ruolo della Bce perché finanzi direttamente gli Stati e i programmi di investimento pubblico” (punto 2);  “Sottoporre a referendum vincolanti i trattati e altri accordi rilevanti europei”  (punto 27); “ Chiudere tutte le basi straniere in Grecia e uscire dalla Nato” (punto 40). Dunque, in nessun modo Tsipras e la sua coalizione intendono rompere il quadro sul lato decisivo, quello della permanenza dentro un apparato come l’Unione Europea e l’Eurozona che rappresentano oggi (non ieri) la forma e la sostanza dell’egemonia delle classe dominanti sulle classi sociali subalterne in Europa.

Non vale la pena, per ora, soffermarsi sugli “scippi” e le rivendicazioni di primazia sulla figura di Tsipras come candidato alla presidenza della Commissione Europea. Va registrato però che quello che vediamo in giro sulle prossime elezioni europee somiglia molto da vicino, decisamente troppo, alle schermaglie e alle discussioni che hanno portato alla costruzione di esperienze come Alba, Cambiare Si Può, Rivoluzione Civile… e al loro fallimento. Non fare mai un bilancio di come sono andate le cose dal 2008 a oggi e perseverare sulla medesima strada che ha portato alla crisi e al fallimento… ha qualcosa di più del diabolico.

Negri e Mezzadra sono poi piuttosto ruvidi con le vertenze locali (ci sembra di capire che ce l’abbiano con i No Tav e forse con i No Dal Molin) definite come “grandi esperienze locali” ripiegate su “asfittiche chiusure settarie”. Si può discutere sui limiti di ogni mobilitazione “territoriale” (come di ogni vertenza “settoriale”), ma va rigettata con forza la critica di “settarismo” a esperienze capaci di mettere in gioco intere popolazioni. Soprattutto se Negri e Mezzadra, come scrivono, sono dell'idea che queste esperienze debbano “convergere e moltiplicare la loro potenza locale entro la cornice europea”.

Occorre infine ammettere che l’intero impianto di ragionamento di Negri e Mezzadra resta tutto dentro quell’”europeismo di sinistra” (accettazione di una realtà come “irreversibile”, ma senza alcuna riflessione storica e/o strategica sul cambiamento di quadro conseguente) che è stato un oggettivo fattore di complicità della sinistra... con la propria sconfitta.

Già ai tempi de “L’Impero”, e poi sul referendum in Francia nel 2005 (quando Negri invitava a votare si alla Costituzione Europea, partecipando ad iniziative del Partito Socialista Francese), c’è stata l’occasione per aumentare le distanze nell’analisi e soprattutto nelle conclusioni politiche. La natura imperialista del progetto che ha portato all’Unione Europea, è il fattore che fa la differenza sul piano analitico e nel posizionamento politico. Se si nega questa caratteristica dell’Unione Europea - e dunque la necessità di mettere in crisi tale progetto, favorendone in ogni modo la rottura, la fuoriuscita degli Stati più deboli per giocare la carta dell’integrazione su una ipotesi alternativa, internazionalista e progressista - prima o poi si finisce per “votare i crediti di guerra”. Esattamente come avvenne un secolo fa… In Europa, è sulla natura dei processi, sulle forze lì dominanti e sull’”imperialismo nel XXI Secolo” che si giocano differenze e prospettive.

L’intervento di Negri e Mezzadra.

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