07/02/2014
I ricchi pretendono: "meno tasse per noi, ovunque"
Capire come funziona il mondo è l'unica premessa necessaria per provare a cambiarlo. I “desideri” - tanto cari alla “sinistra esistenzialista” - restano semplici fantasmi, se non mordono la durezza dei fatti.
Traduciamo in volgare. Uno studio dell'Institute for Fiscal Studies, think tank britannico formalmente “indipendente”, spiega che “tassare troppo i ricchi mette in pericolo l'economia”. Fin qui sembra un'affermazione ideologica come tante altre, fatta a favore dei ricchi, naturalmente. Il problema è che in questo caso l'intento appare leggermente diverso. Lo studio, infatti, è rigorosamente “empirico”. Insomma, analizza i comportamenti effettivi delle diverse fasce della popolazione sottoposta a prelievo fiscale, quindi anche come reagiscono a modifiche della legislazione in proposito.
Si parte dai dati, come giusto: l'1 per cento più ricco della Gran Bretagna contribuisce per il 27,5% del totale della tassazione diretta sulle persone fisiche. Si tratta di circa 300.000 individui che dichiarano redditi annuali superiori alle 150.000 sterline, ma che naturalmente contribuiscono alle entrate fiscali anche come “soggetti economici attivi”, movimentando le entrate Iva (che naturalmente lì si chiama in altro modo) e quelle relative alle aziende controllate.
"Affidarsi eccessivamente sui ricchi per la riscossione delle imposte è un rischio per la stabilità delle pubbliche finanze. Nel mondo di oggi c'è più mobilità di un tempo. Chi guadagna molto potrebbe decidere di emigrare in un altro paese con migliori condizioni fiscali, oppure trovare metodi per ridurre le proprie tasse o semplicemente subire un declino dei propri guadagni".
È la sindrome Electrolux applicata al fisco. Nel mondo “aperto” del mercato globale i possidenti – al pari delle industrie “pesanti” o delle società finanziarie – possono andare dove vogliono. Anche i poveri possono farlo naturalmente, ma “a remi”, come immigrati destinati per lungo tempo a restare – nel nuovo paese – privi dei diritti di cittadinanza. I ricchi al contrario sono ovunque bene accetti e immediatamente “inseriti” nei circuiti decisionali privilegiati.
Si può obiettare che non si tratta di una grande scoperta teorica, ma certamente questa “constatazione empirica” svuota di senso pratico molte delle “proposte programmatiche” avanzate in passato o attualmente dalla “sinistra radical-parlamentare”, tipo quella de “anche i ricchi piangano”. Al di là infatti del “peso politico” che una formazione di sinistra può avere in un eventuale governo di coalizione (o persino di maggioranza, come potrebbe avvenire in Grecia), resta il fatto “empirico” che ove si decida di aumentare le tasse sulla ricchezza – per motivi di sacrosanta equità sociale – i “locupletati” possono fare i bagagli (fiscali) in qualsiasi momento. Guardate la Fiat, per farvi un'idea ricordando che un individuo ci mette assai meno tempo a cambiare aria di un'industria manifatturiera...
Il potere di ricatto sui governi e le loro politiche fiscali è dunque direttamente proporzionale alla forza patrimoniale. E oggi viene detto senza infingimenti, fuori dai denti. Le “regole della democrazia”, insomma, vanno ovunque subordinate agli interessi delle figure sociali “eminenti”. Una delle chiavi della “competitività” di un paese diventa insomma la “leggerezza fiscale” nei confronti di queste figure. E siccome vale per qualsiasi paese, l'effetto-domino è il “contenimento delle pretese fiscali” ovunque. Altrimenti se ne vanno dal miglior offerente; anzi, dal minor pretendente.
I Depardieu di tutto il mondo sono già uniti. Contro di noi.
Fonte
Ecco spiegato a chiare e comprensibilissime lettere perché quando si discetta di uscita dall'euro è essenziale mettere sul piatto anche le modalità di uscita (da destra o da sinistra), compresa l'eventuale limitazione della circolazione di capitali se non s'intende consolidare gli interessi sei ricchi...
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