di Tania Careddu
Cinque milioni.
A tanto ammonta il numero degli immigrati in Italia. Che cresce grazie a
loro: di pari passo, infatti, all’aumento degli stranieri che vivono
nel Belpaese, ciò che permette al fenomeno di continuare e allo Stivale a
crescere è l’incidenza delle nascite dei loro bambini. Nel 2012,
infatti, secondo quanto riporta il XXIII Rapporto Immigrazione redatto
da Caritas e Migrantes “Tra crisi e diritti umani”, i nati da genitori
stranieri sono aumentati, raggiungendo quota ottantamila.
Nascono
principalmente da madri romene, marocchine, albanesi e cinesi. Anche
perché, nel corso dell’anno passato, la collettività più densa è proprio
quella romena seguita da quella polacca. Mentre, fra quelle non
comunitarie, primeggiano la popolazione albanese e quella marocchina. A
seguire quella cinese, ucraina, filippina e moldava. Ad accoglierli
soprattutto il Nord Italia, seguito dal Centro, dal Sud e dalle Isole.
Scelgono
la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna e il Lazio. Ma è la provincia
di Prato quella che detiene la percentuale più alta di incidenza sul
totale della popolazione e quella di Roma quella che ne ospita di più. È
però la sistemazione che trovano un alloggio di fortuna, vedi
caravan, container, baracche, garage, soffitte e cantine, che non può
essere considerata un’abitazione.
Perché con la legge Bossi-Fini la perdita del lavoro e la conseguente
condizione di irregolarità, li espone maggiormente al rischio di
rimanere senza casa, soprattutto nelle regioni meridionali. E quando la
casa, invece, ce l’hanno, le condizioni di vivibilità non sono fra le
più decorose: sovraffollamento, perché permette di dividere le spese
d’affitto e delle utenze, anche perché un quarto dei soggetti risulta
incapace di pagare con puntualità.
Ma,
in fondo, sono proprio le famiglie dei migranti quelle che hanno dovuto
fronteggiare la crisi partendo da una evidente posizione di svantaggio.
Rispetto alle famiglie italiane, infatti, l’incidenza della povertà è
più che doppia, il reddito medio dei nuclei famigliari immigrati è solo il 56% di quello degli italiani, più di un terzo delle
famiglie è investito da fenomeni di deprivazione, rispetto al quale, si
legge nel Rapporto, gli interventi di Caritas e Migrantes, sono stati
tesi alla fornitura di viveri e alla messa a disposizione di vestiario.
Non basta: si nota una contrazione della domanda di lavoro riservata
ai lavoratori stranieri, soprattutto fra i capifamiglia, nel settore
dell’industria e delle costruzioni. Regge, fortunatamente, il settore
dei servizi alla persona.
Ed è a causa della vulnerabilità e
della precarietà delle loro condizioni di vita che commettono azioni
criminose, spesso oggetto di strumentalizzazione della politica e dei
media. I reati, commessi per lo più dagli stranieri occupati nella
manovalanza e diretti a procurare un vantaggio economico immediato,
interessano la droga, il patrimonio, quelli contro le persone e la
pubblica amministrazione.
Ma loro sono anche vittime. Basti
pensare al fenomeno della tratta. Oltre all’ambito della prostituzione,
realtà ormai consolidata in Italia, la tratta ha assunto nuove forme,
manifestandosi nell’ambito economico-produttivo, in particolare
nell’agricoltura, nell’edilizia, nelle manifatture, nel lavoro di cura,
nell’accattonaggio forzato e nelle attività illegali.
Sono costretti a condizioni di vita disumane con orari di lavoro
molto lunghi, retribuzioni inferiori a quelle pattuite che avvengono
irregolarmente, obnubilati con promesse che non verranno mai mantenute,
tipo l’ottenimento del permesso di soggiorno, e sottoposti a rapporti
violenti. E i diritti umani fondamentali? Altro che crisi economica.
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