di Michele Paris
La firma a
Shanghai del monumentale accordo di fornitura di gas naturale tra la
Russia e la Cina rappresenta in prospettiva un evento in grado di
scombinare gli equilibri energetici in Asia e non solo, se non
addirittura gli assetti strategici globali emersi al termine della
Guerra Fredda. La partnership sempre più salda tra Mosca e Pechino - in
ambito energetico ma anche economico e militare - costituisce infatti un
serio problema per gli Stati Uniti.
L'accordo mette in discussione la già stentata “svolta” asiatica di
Washington in funzione di contenimento della Cina, sulla quale
dovrebbero basarsi in gran parte i progetti americani per la
conservazione di un ordine mondiale unipolare di fronte all’inesorabile
declino della (ancora per poco) prima potenza economica del pianeta.
Quando
già i media ufficiali d’oltreoceano stavano festeggiando la mancata
firma sul contratto di fornitura di gas al termine del primo giorno
trascorso dal presidente russo Putin in Cina, l’annuncio dell’accordo
raggiunto ha cominciato invece a circolare nella giornata di mercoledì,
mandando senza dubbio un brivido tra gli occupanti delle stanze del
potere di Washington e i think tank americani impegnati a disegnare un
futuro radioso per l’unica presunta superpotenza globale.
Già le
sole dimensioni dell’intesa tra la russa Gazprom e la cinese CNPC (China
National Petroleum Corporation) rivelano l’importanza di quanto
accaduto questa settimana a Shanghai. Come è ormai noto, la Russia
fornirà a partire dal 2018 e per 30 anni qualcosa come 38 miliardi di
metri cubi di gas all’anno alla Cina per un valore complessivo di circa
400 miliardi di dollari.
Ciò ammonta al 20% delle attuali
forniture complessive di gas russo ai paesi europei e ad un aumento di
un quarto delle esportazioni di gas di Mosca al di fuori dell’ex blocco
sovietico. Questi numeri già molto importanti sono destinati però a
salire nel prossimo futuro, visto che un altro aspetto determinante
dell’accordo prevede investimenti per 75 miliardi di dollari nella
costruzione o nell’ammodernamento di gasdotti e altre infrastrutture
energetiche nella sconfinata area di confine tra i due paesi.
Con
le entrate ottenute dal contratto cinese, in particolare, Gazprom potrà
investire 55 miliardi di dollari - gli altri 20 saranno a carico dei
cinesi - in impianti e condutture in Siberia orientale che favoriranno
le esportazioni anche verso altri paesi, inclusi i due principali
alleati americani in Estremo Oriente: Giappone e Corea del Sud.
I
negoziati sul gas tra Cina e Russia erano in corso da un decennio e in
svariate occasioni era sembrata imminente una possibile intesa. Uno dei
punti più spinosi era rappresentato dal costo delle forniture, con
entrambe le parti interessate ad attendere e sfruttare le migliori
condizioni possibili nel momento in cui esse si fossero presentate.
Il
prezzo finale non è stato resto noto ma dovrebbe essere stato fissato
in termini vantaggiosi soprattutto per Pechino. Secondo gli analisti di
RBC Capital Markets, infatti, le condizioni di acquisto stabilite
dovrebbero garantire alla Cina un afflusso sicuro di gas naturale ad un
costo tra il 25% e il 40% inferiore a quanto sborsa oggi per importare
gas liquefatto (LNG) via mare.
Le condizioni di vendita del gas
russo alla Cina potrebbero perciò creare problemi di competitività per
le maggiori multinazionali operanti nell’ambito dell’LNG, così come
finirebbero per essere poco vantaggiosi gli investimenti annunciati in
impianti per l’esportazione di gas liquefatto negli Stati Uniti,
soprattutto se destinato al continente asiatico.
Uno dei vantaggi
per la Russia - oltre a quello economico - è legato invece al fatto che
i due giacimenti in Siberia da cui deriverà il gas diretto in Cina sono
oggi poco sviluppati e senza la sigla di un contratto di queste
dimensioni con Pechino avrebbero avuto poche chances di venire
sfruttati.
L’appetito cinese per le risorse energetiche, inoltre,
dovrebbe continuare a salire vertiginosamente nei prossimi anni e la
Russia potrebbe beneficiarne ulteriormente. Il fabbisogno di gas
naturale della Cina nel 2013 è stato di 170 miliardi di metri cubi e,
secondo le previsioni, salirà a 420 miliardi entro il 2020.
In
ogni caso, l’accelerazione delle trattative e la volontà dei governi di
Mosca e Pechino di far coincidere la firma dell’accordo con l’incontro a
Shanghai tra Putin e il presidente cinese, Xi Jinping, sono state la
conseguenza dei fatti in corso in Ucraina e del desiderio del Cremlino
di rispondere a sanzioni e minacce dell’Europa, impegnata - almeno a
parole - a cercare fonti di approvvigionamento di gas alternative alla
Russia.
Per la Cina, l’importanza della partnership in ambito
energetico con la Russia è rappresentata poi dalla possibilità di
garantirsi forniture certe e di lungo periodo via terra da un paese
confinante e, soprattutto, al di fuori delle rotte presidiate dagli
Stati Uniti. La gran parte delle importazioni cinesi di petrolio e gas
naturale viaggia oggi per mare, cioè nelle acque al largo delle coste
sud-orientali del paese, dove è sempre più fitta la presenza militare
americana, rendendo estremamente seria la minaccia di una interruzione
delle forniture in caso di esplosione di una qualche crisi.
Oltre
a questo rischio, Pechino ha indubbiamente valutato anche quello degli
ostacoli posti spesso proprio dagli USA e dai loro alleati al
mantenimento e all’allargamento dei rapporti energetici con paesi
mediorientali, africani e sudamericani. Infatti, alcune delle maggiori
crisi scoppiate in questi anni riguardano frequentemente paesi che sono o
sono stati importanti fornitori di gas o petrolio per la Cina, come
Iran, Libia, Sudan e Venezuela.
In un quadro più ampio, il
fondamentale accordo russo-cinese sul gas si inserisce a pieno titolo
nei processi in atto da tempo che stanno producendo una trasformazione
verso un mondo multipolare, rafforzando anzi in maniera determinante
questa evoluzione.
La collaborazione a tutto campo tra Mosca e
Pechino - nonostante più di una divergenza di interessi - appare cioè
come l’asse portante di una rete di alleanze, accordi commerciali e
partnership strategiche che vede come protagonisti svariati paesi
emergenti, sempre più svincolati dai legami con gli Stati Uniti e
l’Europa.
Questa
tendenza si è concretizzata in gruppi e organizzazioni varie come i
cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) o
l’eurasiatica Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione (SCO),
vista da molti come possibile futuro contrappeso alla stessa NATO, ma
anche il finora oscuro CICA - un forum intergovernativo per promuovere
la pace, la sicurezza e la stabilità in Asia - che ha fatto da cornice
questa settimana allo storico accordo tra Putin e Xi a Shanghai.
In
questa realtà sta nascendo anche l’ipotesi realmente rivoluzionaria
dell’utilizzo di una nuova moneta, o una serie di monete, per i
pagamenti internazionali alternativa al dollaro, come conferma un dato
del Fondo Monetario Internazionale secondo il quale nell’ultimo decennio
le riserve monetarie “non in dollari” nei mercati emergenti sono salite
del 400%.
Un’evoluzione, insomma, che promette una sempre più
marcata marginalizzazione degli Stati Uniti e la perdita da parte di
questi ultimi dello status di prima potenza economica e militare del
pianeta, quanto meno sul medio o lungo periodo.
Di fronte a
questa minaccia, è facile intuire le motivazioni che stanno dietro ai
tentativi di Washington di rivolgere attenzioni e risorse sempre più
verso l’Asia o la Russia, sia pure facendo aumentare i rischi di un
conflitto rovinoso, come appare chiaro in Ucraina e in Estremo Oriente
con la riesplosione delle contese territoriali tra la Cina e svariati
paesi vicini.
Un’aggressività, quella del governo USA, che potrà
però fare ben poco per fermare un cambiamento, annunciato dalla stretta
di mano di mercoledì tra Putin e Xi, che - sia pure incapace di superare
le contraddizioni del sistema capitalistico - sembra prefigurare un
pianeta nel quale un numero sempre maggiore di paesi, in Asia come in
Africa o in America Latina, vede il proprio futuro non più legato
necessariamente a quello dell’Occidente.
Fonte
Da tenere sempre bene a mente le parole in grassetto, altrimenti, si finisce per affiliarsi al pensiero rossobruno...
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