Si stanno levando molte voci che chiedono le “dimissioni” di Beppe Grillo (ho visto una dichiarazione in questo senso anche di parlamentari del M5s o ex del movimento), anche in questo blog ci sono interventi che vanno in questo senso e qualche autorevole amico me lo ha scritto in una mail privata. Tutti, più o meno, ricordano la frase con cui Grillo diceva che si sarebbe ritirato se non avesse “vinto”. Bene, allora discutiamone.
In primo luogo: dimettersi da cosa? Grillo non ha cariche formali nel M5s, non ne è il segretario. Per cui la richiesta di dimissioni può significare solo che deve smettere di parlare e magari chiudere il suo sito. Mi sembra una richiesta eccessiva, che non si può fare neanche al leader più sconfitto del sistema solare: ma, allora, fatte le dovute proporzioni, uno come Veltroni cosa avrebbe dovuto fare? Per non dire di Paolo Ferrero.
Allora, come prima cosa mi pare sia il caso di “prendere le misure” di questo risultato elettorale. Una sconfitta, l’abbiamo definita dal primo momento e senza giri di parole, ma c’è sconfitta e sconfitta e non tutte le battaglie perse sono Waterloo. Nel nostro caso il bicchiere non è mezzo pieno e mezzo vuoto, ma neppure del tutto vuoto. Diciamo così: è vuoto per i due terzi, ma c’è pur sempre un terzo pieno.
Certamente nessuno degli obiettivi è stato raggiunto (affiancamento o superamento del Pd, conquista di almeno una regione) e non solo non c’è stata alcuna avanzata del M5s oltre il 25%, ma si sono persi circa tre milioni di voti, scendendo al 21%. E questa è la parte “reale” della sconfitta. Poi c’è un “effetto ottico” che la ingigantisce: l’inaspettata e fortissima avanzata del Pd. Non c’è dubbio che questa sia una “vittoria del sistema” che si è compattato intorno ad un partito, ma è una vittoria che va un po’ relativizzata.
In primo luogo perché quel 40% avviene in elezioni dove l’astensionismo è cresciuto di 17 punti in un anno, ma è del tutto presumibile che, come nel passato, la gran parte degli astenuti poi torneranno a votare nelle politiche ed i conti occorrerà rifarli. E mi sembra molto difficile che il Pd mantenga il 40% anche con il rientro degli astenuti delle europee.
In secondo luogo, Renzi ha potuto giovarsi di una straordinaria rendita di posizione: la destra frazionatissima e in forte calo (è passata dai 10 milioni di voti della coalizione dello scorso anno, ai poco più di 8 milioni e mezzo di oggi), il centro montiano e la lista Giannino (che sommavano quasi il 12%) si è polverizzato ed è privo di qualsiasi espressione politica credibile, l’estrema sinistra è in difficoltà (che, infatti, ha ceduto un buon 1,3% della sommatoria di 5,45% di Sel e Rc). Il Pd, di fatto, aveva un unico avversario nel M5s che aveva contro tutti gli altri partiti. E, come abbiamo detto dall’inizio, Renzi ha vinto perché ha limitato al minimo le sue perdite verso l’astensione e gli altri partiti ed ha ingoiato sano sano il centro montiano, aggiungendo qualcosa da Foza Italia e dal M5s. In qualche modo si è ripetuto quanto accadde nel 1976, quando il Pci sembrava dover sorpassare una Dc in crisi: la cosa terrorizzò i moderati che fecero quadrato intorno alla Dc che si riprese e tenne a bada il Pci.
In Italia questo genere di sfide premiano sempre i moderati e conservatori al potere ed il M5s è caduto nella trappola. Quindi, più che vittoria del Pd dovremmo parlare di confluenza del centro montiano nelle sue fila.
Veniamo, invece, al terzo di bicchiere pieno del M5s: in primo luogo, è un movimento giovane che conferma un notevole grado di radicamento elettorale mantenendo i 4/5 della sua originaria percentuale. In secondo luogo, se ha subito la perdita dei circa 3/8 dei suoi elettori, è vero che, nella maggior parte, essi non si sono indirizzati verso altri partiti (direi circa 5-600.000 al Pd e 150-200.00 alla Lega), ma verso l’astensione. Abbiamo detto che l’incremento delle astensioni in questo tipo di elezioni dipende, più che da una disaffezione verso il partito precedentemente votato, da una disaffezione verso le istituzioni europee, per le quali serve poco votare. Questo vale per tutti, anche per il M5s. Il che non annulla certamente la flessione, ma la attenua nel suo significato potenziale.
In terzo luogo, il Movimento mantiene un forte peso nell’elettorato più giovane, il che è sempre un elemento di vantaggio sugli altri, non fosse altro che per ragioni demografiche.
Ma, soprattutto, il trionfo odierno di Renzi non è affatto definitivo ed irreversibile – come si è detto – e la “rendita di posizione” che oggi ha premiato lui, in prospettiva premia il M5s, restato unica opposizione consistente. Il centro (intendendo per esso quello montiano o di Casini) è dissolto, la destra, allo stato dei fatti, è in calo e soprattutto disunita, collocata parecchi punti sotto il Pd, la Lista Tsipras ha avuto un successo di cui ci rallegriamo, ma non ha dimensioni che possano impensierire il Pd ed, in caso di elezioni con l’Italicum, si troverebbe nella situazione di scegliere fra entrare in coalizione con il Pd o il M5s o sparire (per ora mi pare che la soglia dell’8% sia ampiamente fuori della sua portata).
Di fatto il M5s resta l’unico contraltare numericamente credibile al Pd. Tutto questo considerato, mi pare che si possa parlare di una battaglia persa, ma non di una guerra persa. La guerra continua e il M5s resta l’unica forza capace di aprire la strada ad un cambiamento del sistema politico. Che poi ci riesca o no dipenderà dalla sua capacità politica, ma oggi è l’unico ad avere le carte sufficienti per provarci.
Questo, però, implica un immediato cambio di passo: il M5s ha sbagliato soprattutto nel sottovalutare le resistenze ambientali e la reazione del sistema. Insomma: non penserete che le classi dominanti stiano ferme ad aspettare di essere rovesciate? Chiedetevi perché Ferrara festeggia a cocaina o il “Giornale” dedichi il titolo di apertura ai grillini asfaltati, mentre non avrebbero nulla di cui gioire per i propri risultati elettorali. E’ evidente che battere il M5s era l’obbiettivo di tutti, prima ancora che superarsi fra di loro. Il potere non permette di essere sfidato senza reagire.
Il che significa che battere il sistema non è una gita fuori porta o una scaramuccia: è una guerra di lunga durata, nella quale bisogna mettere in conto anche le sconfitte parziali, alle quali occorre reagire serrando le fila e rivedendo tattica e strategia. E qui si vede di che pasta è fatto un movimento e la gente che lo compone.
Il M5s deve tenersi lontano dalle opposte derive della chiusura settaria e del “rompere le righe”. Gli serve una riflessione profonda, senza pregiudizi ma senza autolesionismi, una impennata di orgoglio, ma senza arroccamenti autocelebrativi o giustificazionismi.
In questo quadro, va posta la questione di Grillo e delle sue “dimissioni” (chiamiamole così): servono al M5s? Io credo di no. Se Grillo si ritirasse oggi il M5s non reggerebbe e sarebbe, appunto, il rompete le righe. La coda suonerebbe alle orecchie dei suoi elettori come un “ammainabandiera” ed il riconoscimento pieno di una sconfitta definitiva. Trasformerebbe una battaglia persa in una guerra persa.
Capisco che molti aspettano esattamente questo, ma faccio presente qualche inconveniente di questa scelta. Le strade che si aprirebbero sarebbero solo due: o la ripresa della destra come alternativa al Pd o (se la destra non si riprendesse) oppure l’assenza di qualunque alternativa al Pd che correrebbe da solo. La seconda sarebbe una “democrazia popolare” dell’est Europa di cui nessuno (spero) senta la nostalgia, la prima sarebbe esattamente il contrario di quello che vorremmo per toglierci definitivamente il Caimano dalle scatole, sarebbe la sua ennesima resurrezione. Capisco che questo possa risultare allettante per i berlusconiani, ma per gli altri? In secondo luogo, faccio notare che, nell’ondata eurocritica attuale, il M5s è l’unico che si collochi a sinistra del blocco europeista, anche se ha rapporti con l’Ukip (che, peraltro, non è un gruppo fascistoide come il Fn, Obbik, ecc.). E sinora è proprio il M5s ad aver evitato che la protesta si canalizzasse a destra in Italia. Quanti auspicano la scomparsa del M5s, sono in grado di garantire che questo non finisca per alimentare cose assai meno accettabili?
Dunque, è bene che il M5s resti e riprenda la sua lotta, pur se con aggiustamenti e rettifiche necessari. E se vogliamo che il M5s resti, occorre che Grillo e Casaleggio restino dove sono e continuino ad avere il loro ruolo. E che Grillo continui ad essere il “frontman” del movimento con le sue caratteristiche espressive. A proposito: c’è chi si fa beffe di questa mia frase, chiedendomi se debba continuare ad esprimersi “come uno scaricatore di porto”. Io intendevo dire che essendo un comico abituato alla satira politica continui a far questo, quanto poi agli “scaricatori di porto”, cosa abbiamo contro i portuali? Io ricordo che quelli di Genova, i leggendari camalli, ebbero un ruolo determinante nella caduta di Tambroni, cosa di cui, credo, gli si debba esser grati. Ma capisco che nei salotti e nelle terrazze di un certo livello il bon ton faccia premio sulla militanza democratica.
Tornando al discorso precedente: Grillo e Casaleggio restino dove sono, ma facciano spazio anche ad altri, che il movimento abbia una immagine più ricca e collegiale, dimostri di non essere più solo i suoi due fondatori. E che i grillini mettano da parte gli ottimismi eccessivi: il sistema c’è, è forte e si difende, non ci si facciano illusioni e non si pensi di vivere solo di rendita degli errori degli avversari.
Il M5s deve rafforzare la sua immagine di forza politica propositiva capace di tradurre la sua spinta antisistema in obiettivi parziali, concreti e perseguibili. La strada è ancora lunga e il M5s ha preso una battuta d’arresto, ma non una sconfitta definitiva.
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