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21/05/2014

Golpe alla thailandese

di Mario Lombardo

Un nuovo capitolo dello stallo politico thailandese è stato aggiunto nella primissima mattinata di martedì con l’ingresso diretto nella crisi in corso delle Forze Armate indigene, senza dubbio l’istituzione più potente del paese del sud-est asiatico. In un’apparizione televisiva alle 3 del mattino locali, il comandante Prayuth Chan-ocha ha annunciato l’adozione della legge marziale, prefigurando così un sempre più probabile colpo di Stato, sia pure con modalità ancora da appurare.

La decisione dell’esercito sarebbe stata presa per ristabilire l’ordine pubblico in Thailandia dopo sei mesi di scontri provocati dalle proteste dell’opposizione che continua a chiedere l’installazione di un esecutivo non eletto per mettere in atto una serie di “riforme”, volte sostanzialmente a impedire il ritorno al potere del clan Shinawatra.

L’occasione per dichiarare la legge marziale sembra essere giunta settimana scorsa dopo un attentato contro un gruppo di manifestanti anti-governativi a Bangkok che ha fatto 3 morti. Prayuth ha intimato alle formazioni allineate all’opposizione e a quelle filo-governative (“Camicie rosse”) di non allontanarsi dai siti in cui sono accampate, così da evitare scontri.

Soprattutto, il potente generale thailandese ha tenuto a rassicurare la popolazione che quello in corso non sarebbe un colpo di stato, chiedendo perciò la continuazione delle normali attività di tutti i giorni.

In realtà, la legge marziale consente alle Forze Armate di assumere ampi poteri, tra cui quelli di proibire assemblee pubbliche, perquisire edifici e veicoli privati a piacimento, imporre il coprifuoco, chiudere i media, nonché sottoporre a interrogatorio e arrestare chiunque venga considerato come possibile sospetto.

Inoltre, nonostante la costituzione thailandese preveda la legge marziale, per giustificarne l’implementazione Prayuth nel suo annuncio ha fatto riferimento in maniera inquietante ad una norma del 1914, quando il paese era ancora una monarchia assoluta.

Il governo provvisorio di Bangkok, da parte sua, ha cercato di minimizzare la decisione dei militari, con il ministro della Giustizia ad interim, Chaikasem Nitisiri, impegnato a garantire che l’esecutivo “non ha problemi” con la legge marziale e che continuerà a “governare normalmente il paese”. Tuttavia, l’imposizione della legge marziale non è stata coordinata con le autorità di governo, le quali hanno appreso la notizia solo in seguito all’apparizione televisiva del capo delle Forze Armate.

Un’altra dichiarazione del generale Prayuth, inoltre, ha già sottratto al governo alcune competenze nell’ambito della sicurezza, sciogliendo cioè l’organo del gabinetto deputato a questo incarico (Centro per l’amministrazione della Pace e dell’Ordine), per essere sostituito da un’apposita unità dell’esercito.

Se poi le stazioni televisive hanno ricevuto indicazione di continuare a trasmettere i loro programmi, i militari hanno di fatto chiuso una decina di reti affiliate ai vari partiti politici, mentre a tutti i media è stato fatto divieto di “riportare o distribuire notizie o immagini che possano danneggiare la sicurezza nazionale”.

Malgrado le rassicurazioni, il governo nutre profondi timori per la situazione venutasi a creare nel paese, come confermano le dichiarazioni rilasciate dal primo ministro Niwattumrong Boonsongpaisan. Quest’ultimo - nominato recentemente dopo la rimozione di Yingluck Shinawatra in seguito ad una sentenza politica della Corte Costituzionale che l’ha ritenuta responsabile di abuso di potere - ha chiesto ai militari di rispettare la Costituzione, sostenendo che “qualsiasi operazione venga intrapresa [per ristabilire l’ordine] deve essere pacifica, non violenta e imparziale”.

D’altra parte, visto lo scenario attuale appare difficile credere che l’azione dei militari non rappresenti la preparazione della rimozione definitiva del governo eletto guidato dal partito Pheu Thai. Nelle prossime ore, secondo gli osservatori, risulterà chiaro se le Forze Armate riterranno più opportuno portare a termine un golpe a tutti gli effetti o, più probabilmente, se delegheranno la deposizione dell’esecutivo ai tribunali o al Senato, al centro in questi giorni delle manovre dell’opposizione per forzare la nomina di un nuovo primo ministro.

L’irruzione dei generali sulla scena politica thailandese era comunque ampiamente prevedibile e lo stesso Prayuth da mesi avvertiva che, pur non essendo interessati ad un colpo di stato, i militari sarebbero intervenuti nel caso le violenze nel paese fossero aumentate. La presunta neutralità finora ribadita dalle Forze Armate è però poco credibile, viste le tradizionali simpatie per l’opposizione e il loro allineamento con le altre istituzioni ostili a Thaksin (monarchia, burocrazia statale).

I militari, inoltre, avevano già deposto il premier-miliardario con un colpo di stato nel 2006, mentre nei giorni scorsi non hanno mosso un dito per impedire ai manifestanti anti-governativi di occupare una parte del palazzo del governo dove si trovava il primo ministro ad interim.

Il gabinetto del Pheu Thai si trova così in una posizione sempre più precaria e, probabilmente, con i giorni contati. I tentativi di indire una nuova tornata elettorale per il 20 di luglio dopo il voto di febbraio annullato dalla Corte Costituzionale sembrano essere ormai falliti, con la Commissione Elettorale - anch’essa simpatizzante dell’opposizione - che ha citato i probabili disordini che verrebbero nuovamente causati dalle inevitabili proteste di piazza dell’opposizione.

La crescente campagna anti-governativa è resa possibile anche dall’evidente riluttanza dei leader del Pheu Thai e delle “Camicie rosse” a mobilitare i propri sostenitori, organizzati nel Fronte Unito per la Democrazia contro la Dittatura (UDD). Martedì, infatti, il leader di questa organizzazione, Jatuporn Promphan, si è rifiutato di condannare l’adozione della legge marziale, invitando anzi i propri uomini accampati a Bangkok a collaborare con i militari.

Addirittura, lo stesso Jatuporn si è detto disponibile a negoziare con il leader dell’opposizione di piazza, l’ex vice primo ministro Suthep Thaugsuban, se il generale Prayuth dovesse accettare di ricoprire il ruolo di mediatore.

I vertici dell’UDD nelle scorse settimane avevano più volte minacciato una marcia di milioni di persone sulla capitale nel caso il governo eletto fosse stato deposto con la forza ma il procedere degli eventi verso questa soluzione non ha comunque portato per il momento a nessuna reale mobilitazione.

Il timore del governo e dell’UDD è forse quello che le forze su cui si basano da oltre un decennio i successi del clan Shinawatra, vale a dire le classi più disagiate della Thailandia e quelle tradizionalmente escluse dal potere, possano sfuggire di mano e avanzare richieste di cambiamenti sociali ben più radicali di quelli approvati finora da Thaksin e Yingluck.

In definitiva, in presenza di tensioni sociali esplosive e con una situazione economica sempre più pesante, il governo auspica una soluzione indolore della crisi anche tramite l’intervento dei militari, a patto che questi ultimi non attuino l’ennesimo colpo di stato della storia thailandese.

Sul finire della giornata di martedì, intanto, il governo del premier Niwattumrong ha convocato una riunione di emergenza dell’esecutivo, mentre la Commissione Elettorale ha fatto sapere di avere ricevuto dal gabinetto provvisorio una richiesta per tenere le elezioni il 3 agosto prossimo. La stessa Commissione deciderà mercoledì se accogliere o meno la richiesta.

Tra le reazioni provenienti dall’estero, infine, spicca la mancata condanna delle Forze Armate da parte di Washington, in linea con l’atteggiamento tenuto dall’amministrazione Obama all’indomani delle sentenze anti-democratiche che i tribunali thailandesi hanno recentemente emesso contro l’ex premier Yingluck.

Il Dipartimento di Stato americano si è limitato ad emanare il consueto appello ad evitare atti di violenza, nella speranza che i militari - con cui gli USA vantano una stretta partnership - riescano ad incanalare la crisi in Thailandia verso una soluzione gradita e il meno imbarazzante possibile.

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