di Mario Lombardo
Un nuovo
capitolo dello stallo politico thailandese è stato aggiunto nella
primissima mattinata di martedì con l’ingresso diretto nella crisi in
corso delle Forze Armate indigene, senza dubbio l’istituzione più
potente del paese del sud-est asiatico. In un’apparizione televisiva
alle 3 del mattino locali, il comandante Prayuth Chan-ocha ha annunciato
l’adozione della legge marziale, prefigurando così un sempre più
probabile colpo di Stato, sia pure con modalità ancora da appurare.
La
decisione dell’esercito sarebbe stata presa per ristabilire l’ordine
pubblico in Thailandia dopo sei mesi di scontri provocati dalle proteste
dell’opposizione che continua a chiedere l’installazione di un
esecutivo non eletto per mettere in atto una serie di “riforme”, volte
sostanzialmente a impedire il ritorno al potere del clan Shinawatra.
L’occasione
per dichiarare la legge marziale sembra essere giunta settimana scorsa
dopo un attentato contro un gruppo di manifestanti anti-governativi a
Bangkok che ha fatto 3 morti. Prayuth ha intimato alle formazioni
allineate all’opposizione e a quelle filo-governative (“Camicie rosse”)
di non allontanarsi dai siti in cui sono accampate, così da evitare
scontri.
Soprattutto, il potente generale thailandese ha tenuto a
rassicurare la popolazione che quello in corso non sarebbe un colpo di
stato, chiedendo perciò la continuazione delle normali attività di tutti
i giorni.
In realtà, la legge marziale consente alle Forze
Armate di assumere ampi poteri, tra cui quelli di proibire assemblee
pubbliche, perquisire edifici e veicoli privati a piacimento, imporre il
coprifuoco, chiudere i media, nonché sottoporre a interrogatorio e
arrestare chiunque venga considerato come possibile sospetto.
Inoltre,
nonostante la costituzione thailandese preveda la legge marziale, per
giustificarne l’implementazione Prayuth nel suo annuncio ha fatto
riferimento in maniera inquietante ad una norma del 1914, quando il
paese era ancora una monarchia assoluta.
Il governo provvisorio
di Bangkok, da parte sua, ha cercato di minimizzare la decisione dei
militari, con il ministro della Giustizia ad interim, Chaikasem
Nitisiri, impegnato a garantire che l’esecutivo “non ha problemi” con la
legge marziale e che continuerà a “governare normalmente il paese”.
Tuttavia, l’imposizione della legge marziale non è stata coordinata con
le autorità di governo, le quali hanno appreso la notizia solo in
seguito all’apparizione televisiva del capo delle Forze Armate.
Un’altra
dichiarazione del generale Prayuth, inoltre, ha già sottratto al
governo alcune competenze nell’ambito della sicurezza, sciogliendo cioè
l’organo del gabinetto deputato a questo incarico (Centro per
l’amministrazione della Pace e dell’Ordine), per essere sostituito da
un’apposita unità dell’esercito.
Se poi le stazioni televisive
hanno ricevuto indicazione di continuare a trasmettere i loro programmi,
i militari hanno di fatto chiuso una decina di reti affiliate ai vari
partiti politici, mentre a tutti i media è stato fatto divieto di
“riportare o distribuire notizie o immagini che possano danneggiare la
sicurezza nazionale”.
Malgrado
le rassicurazioni, il governo nutre profondi timori per la situazione
venutasi a creare nel paese, come confermano le dichiarazioni rilasciate
dal primo ministro Niwattumrong Boonsongpaisan. Quest’ultimo - nominato
recentemente dopo la rimozione di Yingluck Shinawatra in seguito ad una
sentenza politica della Corte Costituzionale che l’ha ritenuta
responsabile di abuso di potere - ha chiesto ai militari di rispettare
la Costituzione, sostenendo che “qualsiasi operazione venga intrapresa
[per ristabilire l’ordine] deve essere pacifica, non violenta e
imparziale”.
D’altra parte, visto lo scenario attuale appare
difficile credere che l’azione dei militari non rappresenti la
preparazione della rimozione definitiva del governo eletto guidato dal
partito Pheu Thai. Nelle prossime ore, secondo gli osservatori,
risulterà chiaro se le Forze Armate riterranno più opportuno portare a
termine un golpe a tutti gli effetti o, più probabilmente, se
delegheranno la deposizione dell’esecutivo ai tribunali o al Senato, al
centro in questi giorni delle manovre dell’opposizione per forzare la
nomina di un nuovo primo ministro.
L’irruzione dei generali sulla
scena politica thailandese era comunque ampiamente prevedibile e lo
stesso Prayuth da mesi avvertiva che, pur non essendo interessati ad un
colpo di stato, i militari sarebbero intervenuti nel caso le violenze
nel paese fossero aumentate. La presunta neutralità finora ribadita
dalle Forze Armate è però poco credibile, viste le tradizionali simpatie
per l’opposizione e il loro allineamento con le altre istituzioni
ostili a Thaksin (monarchia, burocrazia statale).
I militari,
inoltre, avevano già deposto il premier-miliardario con un colpo di
stato nel 2006, mentre nei giorni scorsi non hanno mosso un dito per
impedire ai manifestanti anti-governativi di occupare una parte del
palazzo del governo dove si trovava il primo ministro ad interim.
Il
gabinetto del Pheu Thai si trova così in una posizione sempre più
precaria e, probabilmente, con i giorni contati. I tentativi di indire
una nuova tornata elettorale per il 20 di luglio dopo il voto di
febbraio annullato dalla Corte Costituzionale sembrano essere ormai
falliti, con la Commissione Elettorale - anch’essa simpatizzante
dell’opposizione - che ha citato i probabili disordini che verrebbero
nuovamente causati dalle inevitabili proteste di piazza
dell’opposizione.
La crescente campagna anti-governativa è resa
possibile anche dall’evidente riluttanza dei leader del Pheu Thai e
delle “Camicie rosse” a mobilitare i propri sostenitori, organizzati nel
Fronte Unito per la Democrazia contro la Dittatura (UDD). Martedì,
infatti, il leader di questa organizzazione, Jatuporn Promphan, si è
rifiutato di condannare l’adozione della legge marziale, invitando anzi i
propri uomini accampati a Bangkok a collaborare con i militari.
Addirittura,
lo stesso Jatuporn si è detto disponibile a negoziare con il leader
dell’opposizione di piazza, l’ex vice primo ministro Suthep Thaugsuban,
se il generale Prayuth dovesse accettare di ricoprire il ruolo di
mediatore.
I
vertici dell’UDD nelle scorse settimane avevano più volte minacciato
una marcia di milioni di persone sulla capitale nel caso il governo
eletto fosse stato deposto con la forza ma il procedere degli eventi
verso questa soluzione non ha comunque portato per il momento a nessuna
reale mobilitazione.
Il timore del governo e dell’UDD è forse
quello che le forze su cui si basano da oltre un decennio i successi del
clan Shinawatra, vale a dire le classi più disagiate della Thailandia e
quelle tradizionalmente escluse dal potere, possano sfuggire di mano e
avanzare richieste di cambiamenti sociali ben più radicali di quelli
approvati finora da Thaksin e Yingluck.
In definitiva, in
presenza di tensioni sociali esplosive e con una situazione economica
sempre più pesante, il governo auspica una soluzione indolore della
crisi anche tramite l’intervento dei militari, a patto che questi ultimi
non attuino l’ennesimo colpo di stato della storia thailandese.
Sul
finire della giornata di martedì, intanto, il governo del premier
Niwattumrong ha convocato una riunione di emergenza dell’esecutivo,
mentre la Commissione Elettorale ha fatto sapere di avere ricevuto dal
gabinetto provvisorio una richiesta per tenere le elezioni il 3 agosto
prossimo. La stessa Commissione deciderà mercoledì se accogliere o meno
la richiesta.
Tra le reazioni provenienti dall’estero, infine,
spicca la mancata condanna delle Forze Armate da parte di Washington, in
linea con l’atteggiamento tenuto dall’amministrazione Obama
all’indomani delle sentenze anti-democratiche che i tribunali
thailandesi hanno recentemente emesso contro l’ex premier Yingluck.
Il
Dipartimento di Stato americano si è limitato ad emanare il consueto
appello ad evitare atti di violenza, nella speranza che i militari - con
cui gli USA vantano una stretta partnership - riescano ad incanalare la
crisi in Thailandia verso una soluzione gradita e il meno imbarazzante
possibile.
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