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22/05/2014

Ucraina: oligarchi e nazisti contro le Repubbliche Popolari


Si avvicinano le elezioni farsa convocate dalla giunta golpista per decidere chi sarà il nuovo presidente di uno stato che, dopo il colpo di stato di febbraio, ha già perso una parte del suo territorio e consegnato il resto ai voraci appetiti della troika – cioè dell’Unione Europea – e della Nato.

Le elezioni presidenziali, è quasi certo, incoroneranno l’oligarca Petro Poroshenko, quello che tutti chiamano il ‘re del cioccolato’ visto che ha cominciato a costruire il suo enorme impero economico ed editoriale (è padrone di ‘5 Kanal’) a partire da un’industria dolciaria, la Roshen. Nato a Odessa ma cre­sciuto a Vin­ny­tsia, nell’Ucraina centro-occidentale, Poro­shenko è il set­timo uomo più ricco del paese, e negli ultimi decenni ha cambiato bandiera più volte. Alla fine degli anni ’90 si avvi­cinò al Par­tito social­de­mo­cra­tico, for­ma­zione “filo­russa” che soste­neva il pre­si­dente Leo­nid Kuchma, poi nel 2001 ­par­te­cipò alla nascita del Par­tito delle regioni, dalle quale uscì quasi subito per approdare a Ucraina Nostra con Vik­tor Yushenko, leader del campo avversario. Dopo la cosiddetta “rivo­lu­zione aran­cione” (2004) è iniziata la sua scalata al potere: prima Segre­ta­rio del Con­si­glio nazio­nale per la sicu­rezza e la difesa, poi capo della Banca cen­trale (2007–2012) e mini­stro degli esteri, tra il 2009 e il 2010, durante il secondo governo Tymo­shenko, fino alla carica di mini­stro del com­mer­cio nella squadra di Mykola Aza­rov (2012), il premier destituito da Majdan. Ora è il grande favorito per la carica di Presidente della Repubblica, ha fama di moderato e la sua strada è stata spianata dal ritiro dalla competizione dell’ex campione di pugilato e leader dei nazionalisti di Udar, Vitali Kli­tschko, che ha invitato a votare per l’oligarca dietro il quale, denunciano alcuni, ci sarebbe Firtash, un personaggio oscuro che negli ultimi anni ha dominato il settore del gas prima sostenendo Yanukovich e poi scegliendo Kli­tschko, e che attualmente è agli arresti a Vienna con accuse di corruzione.

Ma Poroshenko non è l’unico oligarca ad aver attraversato indenne le ultime vicende ucraine e ad aver rafforzato le proprie posizioni grazie al suo schieramento a favore dei golpisti, ai quali ha garantito sostegno politico, finanziario e mediatico. Il ‘re del cioccolato’ è in buona compagnia, insieme a Yulia Timoshenko e ad altri miliardari che hanno lucrato sulle privatizzazioni del patrimonio pubblico del paese appropriandosene in maniera lecita e illecita e mettendo le mani, direttamente o indirettamente, sul governo sia quando hanno governato i partiti filoccidentali sia durante il periodo del timidamente filorusso Yanukovich.
Ma è sicuramente la scesa in campo a favore dei partiti nazionalisti e di estrema destra di Rinat Akhmetov, l’uomo più ricco del paese, ad aver impresso un’accelerazione agli aventi.
L’oligarca più importante dell’Ucraina non ha solo un’enorme patrimonio economico e finanziario, ma possiede anche il maggiore conglomerato industriale – la Metinvest – del Donbass, cioè la zona orientale del paese che è insorta contro la giunta golpista e ha preso le armi contro i nazionalisti, proclamando recentemente l’indipendenza.
Il fatto che il centro del potere economico di Akhmetov – una sfilza di fonderie e miniere – sia concentrato nel Donbass non è un particolare secondario.
Fino a qualche tempo fa il tycoon sembrava aver adottato una posizione attendista e più o meno imparziale rispetto ai due schieramenti in campo, reduce da un tiepido sostegno al governo Yanukovich. Ma recentemente Akhmetov è sceso in campo con tutta la sua forza a favore della giunta golpista e filoccidentale mobilitando la sua enorme macchina economico-politica contro le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk. Alcune delle sue fabbriche si trovano nelle aree controllate dai ‘separatisti’ che presto potrebbero diventare parte della Federazione Russa. L’oligarca è uscito allo scoperto esplicitamente martedì, quando proprio a Donetsk ha promosso una ‘manifestazione per l’unità nazionale’ nello stadio dello Shakhtar, squadra di calcio di cui è il padrone, così come è padrone di mezza città. A Donetsk e dintorni Akhmetov ha sul libro paga circa 300 mila dipendenti, ai quali ha chiesto di mobilitarsi e attivarsi per sostenere il governo centrale e affinché domenica prossima anche nel Donbass si svolgano le elezioni presidenziali che invece le forze antigolpiste hanno intenzione di boicottare.
Per rafforzare il suo invito Akhmetov ha ordinato alle sue fabbriche di far suonare, a mezzogiorno, le loro sirene mentre nello stadio iniziava la farsa della ‘marcia della pace’ in realtà realizzata con una carovana di strombazzanti automobili e uno sventolio di bandiere gialle e azzurre dell’Ucraina. Le ‘sirene della pace’ le ha chiamate, un segnale per ricordare ai suoi dipendenti e alle loro famiglie chi comanda veramente in città e a chi devono ubbidire, accompagnato da una retorica paternalistica che mette in risalto l’attività di ‘benefattore’ del personaggio. Akhmetov non ha mancato di attaccare frontalmente le Repubbliche Popolari del sud-est del paese accusandole di mettere in pericolo la pace e decine di migliaia di posti di lavoro, oltre che di ‘genocidio’ nei confronti della popolazione locale.
«Cari concittadini – ha detto Akhmetov in tv – oggi gli abitanti di Mariupol volevano organizzare una marcia pacifica, più di 50mila persone solo a Mariupol. In tutto il Donbass, altri milioni sono pronti a unirsi». Per le strade – ha tuonato l’oligarca – girano uomini armati, banditi e saccheggiatori. «È una vita normale? Stiamo parlando di un'economia forte? Di posti di lavoro e salari adeguati? No! Ecco perchè la gente voleva manifestare». Poi, con parole studiate e ad effetto, Akhmetov ha spiega di aver sospeso la marcia dopo aver avuto notizia che qualcuno si preparava ad attaccare i manifestanti. «Ditemi per favore, qualcuno conosce almeno un rappresentante di questa Repubblica popolare? Che cosa hanno fatto per la regione, quanti posti di lavoro hanno creato? Saccheggiare le città e prendere cittadini in ostaggio rientra nella lotta per la felicità della nostra regione? No, è una lotta contro il Donbass. È il genocidio del Donbass!».

Naturalmente il miliardario si è ben guardato dal denunciare le scorribande naziste contro i cittadini delle città assediate dalle forze fedeli ai golpisti di Kiev. Eppure proprio a Mariupol poche settimane fa la Guardia Nazionale ha sparato sui civili e sui palazzi uccidendo decine di persone.
D’altronde in molti – tra questi Victor Shapinov, uno dei leader dell’organizzazione socialista Borotba (Lotta) – accusano Akhmetov e altri oligarchi come Igor Kolomoysky, Dmytro Firtash e Sergei Taruta di aver non solo sostenuto finanziariamente e mediaticamente la piazza golpista di EuroMaidan, ma di aver permesso ai piccoli gruppi di estrema destra preesistenti di diventare una potenza militare attraverso la formazione di Pravyi Sektor (Settore Destro). Il leader neonazista Dmitry Yarosh ha ammesso pubblicamente i finanziamenti da parte degli oligarchi. Racconta Shapinov che “il miliardario Igor Kolomoysky ha mostrato in ciò uno zelo speciale, incontrando pubblicamente Jaros e i miliziani ‘cacciatori di taglie’ del sud-est, ai quali ha promesso 10.000 dollari per la cattura di ogni ‘sabotatore’”. Kolomoysky è tristemente noto per aver messo il suo esercito privato a disposizione del regime di Kiev contro gli oppositori e non sono pochi gli omicidi, i pestaggi e le aggressioni compiute dai suoi mercenari o dai neonazisti finiti sul libro paga del padrone di Privat.

Le autorità parallele, designate dalle forze antinazionaliste, hanno reagito denunciando lo schieramento di Akhmetov a fianco della Giunta e della Nato. Uno dei leader della Repubblica Popolare di Donetsk, Dennís Pushilin, ha minacciato di nazionalizzare le imprese di quegli oligarchi che si rifiutano di pagare le imposte all’amministrazione indipendentista.
Ma già qualche giorno fa Vyacheslav Ponomarev, il “sindaco popolare” di Slavyansk, aveva dichiarato che l'industria della città sarà presto nazionalizzata. "Non possiamo lasciare il potenziale industriale della città nelle mani di uomini d'affari senza scrupoli" aveva affermato mentre i suoi uomini prendevano il controllo di alcune imprese pubbliche di interesse strategico.
Secondo il leader di Borotba, lo schieramento dei capitalisti dalla parte del regime golpista e nazionalista starebbe spingendo molti attivisti delle regioni del sud-est ucraino verso posizioni anticapitaliste. Scrive Victor Shapinov: “Partecipando al movimento AntiMaidan a Kharkov e a Odessa, ho potuto vedere come le masse popolari inveissero contro l'oligarchia. Sergei Kirichuk, uno dei leader di AntiMaidan a Kharkov e coordinatore del movimento socialista Borotba, richiama l'attenzione sull'agenda sociale del movimento del sud-est: "La gente qui nel sud-est rivendica i propri diritti socio-economici. C'è una componente anti-oligarchica, anti-capitalista molto seria in queste proteste" dice Kirichuk, che ora si trova in esilio”.
Secondo Shapinov, che smentisce alcune informazioni circolate anche in Italia nell’autunno scorso, “non c'erano slogan anti-oligarchici o anche di rivendicazione sociale tra gli EuroMaidan. Alcuni di sinistra, che volevano "stare con la gente" e stupidamente sono andati tra gli EuroMaidan, sono stati picchiati e cacciati dagli ultras che laggiù comandano. Questi neo-nazisti, una volta ottenuti i finanziamenti oligarchici, hanno subito dimenticato il loro "anti-capitalismo" demagogico”.
L’attivista di Borotba avverte che le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk non saranno mai socialiste. “E' probabile che una parte delle grandi e medie imprese manterranno le loro posizioni. Nel tentativo di prenderle le corporation russe saranno etichettate come cattive. Ma in fondo, la creazione di repubbliche popolari, l'esperienza della lotta di massa anti-fascista, antimperialista e anti-oligarchica, ha indubbiamente spostato a sinistra non solo l'Ucraina sud-orientale, ma l'intero spazio post-sovietico”.

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