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31/05/2014

Libia - Il generale Haftar promette le elezioni

Il generale in pensione Khalifa Haftar si gode il sostegno di migliaia di manifestanti, mentre pare che Stati Uniti, Algeria e Francia dispiegassero forze speciali a Sud della Libia per arginare il terrorismo. In mezzo un Paese mai pacificato dopo la caduta del colonnello Gheddafi, con un governo incapace di evitare azioni personali di ex militari, lanciatisi in una campagna anti-islamista senza precedenti.

L’operazione Karame (dignità) dell’ex uomo della CIA, in prima linea nella deposizione di Gheddafi, prosegue: ieri in Piazza dei Martiri, nel cuore di Tripoli, a Tobruk e Bengasi, migliaia di persone si sono ritrovate per il secondo venerdì di fila per dimostrare il loro sostegno all’azione di Haftar. I manifestanti hanno intonato slogan, distrutto una bara da loro stessi costruita con su il nome della formazione islamista Ansar al-Sharia e quello del neo premier Ahmed Maiteg, vicino ai movimenti islamisti.

Due settimane fa l’ex generale, a capo di truppe a lui fedeli, forte del sostegno di decine di veicoli militari e elicotteri dell’esercito, aveva lanciato una sanguinosa rappresaglia contro gruppi islamisti presenti a Bengasi, Ansar al-Sharia in primis: decine le vittime dei due giorni di scontri che ne seguirono, mentre il governo centrale si limitava a chiedere ai militari di non unirsi ad Haftar e a dichiarare di non aver mai ordinato l’operazione.

A capo del cosiddetto Esercito Nazionale Libico, creatura dello stesso Haftar, l’ex generale ha compiuto un passo in più verso il golpe: ieri ha dichiarato alla CNBC che il prossimo passo dell’operazione Karame saranno le elezioni. “La nostra missione si fonda sulla rimozione dei fondamentalisti che arrivano dall’estero – ha detto nell’intervista – Continueremo a usare la forza per cacciare dal Paese combattenti stranieri provenienti da Afghanistan, Pakistan, India, Algeria e Tunisia. Poi seguiranno le elezioni: avremo bisogno di tempo per prepararle e poi il popolo libico deciderà”.

Haftar, fuggito in esilio negli Stati Uniti negli anni ’80 dopo duri scontri con Gheddafi, è tornato nel Paese nel 2011 per partecipare alla deposizione del colonnello. Accusato di essere una spia della CIA, oggi nega di avere – e di voler chiedere – il sostegno degli Stati Uniti. Che nel frattempo, insieme a Francia e Algeria, si starebbero organizzando: i tre Paesi avrebbero inviato contingenti di forze speciali a sud del Paese. Obiettivo, le milizie di Al Qaeda in Maghreb (Aqim). Per ora la Casa Bianca nega la notizia, riportata da diversi media arabi.

A preoccupare è la condizione politica ed economica di un Paese nel caos. Il governo figlio dell’attacco militare della NATO si sta dimostrando incapace di ricostruire l’economia libica e di disarmare tutte quelle milizie che nel 2011 fecero cadere Gheddafi: nessuno intende abbandonare le armi. A ciò si aggiunge la storica divisione tra Tripolitania e Cirenaica, con Bengasi che punta con forza all’autonomia dal potere centrale.

Ad operare, ex milizie oggi dichiaratesi “governo indipendente”, attive soprattutto in campo energetico: nell’ultimo anno i gruppi indipendentisti hanno occupato porti e pozzi di petrolio, impedendo l’esportazione del greggio all’estero, principale fonte di entrata del Paese. Oggi la produzione è crollata a 165mila barili al giorno, contro il milione e mezzo del 2012. Gli investitori esteri scappano e le compagnie petrolifere preferiscono evitare un Paese nel caos, senza forze di polizia coese e un governo instabile, il cui premier viene sostituito a intervalli quasi regolari, senza una costituzione né istituzioni in grado di guidare la ricostruzione.

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