Il generale in pensione Khalifa Haftar si gode il sostegno di
migliaia di manifestanti, mentre pare che Stati Uniti, Algeria e Francia
dispiegassero forze speciali a Sud della Libia per arginare il
terrorismo. In mezzo un Paese mai pacificato dopo la caduta del
colonnello Gheddafi, con un governo incapace di evitare azioni personali
di ex militari, lanciatisi in una campagna anti-islamista senza
precedenti.
L’operazione Karame (dignità) dell’ex uomo della CIA, in prima linea nella deposizione di Gheddafi, prosegue: ieri
in Piazza dei Martiri, nel cuore di Tripoli, a Tobruk e Bengasi,
migliaia di persone si sono ritrovate per il secondo venerdì di fila per
dimostrare il loro sostegno all’azione di Haftar. I
manifestanti hanno intonato slogan, distrutto una bara da loro stessi
costruita con su il nome della formazione islamista Ansar al-Sharia e
quello del neo premier Ahmed Maiteg, vicino ai movimenti islamisti.
Due settimane fa l’ex generale, a capo di truppe a lui fedeli, forte
del sostegno di decine di veicoli militari e elicotteri dell’esercito,
aveva lanciato una sanguinosa rappresaglia contro gruppi islamisti
presenti a Bengasi, Ansar al-Sharia in primis: decine le vittime
dei due giorni di scontri che ne seguirono, mentre il governo centrale
si limitava a chiedere ai militari di non unirsi ad Haftar e a
dichiarare di non aver mai ordinato l’operazione.
A capo del cosiddetto Esercito Nazionale Libico, creatura dello
stesso Haftar, l’ex generale ha compiuto un passo in più verso il golpe:
ieri ha dichiarato alla CNBC che il prossimo passo dell’operazione Karame saranno le elezioni.
“La nostra missione si fonda sulla rimozione dei fondamentalisti che
arrivano dall’estero – ha detto nell’intervista – Continueremo a usare
la forza per cacciare dal Paese combattenti stranieri provenienti da
Afghanistan, Pakistan, India, Algeria e Tunisia. Poi seguiranno le
elezioni: avremo bisogno di tempo per prepararle e poi il popolo libico
deciderà”.
Haftar, fuggito in esilio negli Stati Uniti negli anni ’80 dopo duri
scontri con Gheddafi, è tornato nel Paese nel 2011 per partecipare alla
deposizione del colonnello. Accusato di essere una spia della
CIA, oggi nega di avere – e di voler chiedere – il sostegno degli Stati
Uniti. Che nel frattempo, insieme a Francia e Algeria, si starebbero
organizzando: i tre Paesi avrebbero inviato contingenti di
forze speciali a sud del Paese. Obiettivo, le milizie di Al Qaeda in
Maghreb (Aqim). Per ora la Casa Bianca nega la notizia, riportata da
diversi media arabi.
A preoccupare è la condizione politica ed economica di un Paese nel
caos. Il governo figlio dell’attacco militare della NATO si sta
dimostrando incapace di ricostruire l’economia libica e di disarmare
tutte quelle milizie che nel 2011 fecero cadere Gheddafi: nessuno
intende abbandonare le armi. A ciò si aggiunge la storica divisione tra
Tripolitania e Cirenaica, con Bengasi che punta con forza all’autonomia
dal potere centrale.
Ad operare, ex milizie oggi dichiaratesi “governo indipendente”,
attive soprattutto in campo energetico: nell’ultimo anno i gruppi
indipendentisti hanno occupato porti e pozzi di petrolio, impedendo
l’esportazione del greggio all’estero, principale fonte di entrata del
Paese. Oggi la produzione è crollata a 165mila barili al giorno,
contro il milione e mezzo del 2012. Gli investitori esteri scappano e
le compagnie petrolifere preferiscono evitare un Paese nel caos,
senza forze di polizia coese e un governo instabile, il cui premier
viene sostituito a intervalli quasi regolari, senza una costituzione né
istituzioni in grado di guidare la ricostruzione.
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