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30/05/2014

Nuovo inquilino, stessi vicini, vecchi problemi. Narendra Modi sullo scacchiere internazionale.

Politica estera e rapporti di confine saranno tra i protagonisti dell’agenda politica di Narendra Modi. Il nuovo Primo Ministro indiano eredita una complessa rete di relazioni spesso tossiche e immobili da anni. Lo scenario è complesso e la sua gestione comporta un difficile equilibrismo tra mantenimento delle promesse elettorali, pressioni interne, interessi nazionali e diplomazia internazionale.

Da New Delhi, Daniele Pagani
Il vicino scomodo per antonomasia è il Pakistan. I rapporti tra le due nazioni non sono mai stati  semplici: quattro guerre in meno di sessant'anni e migliaia di vittime civili in un conflitto mai risolto sulla sovranità territoriale del Kashmir. Il background politico di Narendra Modi non sembrerebbe il più adatto alla pacificazione: tradizionalmente antipakistano, durante la guerra del Kargil, nel 1999, era solito accusare a gran voce il governo di Islambad di collaborazione con le milizie irregolari kashmire, indicandolo come unico responsabile del conflitto. Rimane storica la sua visione su una possibile cessazione delle ostilità: “non daremo loro riso e pollo, ma risponderemo ai proiettili con le bombe”.

Le relazioni indo-pakistane sono congelate dal novembre 2008, quando una serie di attentati perpetrati dal gruppo Lashkar-e-Taiba (LeT) – letteralmente “l'esercito dei puri” – causò 166 morti a Mumbai. LeT è anche la principale responsabile di un ventennio di attentati nella regione del Jammu e Kashmir. Lo scontro tra i due governi ruota soprattutto intorno al ruolo del potente servizio segreto pakistano, lo Inter-services Intelligence (ISI) (qui un mio articolo) che, per dichiarazione della stessa dirigenza di LeT, ha più volte procurato fondi ed armamenti per il mantenimento dei loro campi di addestramento nel Kashmir pakistano.

Modi sembrerebbe intenzionato a trovare una soluzione definitiva al problema. Quale non è ancora chiaro. Per “rompere il ghiaccio diplomatico” ha deciso di invitare alla cerimonia di insediamento il Primo Ministro del Pakistan, Nawaz Sharif, come membro della South Asian Association for Regional Cooperation (SAARC). L'invito è un'evidente mossa diplomatica volta a sondare il terreno e mettere la palla in campo avversario: un'alta carica pakistana, prima di uscire dal paese per motivi diplomatici, deve sempre consultarsi (leggi, fare una prova di forza - ndr) con lo Stato Maggiore dell'esercito. Aver accettato l'invito potrebbe suggerire o la capacità di Sharif di superare il tradizionale ostracismo dei militari verso l'India o una mossa strategica per evitare di essere il primo ad inasprire i rapporti.

In questa relazione l'Afghanistan diventerà una pedina fondamentale e potrebbe trasformarsi in un terreno su cui delocalizzare le tensioni. Gli U.S.A. stanno completando il piano per il ritiro delle truppe, ed entro massimo un anno il controllo del paese passerebbe alle forze armate locali. L'India sta investendo economicamente nella ricostruzione afgana: un ottimo affare sia dal punto di vista economico che geopolitico. L'Afghanistan, infatti, è terreno di tradizionale influenza pakistana ed inserirsi nel suo tessuto economico e politico potrebbe rivelarsi strategico. Non è affatto scontato, però, che ISI ed esercito pakistano restino passivi di fronte a questo processo e non decidano di avvalersi di organizzazioni paramilitari islamiche per destabilizzare l'avanzata indiana.

Se realmente intenzionato a pacificare i rapporti, Modi, sebbene forte di una solidissima maggioranza parlamentare, dovrà gestire le spinte interne dei quadri del Bjp, tradizionalmente avversi al Pakistan ed ai musulmani in generale. Sottovalutare gli equilibri di partito ed il dissenso interno potrebbe rivelarsi rischioso e rovinare i suoi ambiziosi progetti di governo.

Vicino meno scomodo ma comunque problematico è la Cina, con la quale restano aperte diverse questioni territoriali. La più spinosa controversia coinvolge lo stato indiano dell'Arunachal Pradesh, un territorio che Pechino rivendica come Tibet meridionale. Narendra Modi, durante la campagna elettorale, non ha mancato di specificare la sua posizione in materia: “l'Arunachal Pradesh è parte integrante dell'India e lo rimarrà sempre. Non esiste potenza che ce lo possa portare via. La Cina dovrebbe frenare la sua politica espansionistica e muoversi per stringere accordi bilaterali con l'India per la pace, il progresso e la prosperità di entrambe le nazioni”.

Ad oggi nessuno dei due governi ha intenzione di rivedere la propria posizione. Il governo indiano ha optato per un incremento della presenza lungo la linea di confine, prevedendo lo stanziamento di circa 80 mila militari e la creazione di particolari nuclei con il compito di sorvegliare le attività cinesi al confine (qui un mio articolo).

Narendra Modi, nonostante non sembri intenzionato ad abbandonare il progetto di militarizzazione dei confini, si è sempre dimostrato ammiratore della Cina, soprattutto dal punto di vista economico. Da Cheif Minister del Gujarat ha visitato Pechino almeno tre volte, invitando grandi compagnie cinesi ad intraprendere investimenti agevolati nello stato. Considerando che il commercio con la Cina rappresenta l'8,7 per cento del commercio internazionale indiano, c'è una buona probabilità che i due stati mantengano un atteggiamento propagandistico in materia di confini, e optino per amplificare i rapporti commerciali. Nondimeno, allo stato attuale, una guerra dichiarata e guerreggiata sembra essere un'ipotesi del tutto irreale che non converrebbe a nessuno.

In questo scenario c'è un terzo attore, lontano ma importante: gli Stati Uniti. Il governo americano  sembrerebbe avere un grande interesse nella costruzioni di un rapporto privilegiato con Modi. L'India, se dissolvesse parte delle sue barriere verso gli investimenti esteri, rappresenterebbe un'ottima opportunità per multinazionali e banche di investimento americane affannate dalla crisi.

Agevolazioni fiscali, prezzi convenienti, salari bassi, assenza di sindacati, classe media in rapida espansione ed un enorme mercato interno rappresentano gli ingredienti perfetti del neo liberismo in salsa statunitense.

Non è solo l'economia ad interessare il Dipartimento di Stato, ma anche la strategia. Abbandonare un Afghanistan tutt'altro che pacificato significa lasciare una grande incognita nello sviluppo del Paese e del teatro dell'Asia centrale. Dopo anni di mal ricambiato supporto logistico e monetario al Pakistan, è comprensibile che l'amministrazione Obama desideri identificare un alleato più stabile ed affidabile con cui sorvegliare gli sviluppi futuri.

Per ora l'imprevedibilità di Narendra Modi rimane l'unica variabile che accomuna i calcoli internazionali. Bisognerà vedere, soprattutto attraverso le nomine dei ministri, quali sono le reali intenzioni del nuovo Primo Ministro. Quanto i suoi proclami fossero propaganda e quanto dichiarazioni di intenti.

Da New Delhi, Daniele Pagani

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