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26/05/2014

Draghi "scopre" la deflazione e corre ai ripari

Il risultato delle elezioni europee – a livello continentale, ben al di là degli entusiasmi di regime in casa nostra - ha messo più di qualche pulce nell'orecchio dei grandi capi della Troika. La crisi morde con forza ed è fin troppo evidente che sta mettendo in discussione quel “collante” senza il quale la stessa Unione Europea rischia di apparire per quel che è: una tecnostruttura oligarchica al servizio del capitale multinazionale.

Il primo a parlare è stato il più potente di tutti, al momento. Ossia il presidente della Bce, Mario Draghi, forte anche – probabilmente – della bastonata presa da Angela Merkel e quindi dai cavalieri templari di Bundesbank, custodi dell'ortodossia “austera” che tanto aiuta la Germania. Anche lì sono in crescita gli “euroscettici” - soprattutto Alternative fur Deutschland, espressione del big business tedesco, niente a che vedere con la destra nostalgica – e quindi la casa trema fin nelle fondamenta.

Sciogliendo gli ultimi dubbi residui sull'orientamento a breve della Bce, Draghi ha di fatto annunciato un acquisto di titoli “espansivo” e “su ampia base” da parte dell'istituto da lui diretto se dovesse permanere una “troppo prolungata dinamica al ribasso dell’inflazione o di un andamento dei prezzi sotto le aspettative del nostro scenario di base”.

Era la linea Sigfrido innalzata da Jens Weidmann, da sempre contrario a quel che per Berlino appare un finanziamento diretto agli Stati e quindi come una politica di contrasto con gli obblighi dei singoli paesi membri. Preoccupazione meschina, secondo l'orientamento di Draghi e della maggioranza di Francoforte, perché in ogni caso la Bce prevede di condizionare l'acquisto di titoli di stato all'accettazione di ulteriori controlli rigidi sulle politiche nazionali di bilancio.

Dunque, se “l’interazione tra l’evoluzione dei tassi di cambio e le aspettative di inflazione a medio termine” dovesse restare quella attuale la Bce si sentirebbe in dovere di attuare quelle “politiche monetarie non convenzionali in grado di far risalire moderatamente il tasso di inflazione. Tenuto troppo vicino allo zero anche dalla forza eccessiva della moneta unica, che in questo modo tiene bassi i prezzi delle importazioni ma frena in modo consistente le esportazioni.

L'obiettivo della Bce resta quello statutario - “la stabilità dei prezzi”, ma proprio per questo la banca centrale non è “rassegnata a consentire che l’inflazione rimanga troppo bassa per troppo tempo”. Draghi ha per la prima volta segnalato quel che tutti sanno: in caso di bassa inflazione prolungata “c’è il rischio che le aspettative di disinflazione diventino radicate” e “questo potrebbe spingere famiglie e imprese a rinviare la spesa in un classico ciclo deflazionistico“.

Questo non determina però un'adesione della Bce a quanti predicano una manovra espansiva di grandi dimensioni. “La risposta sul fronte della politica monetaria deve essere considerata con attenzione e progettata con precisione. Noi non vogliamo essere troppo reattivi su quelle parti del processo di disinflazione che si prevede possano auto-correggersi”. Un passo alla volta, insomma, verificando i risultati di ogni scelta.

Ma quali strumenti ci si attende che metta in campo Draghi? Gli analisti pensano a un ulteriore – ed ultimo – taglio dei tassi di interesse, ma il margine è ormai così ristretto – si trova ora allo 0,25% – da non lasciare speranze ad effetti macroeconomici significativi. È possibile che i tassi di interesse sulle somme depositate dalle banche private presso la stessa Bce – in barba a chi credeva che maggiore liquidità sarebbe stata fatta arrivare al sistema delle imprese e alle famiglie, sia pure sotto forma di prestiti – scenda al di sotto delle zero. In pratica: le banche fin qui hanno lasciato grosse somme nei forzieri della Bce accettando di guadagnare zero su di esse, in cambio dell'assoluta tranquillità del deposito. Se i tassi di interessi su di esse diventa negativo, le banche dovrebbero accettare di pagare un prezzo solo per “tenere i soldi al sicuro”. Come un normale pensionato “cassettista”.

Solo dopo aver esaurito queste mosse preliminari – e comunque meno efficaci sia a breve che a lungo termine – la Bce potrebbe procedere all’acquisto di titoli di Stato e di aziende private. In questo ultimo caso, in pratica, la Bce potrebbe acquistare titoli con sottostanti prestiti alle piccole imprese; un modo spiccio per costringere le banche a prestare di più agli imprenditori, anche di dimensioni piccole e medie.

In ogni caso, si discute ormai apertamente di una fase di “iniezioni di liquidità” con la speranza che tanto serva per far ripartire una briciola di “crescita” economica. L'ultima volta della Bce risale ad ormai tre anni fa, con le operazioni Ltro (1.000 miliardi prestati alle banche private, che sono stati utilissimi per risanare alcuni bilanci finanziari, ma hanno avuto effetti molto limitati sull'economia reale). Quell'esperienza non si deve ripetere, dicono ai piani alti di Francoforte. Ma appare anche di difficile realizzazione una politica monetaria troppo differenziata in relazione ai vari attori.

Comunque sia: dopo aver negato per un anno e più l'arrivo dell'ondata deflazionistica (prezzi sempre più bassi, consumi sempre più ridotti, aziende che chiudono e licenziano, banche che invece di fare repstiti chiedono ai clienti di “far rientrare” i prestiti emessi, ecc) ora – a urne chiuse – la Bce ricomincia a correre. Ma non sarà in nostro soccorso...

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