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24/05/2014

Libano - Chi ha paura dei profughi siriani?

Il cartello che annuncia il coprifuoco imposto ai siriani a Bourj Hammoud (Fonte: LebanonFiles.com)
C’era una volta l’occupazione siriana del Libano. Dal 1976, anno in cui l’allora presidente Suleiman Franjiyeh “invitò” Damasco a riportare la stabilità nel Paese dei Cedri e a “proteggere i cristiani”, Assad – padre prima, figlio poi – restò fino al 2005. Tre decenni  di sparizioni, terrore ai checkpoint sparpagliati per tutto il nord del Paese e disprezzo verso le masse di lavoratori immigrati impegnati nella ricostruzione al termine della guerra civile. Ma ora la situazione è capovolta. Il Libano che fa i conti con il suo milione di profughi venuti dalle frontiere nord-orientali e si riscopre razzista, ora ha il coltello dalla parte del manico. A testimoniarlo, uno striscione che campeggia tra due edifici a Bourj Hammoud, sobborgo a nord-est di Beirut roccaforte della comunità armena.

Il cartello, apparso tra lunedì e martedì, proibisce ai cittadini siriani di circolare in strada dalle 8 di sera alle 6 del mattino. La decisione è stata presa dal Comune in seguito a una rissa avvenuta sabato sera, in cui un uomo era stato gravemente ferito dal lancio di una bombola a gas e cinque kurdi siriani erano stati arrestati. Il giorno dopo, come riporta il quotidiano libanese al-Akhbar, i residenti di Bourj Hammoud avevano organizzato un sit-in per protestare contro la mancanza di sicurezza generata dalla forte presenza di profughi siriani.

“E’ una palese violazione della legge – ha scritto in un articolo Sara Wansa, ricercatrice per l’ong Legal Agenda – perché la decisione di istituire un coprifuoco non solo spetta all’Alto Consiglio Militare solo in caso di reale emergenza, ma anche perché questo divieto collide con le convenzioni internazionali, le quali garantiscono il diritto di movimento a chiunque, qualunque sia la sua nazionalità“. Tra le schiere di libanesi indignati che hanno protestato sui social network, il vicedirettore di Human Rights Watch per il Medio Oriente e Nord Africa Nadim Houry ha sottolineato che i siriani, a Bourj Hammoud, ci vivono “da sempre”.

L’intolleranza nei confronti dei profughi siriani, giunti in massa soprattutto nel biennio 2012-2013, non è nuova nei centri libanesi: con i tragici precedenti della guerra civile, dove l’aumento della popolazione di una determinata setta religiosa determinava pericolosi squilibri politico-sociali (con le ben note conseguenze), la diaspora siriana sta causando non pochi problemi al Paese dei Cedri, intrappolato in un’instabilità politica che ormai è endemica. La situazione di guerriglia permanente della città di Tripoli, spaccata definitivamente in due allo scoppio della guerra siriana tra alawiti pro-Assad e sunniti pro-ribelli, ne è un chiaro esempio politico.

Un’intolleranza di tipo “storico” e legata ai cambiamenti demografici in corso da almeno un secolo, poi, è particolarmente diffusa nei centri a maggioranza cristiana, minacciati dal crollo delle nascite e dall’emigrazione verso Europa e Stati Uniti:  già nel 2013 una miriade di comuni – tra cui Jouniyeh, Aley e Betchay al-Merchadeh, sul Monte Libano – avevano tentato di imporre il coprifuoco agli “stranieri”, identificati come siriani. Gli articoli della stampa nazionale e internazionale riportavano le testimonianze di alcuni residenti dei villaggi secondo i quali “i siriani si riuniscono la sera, bevono e infastidiscono le nostre figlie”, oppure “ci rubano gli indumenti stesi fuori ad asciugare”, sempre insistendo sul fatto che non si trattasse di discriminazione, ma “di sicurezza”. Come, ufficialmente, rientrano nella categoria “sicurezza” anche i cartelli apparsi lo scorso anno fuori da alcuni ristoranti di Beirut est –  come testimonia R. B., 32 anni, che da Hamra è passata a frequentare i locali della zona intorno a Mar Michel – che vietavano l’ingresso ai siriani.

L’ondata razzista di Bourj Hammoud, invece, sarebbe piuttosto determinata da fattori economici, come spiega Firas Abu-Mosleh in un articolo apparso questa mattina su al-Akhbar: una guerra tra poveri alimentata dalla crisi globale, con la comunità armena padrona del commercio nel sobborgo nato dalla loro diaspora nel secondo decennio del XX secolo contrapposta ai nuovi arrivati, per lo più curdi, in cerca di lavoro. Insomma un conflitto tra minoranze oppresse, generato da scaramucce come quella di giovedì scorso e combattuta, secondo alcuni abitanti, a suon di ronde violente contro i curdi e discriminazioni nelle attività lavorative.

Le autorità insistono sulla questione della sicurezza. Ma se il governo ha vietato ieri qualsiasi raduno politico di cittadini siriani  in vista delle prossime “elezioni” presidenziali a Damasco, una ricerca condotta da un team dell’Università Americana di Beirut mostra invece quanto sia alto il livello di razzismo della società libanese nei confronti dei profughi siriani. Charles Harb e Reem Saab, ricercatori della facoltà di Scienze Umane, hanno condotto un sondaggio su circa 8 mila tra libanesi e siriani delle regioni nord-orientali del Paese (Wadi Khaled, Akkar e Bekaa, con una presenza di profughi superiore alle altre regioni libanesi) sulla coesione sociale e le opportunità di lavoro. Ne è emerso che circa il 90 per cento degli intervistati libanesi si è detto favorevole a limitare i movimenti, le libertà politiche e le opportunità di lavoro per i profughi siriani, considerati come una minaccia sia simbolica che reale. Non solo: oltre il 10 per cento dei libanesi intervistati ha dichiarato di essere favorevole alla violenza nei confronti dei profughi così come dello Stato, colpevole di ospitarli.

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