Non è proprio entusiasmante l’esito del primo turno delle elezioni presidenziali di domenica in Colombia. Che si sono chiuse senza un vincitore sicuro ma che al ballottaggio del 15 giugno mandano due esponenti dell’oligarchia. A contendersi la presidenza di un paese importante per il futuro dell’intera America Latina saranno l’attuale presidente di destra ed ex ministro della Difesa Juan Manuel Santos e Oscar Ivan Zuluaga (destra), figliocco politico dell'ex presidente di estrema destra Alvaro Uribe. Il primo ha ottenuto qualcosa in più rispetto allo sfidante – il 29.25% rispetto al 25.7% – ma non è scontato che tra tre settimane le attuali distanze tra i due candidati vengano rispettate nel secondo turno. Uribe, anima nera degli ambienti oligarchici e paramilitari colombiani, legato a doppio filo agli interessi degli Stati Uniti nella regione e capofila di un verso e proprio partito ‘ultra’ con ramificazioni in molti paesi dell’America Latina – basti vedere il suo ruolo nella destabilizzazione del vicino Venezuela – ha profondi legami con gli apparati legali e occulti del paese ed è in grado di smuovere ingenti forze a suo favore.
Dopo i due sfidanti che hanno passato il turno si sono piazzati la candidata del Partito conservatore Marta Lucia Ramirez; poi Clara Lopez del Polo democratico alternativo-Union patriotica (sinistra radicale) e ancora più lontano Enrique Peñalosa, della Alianza Verde.
Da segnalare la scarsissima partecipazione al voto, con l’astensione, normalmente molto alta, che ha toccato stavolta il 60%.
Al centro della sfida, di fatto, il futuro del paese dopo l’inizio delle trattative di pace con la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia. Sostenute da Santos e da una parte degli ambienti dominanti in nome della normalizzazione del paese e della sua integrazione nei meccanismi economici sovranazionali sempre più forti nel continente; avversate invece attivamente da Uribe e dai suoi, che identificano la prosecuzione del proprio potere e dei propri privilegi di classe con il mantenimento della guerra contro le Farc e della repressione selvaggia contro i movimenti sociali e politici di sinistra. In ballo c’è non solo la fine del latifondismo che ha garantito ricchezze e potere infiniti a una ristretta e tracotante oligarchie di ‘terratenientes’, ma anche il cambiamento delle politiche contro il narcotraffico. Il mantenimento dell’opzione dura nel contrasto alla coltivazione della coca permetterebbe all’oligarchia che si identifica con Uribe – e in parte con lo stesso Santos – di approfittare dei consistenti aiuti statunitensi e di mantenere un livello di militarizzazione funzionale alla conservazione del potere.
Non è un caso che la prima dichiarazione di Santos dopo l’ufficializzazione dei risultati del primo turno sia stata: «Ora, al ballottaggio, bisogna scegliere tra quelli che come noi vogliono la fine della guerra e quelli che invece vogliono la guerra senza fine».
Oltre alla polemica sulle Farc, al centro della campagna elettorale anche le accuse di Santos a Uribe di aver utilizzato la “guerra sporca”. In particolare Zuluaga ha accusato Santos di non aver chiarito la provenienza di 12 milioni di dollari derivanti probabilmente dal narcotraffico e che sarebbero serviti a finanziare la sua corsa alla presidenza nel 2010.
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