L’attualità dell’orrore che non consente pausa. 38 persone uccise a Odessa nell’incendio della “Casa dei sindacati. Fiamme appiccate dalle frange più radicali dei sostenitori del Governo di Kiev. I pochi sopravvissuti alla caduta sarebbero stati circondati e bastonati dagli estremisti filo-Kiev
Ma torniamo al tema del titolo e della giornata di oggi. L’inglese è lingua di sintesi e con 3 parole spiega il tutto. ‘Press Freedom Day’ il 3 maggio, sogno di libertà anche di stampa. 1054 i giornalisti uccisi nel mondo, alcuni in guerra, ma due terzi sono corrispondenti locali. Fermare la strage dei “corrispondenti di pace”. La minaccia precarietà. In più siamo il paese Ue con più giornalisti uccisi e minacciati. L’uso intimidatorio delle querele per diffamazione.
La confessione di impotenza da parte del segretario generale Onu Ban Ki -moon è stata pubblica. “Ogni giorno dell’anno, la libertà fondamentale di ricevere o di comunicare idee attraverso qualsiasi media è sotto attacco, a scapito di tutti noi. E’ per questa ragione che tantissimi giornalisti scelti per parlare o scrivere su verità scomode sono stati sequestrati, arrestati, picchiati e spesso anche uccisi”. La prima giornata dedicata della libertà di stampa di cui ho memoria la vissi a Sarajevo, 1993 credo, quando la conta dei morti la tenevamo ancora tra di noi. Allora la città assediata e difesa dalle nostre telecamere foto e matite, ci dedicò una lapide. Eravamo oltre i 100 nomi e mancavano i nostri Luchetta, Ota e D’Angelo. Dal 1992 i giornalisti uccisi sono stati oltre 1000.
Numeri che per alcuni di noi diventano un volto, un nome di un uomo o una donna che svolgeva semplicemente il proprio lavoro. Senza la necessità di crearci a tutti i costi degli eroi. Molti, troppi morti: esattamente 1054 secondo Reporters Sans Frontieres. Un terzo - tra loro quindici italiani - lavorava in zone di guerra, gli altri due terzi, la netta maggioranza - tra loro undici gli italiani - erano invece giornalisti locali, cronisti che seguivano vicende controverse dei loro paesi: scandali, corruzione, criminalità, discutibili comportamenti di personaggi pubblici. Vite rubate non solo al “fronte” dei combattimenti ma anche su quello della battaglia civile dei diritti e della democrazia. Quindi intimidazioni, minacce e abusi del diritto. È la censura nei sistemi democratici.
Se ne parla poco - scrive Alberto Spampinato su ‘ossigenoinformazione’ - ma la censura violenta e camuffata è esercitata anche in Italia, e non solo nei confronti dei cronisti di mafia, come attesta l’osservatorio Ossigeno per l’informazione che ha annotato i nomi di oltre 1800 giornalisti colpiti da intimidazioni fra il 2006 e il 2013 e ha segnalato l’aumento del 50% delle minacce nei primi mesi del 2014. Servirebbe un’azione di contrasto energica e un cambiamento di rotta nelle misure di tutela, come chiede l’Osce, come dice Nils Muiznieks, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa. In Italia sarebbero necessarie riforme legislative - in particolare in materia di diffamazione intimidatoria e di segreto professionale -, riforme rinviate nell’indifferenza generale.
«I grandi media continuano a proporre vecchi stereotipi e un pietismo di maniera verso i “poveri giornalisti” morti in guerra, senza dire che nel nostro pacifico paese una decina di giornalisti vive sotto scorta e da anni almeno un giornalista al giorno subisce minacce, intimidazioni, ritorsioni, danneggiamenti, discriminazioni, abusi da prepotenti che impediscono la raccolta e la diffusione di informazioni di pubblico interesse. Tutti dobbiamo essere grati ai corrispondenti di guerra che si recano nelle aree di crisi dove si perpetrano genocidi, deportazioni, persecuzioni di popoli inermi. Ma rendere omaggio alla memoria dei corrispondenti di guerra non basta. Altrettanto doveroso è parlare dei tantissimi “corrispondenti di pace” che subiscono violenza senza visibilità e solidarietà».
Fonte
Mi permetto una piccola nota polemica, gusto per buttare li il fatto che se i giornalisti sono in questa condizione è anche per il progressivo venir meno del loro ruolo che la stragrande maggioranza degli appartenenti all'ordine ha fatto proprio senza batter ciglio. Complice i mutati rapporti di lavoro, l'informatizzazione di massa e quant'altro, ma anche a causa di una perdita quasi totale di schiena dritta e coscienza di classe, in sostanza gli stessi mali che hanno disgregato il movimento operaio.
Nessun commento:
Posta un commento