Il presidente-commissario Bargone minaccia le dimissioni: vuole altri 270 milioni dal governo.
Il 20 giugno scorso Antonio Bargone, commissario governativo per l’autostrada tirrenica, ha rassegnato le dimissioni per protestare contro la mancata concessione da parte dell’esecutivo Renzi di un contributo di 270 milioni di euro che la Sat ritiene indispensabile per completare i lavori della Livorno-Civitavecchia. I nostri più affezionati lettori sanno bene chi è Bargone. Ne abbiamo parlato spesso in quanto nessuno più di lui caratterizza l’intreccio tra politica e affari nella cosiddetta Seconda Repubblica.
Bargone, avvocato brindisino 67enne, esordisce come deputato del Pci nel 1987. Noto come il “plenipotenziario di D’Alema nel Salento”, negli anni ’90 si impegna per favorire l’accordo tra Di Pietro e i Ds: l’ex magistrato viene eletto nel super-blindato collegio del Mugello, e nel governo Prodi sarà il Ministro delle Infrastrutture (all’epoca è ancora un ultrà del cemento) con Bargone che gli fa da sottosegretario. In quegli anni la Sat è un’azienda pubblica che fa acqua da tutte le parti. Era nata nel 1969 per costruire la Livorno-Civitavecchia, ma il progetto viene bocciato due volte: nel 1976 perché economicamente insostenibile e negli anni ’90 per motivi ambientali. Alla Sat rimane da gestire il tratto Collesalvetti-Rosignano ma l’esoso pedaggio che si paga non è sufficiente a mantenerla a galla. Ci pensa allora il governo di centro-sinistra con una robusta flebo di soldi pubblici (172 miliardi), dopo di che D’Alema privatizza le autostrade e la Sat finisce al gruppo Benetton. Ma il progetto della Livorno-Civitavecchia rimane congelato.
Nel 2001 Bargone viene trombato, ma lo soccorre la Regione Toscana (a che servono gli amici?) affidandogli un incarico di consulente. Poi, nel 2003, diventa presidente della Sat. Ma non finisce qui. Il governo Berlusconi (il cui Ministro delle Infrastrutture è Lunardi che come ingegnere aveva collaborato al progetto iniziale della Tirrenica) restituisce alla Sat la possibilità di costruire l’intera autostrada. E nel 2009 Berlusconi nomina Bargone commissario per l’autostrada con l’incarico di vigilare sulla Sat, cioè la società che presiede. Bargone in veste di commissario di se stesso costa alla pubblica amministrazione quasi 300.000 euro l’anno. La risposta di Bargone quando qualcuno gli contesta questo gigantesco conflitto d’interessi è disarmante: “Concessionaria e commissario non hanno interessi in conflitto, ma convergenti, cioè realizzare l’opera”.
Finora la Sat su un costo complessivo dell’opera di 2 miliardi di euro ha cacciato solo 55 milioni di euro per il tratto Vada-San Pietro in Palazzi, dove a fronte di lavori marginali (ma devastanti per l’ambiente) si è appropriata di un tratto della Variante Aurelia costruita con soldi pubblici - tra l’altro eliminando un’utile area di servizio con una decina di posti di lavoro - e ha imposto il pedaggio più caro d’Italia: 60 centesimi per tre o quattro chilometri. Se non vuoi pagare, devi percorrere un tratto della vecchia Statale Emilia con un salto all’indietro nel tempo di circa trent’anni.
Le dimissioni di Bargone farebbero giustizia almeno di questo suo doppio ruolo da commedia all’italiana, ma non c’è da fidarsi: sembra che il governo abbia garantito che entro la fine di questo mese il contributo tanto agognato verrà finalmente assegnato e quindi niente di più facile che rivederlo al suo posto. Naturalmente a sostenerlo arriva anche un altro noto ultrà del cemento di rito bersaniano-dalemiano, il “governatore“ Rossi: «Abbiamo indicato due priorità infrastrutturali per la Toscana: la Tirrenica e il raddoppio della linea ferroviaria Pistoia-Lucca - afferma -. Siamo ottimisti che il governo nel decreto di luglio metterà i soldi necessari».
Non sarà male ricordare chi sono i soci della Sat. Alla Autostrade (Benetton) è rimasto il 25% del capitale sociale dopo che nel 2011 sono entrate le cooperative piddine emiliane riunite in Holcoa (25%). Tra queste le onnipresenti Cmb e Ccc di cui parlavamo anche il mese scorso nell’articolo sul project financing sanitario, rilevando che si erano infilate perfino nell’affare del Ponte di Messina. Poi c’è il Gruppo Caltagirone attraverso la società Vianini (25%) e il Monte dei Paschi di Siena - leggi ancora PD - con il 15%. Una vicenda incredibile dove fin dall’inizio al pubblico vanno le perdite e al privato i guadagni. Parlano tanto di mercato, ma se il pubblico non li sovvenziona chiudono in tre mesi. Liberisti con i soldi degli altri…
Ciro Bilardi
Tratto da Senza Soste cartaceo n. 95 (luglio-agosto 2014)
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