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02/09/2014

MH17, un silenzio sospetto

di Michele Paris

Per coloro che più difficilmente si lasciano trascinare nel vortice delle notizie/propaganda a ciclo continuo del circuito dei media ufficiali, la pressoché totale sparizione dalle cronache internazionali della vicenda relativa al volo Malaysia Airlines MH17, precipitato il 17 luglio scorso mentre attraversava i cieli dell’Ucraina orientale, continua ad apparire estremamente sospetta.

La responsabilità del gravissimo incidente, che era costato la vita a tutte e 298 le persone a bordo tra passeggeri ed equipaggio, era stata subito attribuita dalle autorità di Kiev ai ribelli separatisti filo-russi, in grado di portare a termine una simile operazione grazie al sostegno militare e logistico di Mosca.

Anche se le giustificazioni per la continua escalation di minacce e sanzioni nei confronti del Cremlino sono negli ultimi tempi cambiate - come conferma la più recente accusa della presunta invasione russa in Ucraina - il “missile di Putin” che quasi sette settimane fa sembrava senza alcun dubbio avere abbattuto il velivolo malese ha rappresentato forse il fattore decisivo nel convincere anche i governi europei più cauti a dare la loro approvazione ad un pacchetto di misure punitive destinate alla Russia e volute fortemente da Washington.

Con una campagna ben orchestrata, il regime golpista ucraino aveva fatto così sapere di essere in possesso delle prove circa la responsabilità dei ribelli, i quali erano stati colti da una registrazione di dubbia autenticità mentre si autocelebravano per l’abbattimento di un aereo che forse credevano appartenere alle forze armate di Kiev.

Gli Stati Uniti, a loro volta, pur senza sostenere di avere prove irrefutabili che conducessero a Mosca o ai ribelli, avevano fortemente suggerito questa pista, dichiarando che a colpire il Boeing 777 era stato un missile terra-aria lanciato da un sistema mobile denominato Buk e fornito ai ribelli dalla Russia.

Questa ipotesi, priva di alcun fondamento concreto e basata su informazioni di parte o su post apparsi nei vari social network, probabilmente fabbricati ad arte, era stata accettata senza tante riserve dalla stampa ufficiale in Occidente poiché tornava utile alla loro propaganda anti-russa modellata sull’agenda ucraina di Berlino e Washington.

La gravità dell’incidente e delle accuse contro Mosca nel pieno della crisi in Europa orientale lasciava ragionevolmente pensare a un’indagine tempestiva, una volta risolte le difficoltà legate all’accesso al luogo del disastro in uno scenario di guerra. L’aumentare dei dubbi sulla versione iniziale e l’emergere di maggiori informazioni che hanno fatto pensare a spiegazioni alternative e decisamente imbarazzanti per il governo ucraino e i suoi sponsor occidentali, hanno determinato però di fatto l’insabbiamento dell’esame delle scatole nere, mentre notizie sulla sorte del volo MH17 risultano ormai quasi introvabili sui principali media internazionali.

Vista la tendenza altamente manipolatrice di questi ultimi e dei governi occidentali che appoggiano il governo di estrema destra a Kiev, è impensabile che anche eventuali frammenti di informazioni emersi dalle indagini finora condotte non verrebbero utilizzati come armi di propaganda anti-russa se confermassero una qualche responsabilità dei ribelli.

Per questa ragione, il silenzio apparentemente inspiegabile a cui si assiste rende più che lecito sospettare la presenza di materiale scottante che possa coinvolgere nei fatti del 17 luglio scorso proprio quelle forze che avevano per prime puntato il dito contro Mosca e i separatisti ucraini.

A tutt’oggi, d’altra parte, le forze di sicurezza di Kiev non hanno ancora reso noti né i tabulati radar né le registrazioni delle conversazioni nella torre di controllo che era in contatto col volo MH17, informazioni requisite poco dopo il disastro e tanto più importanti alla luce della notizia che all’aeromobile malese era stato ordinato un cambiamento di rotta proprio pochi minuti prima dell’abbattimento.

Le autorità olandesi, a cui erano state consegnate le scatole nere per essere esaminate, avevano inoltre annunciato l’11 agosto scorso di essere sul punto di pubblicare un rapporto preliminare sui fatti, ma meno di due settimane più tardi hanno comunicato che non è prevista alcuna data per la diffusione delle registrazioni. Ogni giorno di attesa fa perciò aumentare il sospetto che sia in atto una qualche falsificazione dei dati sull’incidente, così da far coincidere l’esito delle indagini con la versione ufficiale.

A questo punto, non è dunque necessaria una particolare predisposizione cospirazionista per sospettare che il 17 luglio nei cieli dell’Ucraina abbia potuto avere luogo un’operazione “false flag” ad opera di coloro che per primi avevano formulato accuse sul disastro appena accaduto.

Le indicazioni in questo senso appaiono molteplici e, in alcuni casi, molto convincenti o, quanto meno, più convincenti di quelle presentate finora da Kiev e Washington. Oltretutto, va ricordato che da un punto di vista di convenienza politica, l’abbattimento di un velivolo commerciale ad opera dei ribelli filo-russi avrebbe favorito l’emergere di un fronte compatto a fianco del regime ucraino per aumentare i toni dello scontro con Mosca, come è poi effettivamente accaduto, mentre nessun beneficio ne sarebbe derivato per i separatisti.

Per cominciare, in ogni caso, pochi giorni dopo il disastro, i vertici militari russi avevano rivelato che il volo MH17, appena prima di scomparire dai radar, era stato affiancato da aerei da guerra ucraini. Questa informazione si sarebbe rivelata importante alcune settimane dopo in seguito all’apparizione di alcune analisi dei resti dell’aereo provenienti da fonti non sospette.

Il resoconto più dettagliato e attendibile fin qui apparso sui media internazionali continua a essere quello pubblicato ai primi di agosto dal quotidiano malese New Straits Times, puntualmente ignorato da quasi tutta la stampa occidentale. Il pezzo in questione risulta significativo non solo per le tesi che propone ma ancor più perché la testata è considerata una sorta di organo di propaganda del governo di Kuala Lumpur, come è noto tutt’altro che ostile agli Stati Uniti e all’Occidente.

Secondo questa versione, la stessa intelligence americana sarebbe arrivata alla conclusione che ad abbattere il volo MH 17 sia stato un missile lanciato da un aereo da guerra che volava nelle vicinanze e che le responsabilità dell’accaduto siano da ricercare nel regime ucraino. A una simile conclusione si sarebbe giunti in seguito all’analisi da parte di esperti delle immagini dei resti del velivolo che mostravano segni differenti sulla fusoliera.

I primi sembravano compatibili con l’impatto di una testata dotata di “flechettes”, o piccole frecce metalliche che servono a fare il maggior danno possibile contro un determinato obiettivo (*), e gli altri, con un profilo più uniforme, prodotti dal fuoco di un mitragliatore di un aereo da guerra.

Ciò indicherebbe un danno che un missile lanciato da terra non avrebbe potuto produrre e trova conferma anche nelle dichiarazioni rilasciate già a fine luglio alla televisione canadese CBC dall’investigatore dell’OSCE Michael Bociurkiw, uno dei primi a giungere sul luogo del disastro in Ucraina orientale. Bociurkiw aveva parlato infatti di frammenti ancora fumanti che portavano chiaramente i segni di colpi di mitragliatore.

Sulla testimonianza al di sopra delle parti dell’investigatore ucraino-canadese si era poi basato anche il pilota in pensione della Lufthansa, Peter Haisenko, il quale dalle immagini diffuse in rete dei resti del velivolo aveva notato dei fori di entrata su un lato della cabina di pilotaggio e di uscita sul lato opposto, entrambi compatibili con proiettili calibro 30.

Anche questa valutazione indica che a colpire siano stati più velivoli militari affiancati al volo MH17, poiché un missile terra-aria non poteva penetrare l’aeromobile nella direzione descritta, né colpire in punti opposti e lasciare il tipo di tracce riscontrate.

Riassumendo lo scenario che scaturirebbe dalle prove finora disponibili, un commento apparso recentemente sulla testata online Asia Times ha infine proposto l’ipotesi di un ex membro dell’aeronautica militare USA e ingegnere della Boeing. Per quest’ultimo, un jet ucraino Su-25 avrebbe potuto colpire con un missile aria-aria R-60 il 777 della compagnia malese senza necessariamente volare alla sua stessa velocità o altitudine.

In fase di crociera e in assenza di virate, sarebbe infatti semplice calcolare il punto d’impatto, poiché è il missile R-60 a raggiungere velocità e altitudine necessarie. Una volta colpito, il 777 sarebbe entrato rapidamente nel raggio d’azione diretta dei jet Su-25 che potrebbero averlo finito definitivamente con scariche di mitragliatori.(**)

Sui molteplici dubbi e interrogativi sollevati in queste settimane, in ogni caso, difficilmente verrà fatta luce a breve, visto che l’ultima parola sulle indagini spetta sostanzialmente a quegli stessi governi che avevano utilizzato la tragedia per i loro fini strategici e che oggi sembrano avere tutto l’interesse a nascondere la verità sulla morte di 298 persone innocenti.

Fonte

* Si chiamano testate a frammentazione, presenti su praticamente tutti i missili aria-aria esistenti, tanto occidentali, quanto russi.

** Mi pare l'ennesima analisi tecnica presa molto per i capelli. Prima di aprire il fuoco, un intercettore il bersaglio deve raggiungerlo e tracciarlo con i propri sistemi di bordo. Il Su-25, velivolo progettato ed impiegato per il supporto aereo avanzato (quindi bombardamenti a bassa quota e relativamente bassa velocità), non possiede le caratteristiche per eseguire adeguatamente nessuna delle due operazioni.
Totalmente insensato anche il mitragliamento del bersaglio dopo averlo già abbattuto con un missile aria-aria.
Onestamente, se questi sono gli esperti (addirittura ex piloti e ingegneri di multinazionali aerospaziali) potrei spacciarmi per tale anche io.

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