di Michele Paris
Per coloro che
più difficilmente si lasciano trascinare nel vortice delle
notizie/propaganda a ciclo continuo del circuito dei media ufficiali, la
pressoché totale sparizione dalle cronache internazionali della vicenda
relativa al volo Malaysia Airlines MH17, precipitato il 17 luglio
scorso mentre attraversava i cieli dell’Ucraina orientale, continua ad
apparire estremamente sospetta.
La responsabilità del gravissimo
incidente, che era costato la vita a tutte e 298 le persone a bordo tra
passeggeri ed equipaggio, era stata subito attribuita dalle autorità di
Kiev ai ribelli separatisti filo-russi, in grado di portare a termine
una simile operazione grazie al sostegno militare e logistico di Mosca.
Anche
se le giustificazioni per la continua escalation di minacce e sanzioni
nei confronti del Cremlino sono negli ultimi tempi cambiate - come
conferma la più recente accusa della presunta invasione russa in Ucraina
- il “missile di Putin” che quasi sette settimane fa sembrava senza
alcun dubbio avere abbattuto il velivolo malese ha rappresentato forse
il fattore decisivo nel convincere anche i governi europei più cauti a
dare la loro approvazione ad un pacchetto di misure punitive destinate
alla Russia e volute fortemente da Washington.
Con una campagna
ben orchestrata, il regime golpista ucraino aveva fatto così sapere di
essere in possesso delle prove circa la responsabilità dei ribelli, i
quali erano stati colti da una registrazione di dubbia autenticità
mentre si autocelebravano per l’abbattimento di un aereo che forse
credevano appartenere alle forze armate di Kiev.
Gli Stati Uniti,
a loro volta, pur senza sostenere di avere prove irrefutabili che
conducessero a Mosca o ai ribelli, avevano fortemente suggerito questa
pista, dichiarando che a colpire il Boeing 777 era stato un missile
terra-aria lanciato da un sistema mobile denominato Buk e fornito ai
ribelli dalla Russia.
Questa ipotesi, priva di alcun fondamento
concreto e basata su informazioni di parte o su post apparsi nei vari
social network, probabilmente fabbricati ad arte, era stata accettata
senza tante riserve dalla stampa ufficiale in Occidente poiché tornava
utile alla loro propaganda anti-russa modellata sull’agenda ucraina di
Berlino e Washington.
La gravità dell’incidente e delle accuse
contro Mosca nel pieno della crisi in Europa orientale lasciava
ragionevolmente pensare a un’indagine tempestiva, una volta risolte le
difficoltà legate all’accesso al luogo del disastro in uno scenario di
guerra. L’aumentare dei dubbi sulla versione iniziale e l’emergere di
maggiori informazioni che hanno fatto pensare a spiegazioni alternative e
decisamente imbarazzanti per il governo ucraino e i suoi sponsor
occidentali, hanno determinato però di fatto l’insabbiamento dell’esame
delle scatole nere, mentre notizie sulla sorte del volo MH17 risultano
ormai quasi introvabili sui principali media internazionali.
Vista
la tendenza altamente manipolatrice di questi ultimi e dei governi
occidentali che appoggiano il governo di estrema destra a Kiev, è
impensabile che anche eventuali frammenti di informazioni emersi dalle
indagini finora condotte non verrebbero utilizzati come armi di
propaganda anti-russa se confermassero una qualche responsabilità dei
ribelli.
Per questa ragione, il silenzio apparentemente
inspiegabile a cui si assiste rende più che lecito sospettare la
presenza di materiale scottante che possa coinvolgere nei fatti del 17
luglio scorso proprio quelle forze che avevano per prime puntato il dito
contro Mosca e i separatisti ucraini.
A
tutt’oggi, d’altra parte, le forze di sicurezza di Kiev non hanno
ancora reso noti né i tabulati radar né le registrazioni delle
conversazioni nella torre di controllo che era in contatto col volo
MH17, informazioni requisite poco dopo il disastro e tanto più
importanti alla luce della notizia che all’aeromobile malese era stato
ordinato un cambiamento di rotta proprio pochi minuti prima
dell’abbattimento.
Le autorità olandesi, a cui erano state
consegnate le scatole nere per essere esaminate, avevano inoltre
annunciato l’11 agosto scorso di essere sul punto di pubblicare un
rapporto preliminare sui fatti, ma meno di due settimane più tardi hanno
comunicato che non è prevista alcuna data per la diffusione delle
registrazioni. Ogni giorno di attesa fa perciò aumentare il sospetto che
sia in atto una qualche falsificazione dei dati sull’incidente, così da
far coincidere l’esito delle indagini con la versione ufficiale.
A
questo punto, non è dunque necessaria una particolare predisposizione
cospirazionista per sospettare che il 17 luglio nei cieli dell’Ucraina
abbia potuto avere luogo un’operazione “false flag” ad opera di coloro
che per primi avevano formulato accuse sul disastro appena accaduto.
Le
indicazioni in questo senso appaiono molteplici e, in alcuni casi,
molto convincenti o, quanto meno, più convincenti di quelle presentate
finora da Kiev e Washington. Oltretutto, va ricordato che da un punto di
vista di convenienza politica, l’abbattimento di un velivolo commerciale
ad opera dei ribelli filo-russi avrebbe favorito l’emergere di un fronte
compatto a fianco del regime ucraino per aumentare i toni dello scontro
con Mosca, come è poi effettivamente accaduto, mentre nessun beneficio
ne sarebbe derivato per i separatisti.
Per cominciare, in ogni
caso, pochi giorni dopo il disastro, i vertici militari russi avevano
rivelato che il volo MH17, appena prima di scomparire dai radar, era
stato affiancato da aerei da guerra ucraini. Questa informazione si
sarebbe rivelata importante alcune settimane dopo in seguito
all’apparizione di alcune analisi dei resti dell’aereo provenienti da
fonti non sospette.
Il resoconto più dettagliato e attendibile
fin qui apparso sui media internazionali continua a essere quello
pubblicato ai primi di agosto dal quotidiano malese New Straits Times,
puntualmente ignorato da quasi tutta la stampa occidentale. Il pezzo in
questione risulta significativo non solo per le tesi che propone ma
ancor più perché la testata è considerata una sorta di organo di
propaganda del governo di Kuala Lumpur, come è noto tutt’altro che
ostile agli Stati Uniti e all’Occidente.
Secondo questa versione,
la stessa intelligence americana sarebbe arrivata alla conclusione che
ad abbattere il volo MH 17 sia stato un missile lanciato da un aereo da
guerra che volava nelle vicinanze e che le responsabilità dell’accaduto
siano da ricercare nel regime ucraino. A una simile conclusione si
sarebbe giunti in seguito all’analisi da parte di esperti delle immagini
dei resti del velivolo che mostravano segni differenti sulla fusoliera.
I
primi sembravano compatibili con l’impatto di una testata dotata di
“flechettes”, o piccole frecce metalliche che servono a fare il maggior
danno possibile contro un determinato obiettivo (*), e gli altri, con un
profilo più uniforme, prodotti dal fuoco di un mitragliatore di un aereo
da guerra.
Ciò
indicherebbe un danno che un missile lanciato da terra non avrebbe
potuto produrre e trova conferma anche nelle dichiarazioni rilasciate
già a fine luglio alla televisione canadese CBC dall’investigatore
dell’OSCE Michael Bociurkiw, uno dei primi a giungere sul luogo del
disastro in Ucraina orientale. Bociurkiw aveva parlato infatti di
frammenti ancora fumanti che portavano chiaramente i segni di colpi di
mitragliatore.
Sulla testimonianza al di sopra delle parti
dell’investigatore ucraino-canadese si era poi basato anche il pilota in
pensione della Lufthansa, Peter Haisenko, il quale dalle immagini
diffuse in rete dei resti del velivolo aveva notato dei fori di entrata
su un lato della cabina di pilotaggio e di uscita sul lato opposto,
entrambi compatibili con proiettili calibro 30.
Anche questa
valutazione indica che a colpire siano stati più velivoli militari
affiancati al volo MH17, poiché un missile terra-aria non poteva
penetrare l’aeromobile nella direzione descritta, né colpire in punti
opposti e lasciare il tipo di tracce riscontrate.
Riassumendo lo scenario che scaturirebbe dalle prove finora disponibili, un commento apparso recentemente sulla testata online Asia Times
ha infine proposto l’ipotesi di un ex membro dell’aeronautica militare
USA e ingegnere della Boeing. Per quest’ultimo, un jet ucraino Su-25
avrebbe potuto colpire con un missile aria-aria R-60 il 777 della
compagnia malese senza necessariamente volare alla sua stessa velocità o
altitudine.
In fase di crociera e in assenza di virate, sarebbe
infatti semplice calcolare il punto d’impatto, poiché è il missile R-60 a
raggiungere velocità e altitudine necessarie. Una volta colpito, il 777
sarebbe entrato rapidamente nel raggio d’azione diretta dei jet Su-25
che potrebbero averlo finito definitivamente con scariche di
mitragliatori.(**)
Sui molteplici dubbi e interrogativi sollevati in
queste settimane, in ogni caso, difficilmente verrà fatta luce a breve,
visto che l’ultima parola sulle indagini spetta sostanzialmente a quegli
stessi governi che avevano utilizzato la tragedia per i loro fini
strategici e che oggi sembrano avere tutto l’interesse a nascondere la
verità sulla morte di 298 persone innocenti.
Fonte
* Si chiamano testate a frammentazione, presenti su praticamente tutti i missili aria-aria esistenti, tanto occidentali, quanto russi.
** Mi pare l'ennesima analisi tecnica presa molto per i capelli. Prima di aprire il fuoco, un intercettore il bersaglio deve raggiungerlo e tracciarlo con i propri sistemi di bordo. Il Su-25, velivolo progettato ed impiegato per il supporto aereo avanzato (quindi bombardamenti a bassa quota e relativamente bassa velocità), non possiede le caratteristiche per eseguire adeguatamente nessuna delle due operazioni.
Totalmente insensato anche il mitragliamento del bersaglio dopo averlo già abbattuto con un missile aria-aria.
Onestamente, se questi sono gli esperti (addirittura ex piloti e ingegneri di multinazionali aerospaziali) potrei spacciarmi per tale anche io.
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