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03/09/2014

Jobs Act. Schermaglie iniziali in attesa dei colpi di clava

E' ormai evidente che l'approvazione del Jobs Act sia l'obiettivo prioritario del governo Renzi per i prossimi mesi. A pretenderlo, come conferma oggi La Repubblica, sono la Bce e la Commissione Europea in cambio della concessione di un po' di flessibilità sui conti pubblici. Imporre definitivamente il comando delle imprese sui lavoratori e l'azzeramento delle tutele, è una conferma della “lotta di classe dall'alto” dichiarata in questi anni dal capitale.

Le affermazioni del premier circolate avevano suscitato perplessità ai settori del Pd più vicini alla Cgil, soprattutto quando Renzi ha detto che il problema non è l'articolo 18, ma ha fatto riferimento alle meraviglie del "modello tedesco" sul mercato del lavoro. Stamattina, prima di recarsi a palazzo Chigi, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha voluto fare il punto con il Pd in una riunione alla quale partecipavano, tra gli altri, i capigruppo in Parlamento Luigi Zanda e Roberto Speranza, il presidente della commissione Lavoro di Montecitorio Cesare Damiano e il responsabile economia del Pd Filippo Taddei. "Il timore - spiega un esponente della sinistra Pd che non era presente alla riunione - è che sull'articolo 18 non ci sia solo Ncd, ma anche pressioni europee". Alcuni sostengono anzi che proprio questa potrebbe essere la condizione posta dalla Germania e dagli altri sostenitori del rigore: una riforma del lavoro simile a quella spagnola che ha precarizzato enormemente il lavoro e abbassato il monte salari a disposizione dei lavoratori.

L'esigenza di Renzi, spiegano in casa Pd, è quella di avere una “riforma strutturale” sul piano economico-sociale da presentare a Bruxelles e Francoforte per dimostrare che l'Italia sta facendo sul serio i compiti a casa e che, quindi, ha tutti i titoli per chiedere più flessibilità nella politica economica che la Germania e i custodi del “rigore” non vogliono concedere.

Giovedì inizia l'iter di discussione sul Jobs Act in Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, e al momento i capigruppo del Pd e Damiano hanno fissato alcuni paletti che danno il via libera al contratto unico a tutele crescenti evocato ieri da Renzi, a patto che non si metta assolutamente in discussione l'articolo 18. In realtà c'è anche la disponibilità a prevedere la sospensione dell'articolo 18 per i primi tre anni di contratto, a patto che allo scadere di quel termine ci siano incentivi fiscali per assumere a tempo indeterminato e che a quel punto l'articolo 18 sia garantito come per i vecchi lavoratori. Il responsabile economico del Pd, Taddei ha spiegato che "il richiamo al modello tedesco è un richiamo ad andare avanti nel percorso delle riforme sul mercato del lavoro, dopo il decreto Poletti. Il desiderio di arrivare a ammortizzatori sociali universali, a una semplificazione contrattuale che favorisca il lavoro stabile e a superare infine politiche attive di formazione regionalizzate e riportarle all'interesse nazionale". Fin qui siamo alle schermaglie, ma occorre verificare se questa linea del Pd sarà accettata dagli altri partiti di maggioranza, a cominciare da Ncd (dove i cultori della vendetta di classe scalpitano da tempo) e soprattutto dalla troika europea.

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