di Manilo Dinucci, da Il Manifesto, 30 settembre 2014
Si è formato «underground» negli ultimi due anni, approfittando del «caos della guerra civile in Siria»: così il presidente Obama ricostruisce in una intervista a 60 Minutes la genesi dell’Isis, dicendo di averlo «sottostimato» e di aver «sovrastimato» la capacità dell’esercito iracheno di combatterlo. Ragione per cui gli Stati Uniti «riconoscono che la soluzione sta divenendo militare». Obama prende così due piccioni con una fava: da un lato si assume la falsa colpa di aver sottovalutato l’Isis, non quella reale di averne agevolato lo sviluppo armando e infiltrando gruppi islamici in Siria e Iraq, dall’altro presenta l’immagine di una amministrazione dalle mani pulite oggi costretta a ricorrere alla forza militare per proteggere dall’Isis i civili siriani, curdi e iracheni.
Gli attacchi Usa si concentrano sugli impianti petroliferi siriani, con la motivazione che sono sfruttati dall’Isis: il piano è sicuramente quello di demolire l’intera rete delle restanti industrie e infrastrutture siriane per far crollare il governo di Damasco. Esse vengono colpite non solo dall’aria ma anche dal mare: due navi da guerra Usa, la Uss Arleigh Burke e la Uss Philippine Sea, stanno lanciando dal Mar Rosso e dal Golfo Persico centinaia di missili da crociera sugli impianti siriani. Contemporaneamente, mentre vengono armati e addestrati «gruppi ribelli siriani moderati», si sta preparando l’operazione di terra sotto il paravento del cosiddetto «piano Erdogan».
Il piano, ufficialmente proposto dal presidente turco, prevede la creazione di una «zona cuscinetto» in territorio siriano lungo il confine con la Turchia, rafforzata da una «no-fly zone» stabilita sulla Siria nord-orientale formalmente per proteggere i civili dagli attacchi degli aerei governativi siriani (che di fatto già oggi non possono sorvolare la zona, dominata dalla U.S. Air Force). Il piano è in realtà frutto della strategia Usa/Nato: lo confermano il segretario Usa alla difesa Hagel e il generale Dempsey, la massima autorità militare Usa, che si sono detti «disponibili a considerare la richiesta del presidente Erdogan». La creazione di una zona cuscinetto è «divenuta una possibilità», ha dichiarato il generale Dempsey, aggiungendo che essa richiederebbe «attacchi aerei per mettere fuori uso il sistema di difesa aerea del governo siriano» (The New York Times, 27 settembre).
La Turchia è l’avamposto dell’operazione militare contro la Siria: qui la Nato ha oltre venti basi aeree, navali e di spionaggio elettronico, rafforzate nel 2013 da 6 batterie di missili Patriot statunitensi, tedesche e olandesi, in grado di abbattere velivoli nello spazio aereo siriano. A queste basi si è aggiunto uno dei più importanti comandi dell’Alleanza: il Landcom, responsabile di tutte le forze terrestri dei 28 paesi membri, attivato a Izmir (Smirne) (v. il manifesto del 16 luglio 2013). Lo spostamento del comando delle forze terrestri alleate dall’Europa alla Turchia – a ridosso del Medio Oriente (in particolare Siria, Iraq e Iran) e del Caspio – indica che, nei piani Usa/Nato, si prevede l’impiego anche di forze terrestri in quest’area di primaria importanza strategica.
Il Landcom, agli ordini del generale Usa Hodges, fa parte del Jfc Naples, la Forza congiunta alleata con quartier generale a Lago Patria, agli ordini dell’ammiraglio Usa Ferguson, che è allo stesso tempo comandante della Forza congiunta alleata, delle Forze navali Usa in Europa e delle Forze navali del Comando Africa. Un gioco strategico delle tre carte, che permette al Pentagono di mantenere sempre il comando.
Come documentano anche inchieste del New York Times e del Guardian, nelle province turche di Adana e Hatai, confinante con la Siria, la Cia ha aperto centri di formazione militare di combattenti da infiltrare in Siria, nei quali sono stati addestrati gruppi islamici (prima bollati da Washington come terroristi) provenienti da Afghanistan, Bosnia, Cecenia, Libia e altri paesi. Le armi arrivano soprattutto via Arabia Saudita e Qatar. A bordo di navi Nato nel porto di Alessandretta c’è il comando delle operazioni. Quello che sta preparando il «piano Erdogan».
Fonte
Un anno fa, Obama e compagni furono buttati fuori a calci dalla porta principale, ora tornano in Siria passando dalla finestra.
Prima o poi dovrebbe arrivare la risposta russa e cinese al nuovo interventismo Usa, ma considerate le gatte da pelare che Putin ha in Ucraina e Jinping a Hong Kong, è probabile che l'azione sarà meno incisiva di quella che si vide nel corso dell'estate 2013, e la Siria farà la fine della Libia, una volta per tutte.
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