Finita la tregua di 5 giorni, l’Arabia Saudita è tornata a bombardare
le postazioni degli Houthi in Yemen, mentre i ribelli sciiti hanno
ripreso a combattere contro le forze leali al presidente Abd Rabbo
Mansour Hadi. Una tregua ufficialmente “umanitaria” che però ha perso
l’occasione di diventare anche una tregua politica: a Riyadh è ripresa
infatti la conferenza tra i partiti yemeniti, che vede assente una
componente fondamentale del conflitto in atto: il movimento Houthi.
I presupposti lasciavano già intendere la vera natura dei colloqui “tra le parti”: non
un dialogo per mettere fine alle ostilità e negoziare una soluzione
politica alla crisi yemenita, bensì una farsa volta solo ad avallare
ulteriormente le operazioni militari della coalizione anti-Houthi per
schiacciare la ribellione sciita nel paese e ribadire la proprietà
saudita sul suo vicino meridionale. Lo ha ripetuto chiaramente
anche Abdulaziz al-Jaber, presidente del comitato organizzatore della
conferenza: “Questo non è un tavolo di dialogo – aveva avvertito sabato
scorso – ma una conferenza decisionale. Quello che avverrà a Riyadh è un
annuncio di un accordo che sarà vincolante per tutte le parti presenti a
Riyadh”.
Il movimento Houthi, infatti, aveva avvertito mesi fa che non avrebbe
mai partecipato a un summit a Riyadh, che si sarebbe dovuto tenere
piuttosto in Yemen. Ma il presidente Hadi, forte del sostegno saudita e
accolto dalla monarchia wahhabita dopo che gli Houthi avevano colpito il
suo compound di Aden, eletta dal suo governo “capitale ad interim“, aveva deliberatamente deciso che una fazione del conflitto non avrebbe preso parte ai colloqui. Neanche
i delegati del Congresso Generale del Popolo, il partito di Saleh,
avranno un peso nel summit di tre giorni nella capitale saudita, sebbene
alleati degli Houthi: “Non tratteremo con Saleh – ha aggiunto al-Jaber –
né con altri personaggi colpiti da sanzioni internazionali”.
Dalla conferenza ci si aspetta quindi una risoluzione che
autorizzi la coalizione, capitanata dall’Arabia Saudita, ad aumentare la
portata delle operazioni militari fino a distruggere gli Houthi.
E mentre il nuovo inviato dell’Onu Ismail Ould Cheikh Ahmed chiedeva a
gran voce un estensione del cessate il fuoco umanitario, Riyadh
ricominciava a scaricare bombe sulle postazioni controllate dagli
Houthi, tra cui il palazzo presidenziale di Sanaa occupato dal movimento
sciita nel gennaio scorso e le basi dell’esercito dei fedeli dell’ex
presidente Saleh. Nelle zone meridionali del paese, invece, gli Houthi
si stanno scontrando con il fronte pro-Hadi, costituito da parte
dell’esercito, milizie tribali sunnite e combattenti del movimento
indipendentista del sud.
Le stime dell’Onu parlano di circa 1.600 morti dall’inizio
dell’offensiva militare della coalizione anti-Houthi, iniziata il 26
marzo, mentre sarebbero oltre 300 mila gli sfollati. Gli aiuti
umanitari sono stati distribuiti a diversi centri sanitari nei giorni
scorsi ma, come denunciano le autorità di Aden, nelle zone
sud-occidentali del paese l’assistenza è molto più lenta a causa dei
combattimenti in corso: secondo Al-Khader Laswar, responsabile sanitario
delle strutture di Aden, ci sarebbero oltre 3 mila persone bisognose di
cure, ma la maggior parte degli ospedali in città non funziona e molti
dottori sono scappati.
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