Sta per nascere una sorta di “Emirato di Gaza”. Promosso
dalla Turchia, aiutato economicamente dal Qatar, questo emirato sarà
partorito da un accordo, pare imminente, tra Israele e il movimento
islamico Hamas, che controlla la Striscia di Gaza dal 2007.
L’accordo, mediato anche dall’ex premier britannico Tony Blair, prevederebbe
secondo i media locali la revoca del blocco di Gaza che Israele attua
da otto anni in cambio di un cessate il fuoco a lungo termine. Gaza avrà a disposizione un porto galleggiante e una rotta marittima aperta che la collegherà a Cipro.
È quasi superfluo scrivere che la popolazione di Gaza è largamente
favorevole a questa soluzione che potrebbe mettere fine ad anni di
sofferenze e restrizioni per la Striscia, peraltro teatro tra il 2009 e
il 2014 di tre offensive militari israeliane e vittima negli ultimi due
anni delle politiche punitive del regime egiziano di Abdel Fattah al Sisi (nemico dei Fratelli Musulmani, organizzazione alla quale appartiene Hamas). Tuttavia questo possibile accordo pone seri interrogativi e aggrava i problemi interni della politica palestinese.
Non solo Fatah, il partito del presidente dell’Anp Abu Mazen rivale
di Hamas, ma anche il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
e il resto della sinistra, il Jihad Islami e altre forze politiche, denunciano i rischi che esso rappresenta per l’unità palestinese. A vantaggio, affermano, del governo israeliano che grazie alla divisione politica e territoriale tra Cisgiordania e Gaza potrà impedire con più facilità la realizzazione delle aspirazioni nazionali dei palestinesi.
Su quale Stato di Palestina, si chiedono in tanti, un qualsiasi
esecutivo politico palestinese potrà esercitare la sua autorità se una
porzione di esso, Gaza, ha un suo accordo separato con Israele? Anzi,
aggiungono altri, lo Stato palestinese alla fine potrebbe essere solo a
Gaza, con la Cisgiordania destinata ad ospitare dei bantustan ad alta
concentrazione di popolazione araba.
Proprio come fece il presidente Yasser Arafat nel 1993 che,
senza chiedere il consenso alle altre forze politiche palestinesi,
intavolò trattative segrete con lo Stato ebraico e siglò gli Accordi di
Oslo, così ora il movimento islamico si prepara, con un negoziato segreto, a raggiungere le sue intese separate con Israele, imponendole alle altre forze politiche. Il contesto è diverso dal 1993 ma la sostanza è la stessa.
La tregua a lungo termine con Israele proseguirà la trasformazione di
Gaza in una entità territoriale separata, rendendola quell’Emirato (di
fatto) che stava piano piano nascendo dopo le rivolte arabe del 2011
grazie alla Turchia, al Qatar e all’ex presidente islamista egiziano
Mohammed Morsi, ma che ha subito una battuta d’arresto dopo il golpe
militare al Cairo e il parziale declino nella regione dell’influenza dei
Fratelli Musulmani a vantaggio dei salafiti sponsorizzati dall’Arabia Saudita.
L’accordo separato Hamas-Israele è la fine, almeno per i prossimi anni, della riconciliazione politica tra palestinesi sotto occupazione militare. Sono ampie e gravi le responsabilità di Abu Mazen e di Fatah nella mancata riconciliazione interna palestinese. Da parte sua Hamas sta sigillando la bara dell’unità nazionale.
Già oggi una delegazione del movimento islamico, non è chiaro se
guidata dall’ex premier Ismail Haniyeh, andrà al Cairo per tentare di
affievolire l’opposizione dei vertici egiziani a un accordo sostenuto
dal loro “nemico” islamista turco Erdogan e che rappresenta un
riconoscimento del potere di Hamas (quindi dei Fratelli Musulmani) a
Gaza. Poi dovrebbe proseguire per la Turchia e il Qatar, dove ad
attenderla c’è il leader di Hamas, Khaled Mashaal, per definire gli
ultimi dettagli delle intese con Israele.
Secondo il quotidiano londinese Al Hayat, Gaza potrà importare ed esportare le sue merci attraverso una “porta galleggiante” situata a 3 chilometri della costa. Un’altra porta sarà a Cipro, dove i prodotti da e per la Striscia saranno controllati da militari della NATO. Il giornale di Hamas, Al Resalah,
aggiunge che Israele chiede di includere nell’accordo anche la
restituzione di “prigionieri israeliani vivi e morti”, ossia l’ebreo
etiope Avira Mengistu e un beduino entrati nella Striscia di Gaza
illegalmente e i resti di due soldati rimasti uccisi durante l’offensiva
di un anno fa.
Un altro giornale al Masdar scrive che il governo Netanyahu permetterà l’ingresso in Israele a migliaia di lavoratori pendolari di Gaza. Hamas
allo stesso tempo fermerà il lancio di razzi su Israele da parte anche
delle altre fazioni palestinesi, anche con l’uso della forza, e cesserà
di scavare gallerie sotterranee sotto il confine per un periodo di 5-10
anni. «Alcuni parti dicono che Hamas avrebbe accettato uno
Stato a Gaza ma noi non accettiamo uno Stato sul 2% della terra della
Palestina» ha protestato Ismail Haniyeh in un’intervista ad Al Quds al
Arabi, spiegando che sul tavolo c’è soltanto una intesa di cessate il
fuoco. Le altre forze politiche palestinesi ribattono che nei fatti a
Gaza nascerà uno Stato con l’approvazione di Israele.
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