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11/09/2015

La Russia sostiene la Siria? Un allarmismo fuori bersaglio


Il Cremlino fornisce armi al governo siriano durante la guerra in corso, e la Russia ha anche svolto un ruolo nella formazione dell'esercito siriano. Da due giorni i media mainstream esaltano ed alimentano a dosi industriali le “inquietudini” intorno alla scoperta dell'acqua calda.

“Nessuno ama Bashar Assad, neanche i russi e neppure gli iraniani: ma oggi appare il male minore, unica alternativa alla vittoria dei jihadisti. Non per questo Mosca, rafforzando il suo sostegno militare a Damasco, intende far esplodere la terza guerra mondiale, come sembrava sfogliando ieri le prime pagine di alcuni giornali” ironizza oggi – e giustamente – Alberto Negri sul Sole 24 Ore.

Molti fanno finta – o forse non se ne erano neanche accorti all'epoca – di dimenticare quanto aveva affermato Putin sulla situazione in Siria nel vertice del G8 di San Pietroburgo tre anni fa. Il vertice si era spaccato intorno a due documenti: uno presentato dagli Usa, l'altro dalla Russia. L'Italia del governo Letta li aveva... sottoscritti tutte e due creando serissimi imbarazzi.

L'Associated Press ricorda come già nel 2012 l'ex ministro della Difesa russo Anatoly Serdyukov aveva ammesso che "militari e consulenti tecnici " erano in Siria. "Gli specialisti militari russi si trovano in Siria per addestrare i soldati di Damasco nell'uso delle attrezzature belliche arrivate dalla Russia e non partecipano al conflitto", aveva assicurato il Cremlino. 

Davanti all’escalation delle agenzie internazionali che sembrano aver scoperto solo negli ultimi giorni il sostegno russo alla Siria, è stato lo stesso ministro degli esteri russo, Lavrov, a chiarire in conferenza stampa che negli aerei russi inviati in Siria, anche attraverso il corridoio aereo aperto dall'Iran “ci sono equipaggiamenti militari in conformità con i contratti esistenti e gli aiuti umanitari". Lavrov ha inoltre precisato che "Continuiamo ad aiutare il governo siriano nell'equipaggiare l'esercito siriano con tutto il necessario in modo da scongiurare il ripetersi in Siria dello "scenario libico" e di altri eventi sfortunati che si sono verificati in questa regione per l'ossessività delle idee dei nostri partner occidentali di spodestare i governi non graditi," – ha detto il capo della diplomazia russa.

Anche la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha ribadito che: "Il nostro Paese da tempo fornisce in Siria armi ed attrezzature militari in conformità con i contratti bilaterali esistenti. Le armi che vengono consegnate all'esercito siriano hanno lo scopo di contrastare la minaccia terroristica che ha raggiunto livelli senza precedenti in Siria e nel vicino Iraq. In Siria ci sono esperti militari russi per aiutare a maneggiare le armi in arrivo. A Tartus c'è un centro di servizio per le navi della Marina militare russa".

Prevedibili le reazioni e le preoccupazioni delle potenze della Nato. “Gli Stati Uniti sono preoccupati per le notizie sul dispiegamento da parte della Russia di ulteriore personale militare e di aerei in Sira – ha affermato il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest – queste azioni potrebbero far aumentare il numero dei morti, potrebbero far aumentare i flussi di rifugiati e il rischio di un confronto con la coalizione anti-Isis che sta operando in Siria”.

"Sono preoccupato dalle notizie di un'aumentata presenza militare russa in Siria, che non contribuirà a risolvere il conflitto.” ha dichiarato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, “Ora è importante sostenere tutti gli sforzi per trovare una soluzione politica al conflitto, e noi sosteniamo moltissimo gli sforzi delle Nazioni Unite".

Dunque il “rumore di sciabole” di Mosca è servito a far parlare alla Nato il linguaggio della soluzione “politica” invece che quello dell’intervento militare in Siria, cioè quella opzione bellica che negli ultimi anni sembrava ormai delineata. “Due anni fa Mosca, sostenuta dal Vaticano, ha usato la diplomazia per salvare l’amministrazione Obama da se stessa quando Washington era pronta a bombardare l’esercito di Assad per rispondere alle accuse (forse non vere) di avere usato i gas contro i civili” sottolinea ancora Alberto Negri “Questa volta l’unico modo in cui la Russia può evitare il disastro è mostrare che non intende scaricare il regime di Damasco”. Non solo. Nei giorni scorsi la Russia ha rilanciato l'idea di una coalizione internazionale contro il terrorismo, a cominciare dall'Isis, ma la proposta di Mosca è stata lasciata cadere nel vuoto dalle cancellerie occidentali.

Contestualmente all'enfasi sul sostegno russo alla Siria, è rimasto più sottotraccia il flop del programma statunitense teso a creare una milizia di ribelli siriani anti-Assad addestrata negli Usa. Funzionari della sicurezza nazionale statunitense si riuniranno questa settimana per discutere le opzioni e decidere se rinnovare il programma del Pentagono di addestramento ed equipaggiamento dei ribelli siriani “moderati”, ha confermato un funzionario della Difesa statunitense alla CNN. Il Pentagono sta riesaminando il programma dopo che un gruppo iniziale di circa 54 ribelli addestrati dagli Usa e inviato in Siria settentrionale è stato attaccato e messo fuori combattimento. Wahington starebbe anche esaminando collaborazioni con altri gruppi di ribelli, come i curdi del YPG, ma la cosa appare problematica in quanto i gruppi hanno agende diverse da quella statunitense. Il Pentagono continua ad esprimere la fiducia nel programma di addestramento e invio di ribelli formati negli Usa e l’impegno sarebbe quello di continuare. Il segretario alla Difesa Ashton Carter, "crede ancora che è importante per fornire supporto alle forze siriane moderate", ha detto martedi il portavoce del Pentagono Peter Cook. "Abbiamo intenzione di continuare a progredire con il programma” insistono a dire a Washington.

“Ostacolare il flusso di armi russe in questa regione, come fanno americani, turchi e arabi col complice silenzio quasi unanime degli europei, significa schierarsi con i tagliagole islamici e favorire il massacro di centinaia di migliaia di siriani sciiti” è l'impietosa valutazione del sito specializzato Analisi Difesa non certo imputabile di simpatie filorusse o filo Assad. “Del resto affermare, come fa la Casa Bianca, che le armi russe destabilizzerebbero la Siria è ridicolo” sottolinea il suo direttore Gianandrea Gaiani.

Sul versante europeo, mentre Italia e Germania si smarcano ed anzi giudicano negativamente l'ozpione militare contro la Siria, Francia e Gran Bretagna annunciano bombardamenti contro le postazioni dell'Isis (fino ad oggi però assai rari e completamente inefficaci) ma con l'obiettivo prioritario di “cacciare via Assad”. Insomma bombardare quelli che vogliono mandare via Assad per sostituirlo con un califfato sanguinario per raggiungere il loro stesso obiettivo, appare non solo contraddittorio ma addirittura avventurista, come dimostrato dalla destabilizzazione e dalle guerre asimmetriche scatenate negli ultimi dodici anni contro Iraq e Libia.

Gli Stati Uniti giocano invece una partita più complessa. Hanno destabilizzato sistematicamente il Medio Oriente per impedire che in questa regione emergesse una potenza più potente delle altre, giocano la partita dei prezzi del petrolio contro i loro rivali (Russia, Venezuela) ma poi approdano ad un contrastato accordo con l'Iran; riscaldano e congelano le relazioni con le petromonarchie del Golfo una volta per rafforzarne l'influenza nella regione ed un altra per impedire che vada oltre il consentito, come nel caso del sostegno che forniscono – ormai pubblicamente – ai tagliagole dell'Isis. Un comportamento analogo – stop and go – viene usato verso un'altra potenza regionale come la Turchia. E poi c'è Israele con cui le relazioni con gli Usa sono sotto tensione proprio per questo doppio o triplo standard nelle relazioni in Medio Oriente, cosa che Tel Aviv non gradisce affatto.

In questo caos sempre più destabilizzante e con molteplici soggetti in campo, la mossa della Russia ha il pregio di mettere sulla tavola tutte le carte, inclusa quello dell'equilibrio delle forze e della consapevolezza della pericolosa posta in gioco qualora uno di essi scegliesse la strada disastrosa dell'avventurismo militare, in Medio Oriente come in Ucraina.

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