Giovedì 24 settembre, sera, quartiere di Ambelokipi. Il comitato locale di Laikì Enotita, Unità Popolare, si riunisce per valutare i risultati elettorali, ma soprattutto per interrogarsi sul futuro.
La saletta è piena: persone di tutte le età, tanti i giovani e le donne, qualche vecchio militante che ha vissuto l'occupazione nazista e i tempi durissimi della guerra civile, molti anziani perseguitati ed esuli ai tempi dei colonnelli, ma anche gente comune, senza un passato politico particolare, attivatisi nei comitati del NO Memorandum.
Temevo di trovare un'assemblea triste, scoraggiata e astiosa; invece mi trovo ad ascoltare interventi lucidi e coraggiosi, che analizzano a fondo la sconfitta, ma non concedono spazio alla disperazione né si lasciano inghiottire da quello che un intervenuto definisce “il deserto del reale, la desertificazione della società, non casuale, disegnata da coloro che hanno le regole del mondo tra le mani”.
All'interno di tale deserto il successo elettorale di Syriza non è una solida vittoria della volontà popolare, ma soltanto un miraggio, la Fata Morgana che nasconde il vuoto orizzonte e la morte vicina.
Anche la sconfitta di Unità Popolare e la sua esclusione dal Parlamento, rapportata alla futura devastazione, ha un valore relativo.
Tale la prospettiva in cui sono analizzate le cause dell'insuccesso, oggettive (il poco tempo per prepararsi elettoralmente e per creare un fronte comune , la povertà dei mezzi di propaganda, l'oscuramento massmediatico) e soggettive (il fatto di essere percepiti come “troppo” o come “troppo poco”, salto nel buio dell'uscita dall'euro, o, al contrario, propaggine di Syriza; il voto utile a Syriza per scongiurare la vittoria delle destre; l'effetto “leader carismatico”, a detta dei vecchi compagni tipica dell'elettorato greco, che questa volta ha favorito Tsipras).
Parecchi interventi sottolineano la vera novità elettorale: l'accresciuto numero delle astensioni: quasi la metà degli aventi diritto non si è recata alle urne: hanno rinunciato a votare i nuovi elettori diciottenni, almeno il 70% dei giovani disoccupati, sicuramente chi aveva visto il voto di gennaio a Syriza e il NO referendario come ultima spiaggia ed ora deluso torna a casa.
“E' l'astensione a denunciare l'inadeguatezza della classe politica presente rispetto ai tempi di ferro e fuoco che verranno, lo scippo ai danni del potere popolare, l'ottusa indifferenza dell'acropoli, rispetto alla morte per fame dell'agorà. Ma l'astensione è anche urlo di ribellione, serbatoio di lotte future, senza concedere più deleghe”.
Pur nelle sfumature diverse delle analisi, l'assemblea è unita nell'immaginare un futuro per Unità Popolare. Sono i più giovani a dirlo con le parole più semplici e chiare: “Non dobbiamo sentirci vinti perché non siamo in Parlamento: avremo più tempo è minori condizionamenti per lavorare fuori, attraverso la democrazia diretta, una solidarietà tra oppressi che non sia solo di facciata, ma trovi strumenti concreti di ribellione...”. “Il nostro programma deve rispondere a quale società vogliamo. Per trovare vie d'uscita non possiamo chiuderci in recinti identitari, ma essere compagni di strada a coloro che, senza mediazioni e tatticismi, vogliono davvero un mondo più giusto e vivibile per tutti. Dobbiamo investire sulla rabbia, non per fomentarla, ma per sostanziarla e le si dà sostanza solo con i movimenti...”. “Contro il memorandum, contro la miseria indotta che ci uccide dobbiamo rompere le società virtuali, smettere di pagare le tasse, i mutui, l'elettricità... Tutti insieme possiamo resistere: i terreni possono essere coltivati, i lavoratori organizzati, i saperi e i beni collettivi salvaguardati, i legami di lotta estesi a tutto il mondo...”.
Dunque il cammino non è finito, e, per affrontarlo, è necessario organizzarsi: “Organizzarci non solo sui territori, ma sui posti di lavoro, nella terra di nessuno della indigenza e della precarietà. Dobbiamo mettere punto e basta alla nostra disperazione. Certo è presto per prevedere l'intensità e la durata di quel che ci succederà, ma è fondamentale agire subito, darci un programma concreto e praticabile e su questo creare un fronte, inclusivo, con la memoria del passato e la responsabilità verso il futuro...”.
Prende la parola un anziano, ultraottantenne (al suo arrivo era stato festeggiato da tutti). Non ha analisi da fare, solo una poesia, sua, da leggere. La legge con voce rotta di commozione:
“Si deve.
Ti hanno dichiarato guerra, operaio.
Nella lotta ìmpari, impàra qualcosa.
Non lasciare lo scudo per terra
la lancia e l'arco, la speranza.
Ti hanno dichiarato la guerra: comincia!
Chiudi le orecchie adesso alla sirena,
a coloro che ti hanno insegnato a tacere
che ti hanno insegnato la pazienza...
Devi vivere, devi vivere
nelle strade della lotta mostrarlo.
Devi arrivare, devi arrivare
plasmare la tua nuova società
Ti hanno dichiarato la guerra,
fai la guerra!
I margini sono stretti ormai per te,
senza dubbio, ma dei tuoi sogni
si riflette la paura nei loro occhi.
Devi vivere, devi vivere
sulle strade della lotta mostrarlo
per plasmare una nuova società.”
C'è un silenzio assorto intorno al vecchio che legge e la sua voce ha il timbro e il pathos degli antichi aedi, ma anche la forza dei poeti incarcerati di Makronissos.
Ecco, questa è la Grecia, questo il suo popolo che, anche nei momenti più bui, sa trovare slanci di poesia, la capacità di rialzarsi e rimettersi in cammino.
Quando, dopo gli abbracci e i saluti per i compagni italiani e per il movimento NO TAV, me ne torno alla mia stanzetta ateniese, la luna splende alta nel cielo rasserenato, e il suo grande volto sorride alla città fattasi silenziosa, ai viali lavati dalla pioggia, ai giardini che profumano di gelsomini...
Sorride anche a me che improvvisamente mi sento leggera, libera da quella che qui chiamano la “melancolia di sinistra”, l'oppressione sorda delle vie senza uscita e dei sogni infranti.
Questa luna la ritroverò domani, lontano da qui, fra le mie montagne. La sentirò parlarmi ancora di questa città che amo. E vorrò ritornare.
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