Un articolo scritto per lanciare pubblicitariamente un libro, scritto o dettato da Steve Pieczenick, uomo della Cia inviato in Italia all'indomani del sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, anche lui approdato alla vitale esigenza di alzare due lire attingendo alla Storia. Nel merito, a parte una robusta dose di narcisismo esibita dall'autore, non viene segnalata alcuna novità sostanziale sull'episodio più importante della lotta armata in Italia.
Pieczenick racconta che i servizi segreti italiani e persino la locale stazione della Cia erano disorientati, impreparati di fronte alla “geometrica potenza” messa in strada a via Fani. Brancolavano nel buio per quanto riguarda l'identità e il radicamento sociale dei brigatisti, erano incerti sul cosa fare e dove partire per operare (basta qui rammentare i ricordi di don Mennini, qui). Un disastro chiaramente rintracciabile nei giornali dell'epoca e che contrasta frontalmente con tutte le fantasie dietrologiche costruite dopo. Nessuna “macchina onnisciente” a governare le dinamiche del sequestro, ma un vero e proprio scontro – politico, militare, ideale, valoriale – tra soggetti assolutamente indipendenti e mortalmente nemici.
Il ruolo di Pieczenick, secondo le sue stesse parole, è quello di impedire la trattativa proposta dalle Br e che incontrava qualche sostenitore nel Psi di Craxi e Signorile ed anche in alcuni ambienti democristiani. Su questo obiettivo poteva contare sulla collaborazione assoluta di Cossiga, Andreotti e del Pci, intenzionati (per i motivi più diversi e con gli interessi più diversi) a non permettere alcun “riconoscimento politico” delle Br come soggetto antagonista.
Inutile qui stare a ricostruire le diverse ragioni (il Pci non poteva ammettere alcun soggetto comunista collocato alla sua sinistra, secondo un antico costume per cui persino il gruppo fondatore de il manifesto, dopo l'espulsione, poteva essere accusato di intelligenza con il nemico, riassunta nello slogan “chi li paga?”; in ogni caso aveva investito tutto sul "compromesso storico"), i diversi obiettivi (Andreotti si preoccupava solo di salvare il suo governo, ecc). Quel che conta è che il “fronte della fermezza” consentiva a Pieczenick di raggiungere più facilmente l'obiettivo della Cia: non permettere che in Italia la guerriglia venisse legittimata come antagonista politico, declassandola a puro fenomeno “criminale” e inspiegabile (torneremo sull'invenzione, avvenuta allora, del termine terrorismo come divieto assoluto di indagare i fenomeni conflittuali).
Persino il falso “comunicato della Duchessa” viene rivendicato da Pieczenick come una propria pensata, anche se concretamente realizzata dai servizi italiani. Come del resto l'avevano classificato immediatamente le stesse Br, diramando il vero “comunicato n. 7”. Zero misteri, dunque.
Insomma, un articolo e un libro che non aggiungono nulla di utile alla letteratura dietrologica e fantasy sull'argomento. Tranne una parola, usata probabilmente per vanteria da uno psichiatra un tantino psicopatico (è da sottolineare che la carriera successiva di Pieczenick non appare una catena di successi): “ho manipolato le Br”.
Caliamoci un attimo nella realtà empirica delle possibili manipolazioni. Il modo più diretto, e dietrologicamente più efficace, di “manipolare” qualcuno consiste nell'avvicinarlo fisicamente, parlarci, suggestionarlo, in modo da indirizzarlo passo dopo passo verso la conclusione desiderata.
Pieczenick ha forse parlato con qualche brigatista? Assolutamente no. Anzi, lui stesso si sente ben presto nel mirino, ancorché piovuto in Italia in incognito, tanto da «stringere più che mai la Beretta che avevo in tasca» ogni volta che usciva di casa. Anche nel più contorto del thriller, insomma, se uno ti vuole far fuori non è esattamente né un amico, né un alleato, tantomeno un “sottoposto” (che è poi il modo in cui la vulgata dietrologica di matrice Pci descrive le Br).
Bene. A che si riduce allora la “manipolazione” ordita da Pieczenick? Secondo quel che lui stesso dice, sta tutto nel rafforzare il “fronte della fermezza”, nel bloccare ogni tentazione “trattativista”, nel far accettare anche la conclusione drammatica del sequestro pur di puntellare la sconquassata classe politica italiana e quindi un alleato strategico fondamentale degli Stati Uniti (il mondo, allora, era diviso in due, non il caos infernale di oggi). Ovvero nel mettere in campo un'analisi cinica delle possibili mosse e contromosse, finte e controfinte, come fisiologicamente avviene in qualsiasi battaglia, in modo da avere il risultato meno svantaggioso possibile (la morte di Moro o la crisi verticale della classe politica italiana).
Una volta sradicata ogni possibilità di scambio dei prigionieri, una volta congelata la “fermezza”, era una conseguenza pressoché inevitabile che si arrivasse all'esito mortale. Le Br avevano già quattro anni prima rilasciato un ostaggio molto meno importante – il giudice Mario Sossi – senza ottenere nulla in cambio. Fare il bis, come spiegato poi da tutti i principali dirigenti dell'organizzazione, avrebbe significato stabilire un format ripetitivo e scontato, un impedimento di fatto a proseguire sulla via intrapresa, quella della lotta armata.
Insomma, se Pieczenick ha davvero “manipolato” qualcuno questi erano i maggiorenti della Dc e del Pci. Mentre le per lui irraggiungibili Br venivano semplicemente strette in un'alternativa classica di ogni scontro armato: rinunciare ad andare avanti oppure fare una scelta che comunque sarebbe stata un danno.
Un giornalista normale avrebbe notato da solo le banalità che siamo andati scrivendo. E invece il titolista de La Stampa, così come il redattore, si avvinghia furiosamente alla parola autocelebrativa pronunciata da Pieczenick (anche se ci piacerebbe vedere il testo originale in inglese; perché magari già il traduttore del libro si era concesso un margine di “decisionismo” scandalistico in più, per “spingere” più efficacemente le vendite dell'ennesimo libro sul caso Moro...). Quindi vai a tutta pagina con “ho manipolato le Br per far uccidere Moro”. E che non si dica che non ci abbiamo provato, a promuovere le vendite...
Goebbels sarebbe felice di vedere quanti seguaci “sinceramente democratici” continuano a praticare i suoi insegnamenti...
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Ho manipolato le Br per far uccidere Moro
Dopo 30 anni le rivelazioni del «negoziatore» Usa
«Ho mantenuto il silenzio fino ad oggi. Ho atteso trent’anni per rivelare questa storia. Spero sia utile. Mi rincresce per la morte di Aldo Moro; chiedo perdono alla sua famiglia e sono dispiaciuto per lui, credo che saremmo andati d’accordo, ma abbiamo dovuto strumentalizzare le Brigate Rosse per farlo uccidere. Le Br si erano spinte troppo in là». Chi parla è Steve Pieczenick. Un uomo misterioso, che volò in Italia nei giorni del sequestro Moro, inviato dall’amministrazione americana ad «aiutare» gli italiani. Pieczenick non ha mai parlato di quello che fece in quei giorni. Dice addirittura di essersi impegnato con il governo italiano di allora a non divulgare mai i segreti di cui è stato a conoscenza. Ed è un fatto che né la magistratura, né le varie commissioni parlamentari sono mai riuscite a interrogarlo. Finalmente però l’uomo del silenzio ha parlato con un giornalista, il francese Emmanuel Amara, che ha scritto un libro («Abbiamo ucciso Aldo Moro», Cooper edizioni) sul caso.
Le rivelazioni sono sconvolgenti. Pieczenick, che è uno psichiatra e un esperto di antiterrorismo, avrebbe avuto un ruolo ben più fondamentale in quei giorni. E che ruolo. «Ho manipolato le Br», dice. E l’effetto finale di questa manipolazione fu l’omicidio di Moro.
Il «negoziatore» Pieczenick arriva a Roma nel marzo 1978 su mandato dell’amministrazione Carter per dare una mano a Francesco Cossiga. E’ convinto che l’obiettivo sia quello di salvare la vita allo statista. Ben presto si rende conto che la situazione è molto diversa da quanto si pensi a Washington e che l’Italia è un paese in bilico, a un passo dalla crisi di nervi e dalla destabilizzazione finale.
Da come maltratta l’ambasciatore e il capostazione della Cia si capisce che Pieczenick è molto più di un consulente. E’ un proconsole inviato alla periferia dell’impero. «Il capo della sezione locale della Cia non aveva nessuna informazione supplementare da fornirmi: nessun dossier, nessuno studio o indagine delle Br... Era incredibile, l’agenzia si era completamente addormentata. Il colmo era il nostro ambasciatore a Roma, Richard Gardner. Non era una diplomatico di razza, doveva la sua nomina ad appoggi politici». Cossiga è molto franco con lui. «Mi fornì un quadro terribile dalla situazione. Temeva che lo Stato venisse completamente destabilizzato. Mi resi conto che il paese stava per andare alla deriva».
Nella sua stanza all’hotel Excelsior, e in una saletta del ministero dell’Interno, Pieczenick comincia lo studio dell’avversario. Scopre che invece sono i terroristi a studiare lui. «Secondo le fonti di polizia dell’epoca, ventiquattr’ore dopo il mio arrivo mi avevano già inserito nella lista degli obiettivi da colpire. Fu allora che capii qual era la forza delle Brigate Rosse. Avevano degli alleati all’interno della macchina dello Stato».
Una sgradevole verità gli viene spiegata in Vaticano. «Alcuni figli di alti funzionari politici italiani erano in realtà simpatizzanti delle Brigate Rosse o almeno gravitavano nell’area dell’estrema sinistra rivoluzionaria. Evidentemente era in questo modo che le Br ottenevano informazioni importanti». Così gli danno una pistola. «Ogni volta che uscivo in strada stringevo più che mai la Beretta che avevo in tasca».
Comincia una drammatica partita a scacchi. «Il mio primo obiettivo era guadagnare tempo, cercare di mantenere in vita Moro il più a lungo possibile, il tempo necessario a Cossiga per riprendere il controllo dei suoi servizi di sicurezza, calmare i militari, imporre la fermezza a una classe politica inquieta e ridare un po' di fiducia all’economia».
Ma la strategia di Pieczenick diventa presto qualcosa di più. E’ il tentativo di portare per mano i brigatisti all’esito che vuole lui. «Lasciavo che credessero che un’apertura era possibile e alimentavo in loro la speranza, sempre più forte, che lo Stato, pur mantenendo una posizione di apparente fermezza, avrebbe comunque negoziato».
Alla quarta settimana di sequestro, però, quando comincia l’ondata delle lettere di Moro più accorate, tutto cambia. Una brusca gelata. Il 18 aprile, viene diramato il falso comunicato del lago della Duchessa. Secondo Pieczenick è un tranello elaborato dai servizi segreti italiani. «Non ho partecipato direttamente alla messa in atto di questa operazione che avevamo deciso nel comitato di crisi». Il falso comunicato serve a preparare l’opinione pubblica al peggio. Ma serve soprattutto a choccare i brigatisti. Una mossa che mette nel conto l’omicidio di Moro. E dice Pieczenick: il governo italiano sapeva che cosa stava innescando.
«Fu un’iniziativa brutale, certo, una decisione cinica, un colpo a sangue freddo: un uomo doveva essere freddamente sacrificato per la sopravvivenza di uno Stato. Ma in questo genere di situazioni bisogna essere razionali e saper valutare in termini di profitti e perdite». Le Br di Moretti, stordite, infuriate, deluse, uccidono l’ostaggio. E questo è il freddo commento di Pieczenick: «L’uccisione di Moro ha impedito che l’economia crollasse; se fosse stato ucciso prima, la situazione sarebbe stata catastrofica. La ragion di Stato ha prevalso totalmente sulla vita dell’ostaggio».
da La Stampa
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