Intorno a Generali si sta consumando una partita assai importante, se non esiziale, per i futuri assetti finanziari nazionali e, più in generale, per l’intero capitalismo italiano.
Perché Generali non è solo la prima impresa di assicurazioni
italiana, non è soltanto il detentore di circa il 3% del debito pubblico
italiano, è, ed è stata, il vero architrave del sistema finanziario
italiano (insieme alla Comit, ora Banca Intesa e al Credit, ora
Unicredit).
Quando le Generali diventarono italiane (insieme
alla RAS), nel 1918, con l’annessione di Trieste, di fatto furono una
delle prime e principali multinazionali italiane; negli anni successivi,
poi, complice l’arrivo in Europa della crisi nei primi anni Trenta, il
loro ruolo divenne assai importante nel panorama finanziario nazionale; a
differenza delle banche che vennero travolte e quindi nazionalizzate
dall’IRI, le principali imprese di assicurazione uscirono rafforzate
dalla crisi dei primi anni Trenta poiché non avevano impieghi in aziende
industriali ma solo titoli di stato pubblici, che non persero alcun
valore per effetto della crisi. Così negli anni successivi, le Generali
(e la RAS) parteciparono al capitale della maggior parte dei cosiddetti
enti Beneduce e di tutte le iniziative del nuovo stato imprenditore.
Dopo il Secondo conflitto mondiale, nel modello
italiano di economia mista, sotto la guida di Mediobanca (e di Enrico
Cuccia) le Generali assunsero un ruolo decisivo di architrave del
sistema finanziario italiano, ruolo che hanno mantenuto fino ad oggi.
Anzi, semmai, negli ultimissimi anni, questo ruolo è cresciuto: dalle
continue ricapitalizzazioni di Alitalia, agli interventi su Montepaschi
il potere politico ha sempre bussato alla porta di Mogliano Veneto,
chiedendo sostegno attraverso capitali freschi. Generali ha quasi sempre
risposto alle richieste della politica, impegnando consistenti capitali
in operazioni di dubbio tornaconto finanziario o industriale, ma che
venivano sistematicamente presentate dalla politica come esigenze di
«supremo interesse nazionale».
Si può dire che dagli anni Trenta in poi, la perizia
degli amministratori del Leone di Venezia si è misurata soprattutto
nella loro capacità di resistere alle decine di richieste di intervento
che puntualmente arrivavano da parte di politici e azionisti e dalla
capacità di opporsi ad acquisizioni spesso troppo onerose.
Enrico Cuccia le amava definire mainmises, e le
temeva, e aveva sempre cercato di difendere Mediobanca e Generali da
questo tipo di ingerenze. Ma dopo la scomparsa di Cuccia e complice il
declino italiano, sono diventate soverchianti.
Questo ruolo di polmone finanziario e di compagnia di assicurazioni di
sistema se non ha compromesso la solidità finanziaria delle Generali, ha
però certamente asciugato le sue radici e colpito la sua capacità di
crescere nel suo core business.
E in questo risiede la principale differenza tra le Generali e i suoi
maggiori competitor europei. AXA e Allianz non si sono mai avventurate
in territori estranei al loro core business, perseguendo pervicacemente
l’obiettivo di una crescita dimensionale in campo assicurativo. Negli
anni Settanta AXA era ai suoi esordi ed è diventata un colosso mondiale
in soli 30 anni, mentre Allianz seppur dimensionalmente già grande,
negli anni Ottanta era esclusivamente una compagnia tedesca ed è
diventata un campione internazionale grazie all’acquisizione della
italiana RAS. Negli ultimi decenni, quindi, mentre Generali era
impegnata in decine di interventi di sistema, le sue concorrenti, ormai
avvedute predatrici, si preparavano alla sfida globale.
Così nel volgere di venti anni, le Generali sono diventare una preda.
La morsa di AXA intorno a Generali ha iniziato a
stringersi almeno 4 o 5 anni fa, con una lenta manovra di avvicinamento
nei confronti di Mediobanca. Stretta un’alleanza inespugnabile con
Piazzetta Cuccia, gli uomini di AXA hanno infiltrato le Generali, tanto
che oggi la francesizzazione della compagnia del leone è in fase già
molto avanzata. E l’intervento di Banca Intesa appare tardivo e
difficilmente destinato al successo. Anche se il progetto di un asse
Generali-Banca Intesa ha solide prospettive industriali e tutt’altro che
campato per aria. Del resto, storicamente Comit e Generali sono state
sempre strette alleate e hanno condotto congiuntamente decine di
operazioni: dagli anni Cinquanta quando Camillo Giussani fu presidente
sia di Generali che di Comit passando per gli anni Ottanta quando le due
società costituirono la Genercomit, società per il collocamento di
prodotti finanziari.
La partita che si sta consumando intorno a Generali era quasi inevitabile,
uno specchio del declino italiano. Le (poche) grandi e sane imprese
nazionali scontano i problemi italiani e in borsa hanno valori
sottostimati, e sono così più appetibili. Axa probabilmente non vorrà
accelerare la presa su Generali, non ne ha bisogno e non vuole
spaventare la politica, del resto il tempo gioca a suo favore. Intesa
San Paolo avrebbe buone ragioni per tentare di creare un campione
nazionale nel credito e nelle assicurazioni, ma arriva in gran ritardo e
l’operazione ha margini di rischio per il suo management, legate
principalmente al costo economico da sopportare in un contesto ostile. È
probabile che Messina e Bazoli, per differenti ragioni e motivazioni,
non avranno il coraggio di tentare una simile impresa.
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