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06/02/2017

Piccola risposta ai 600 accademici preoccupati

Seicento illustri professori universitari e presunti tali (nell’elenco compaiono anche degli “infiltrati”, privi di qualsiasi affiliazione accademica) hanno indirizzato una breve lettera – pubblicata sul sito del Gruppo di Firenze – a Governo, MIUR e Parlamento per denunciare la fragilità sintattica e ortografica dei giovani studenti universitari. La responsabilità? Ovviamente del sistema scolastico, che appare reagire in modo blando e inadeguato di fronte a strafalcioni grammaticali e proposizioni involute.

Solo due piccole osservazioni per le autorevoli personalità che hanno denunciato il caso.

Pochi mesi fa molti laureati italiani hanno partecipato ai concorsi a cattedra per diventare docenti di scuola secondaria. In alcune classi di concorso hanno superato la prova scritta molti candidati in meno rispetto ai posti messi a bando. Interrogati sulla ragione di questa durezza nella selezione, i commissari hanno semplicemente risposto che gran parte degli aspiranti docenti non solo non erano in grado di scrivere correttamente nella lingua italiana, ma avevano lasciato in bianco alcuni quesiti (tra l’altro assai generici) o addirittura avevano dato prova di profonda ignoranza nel proprio settore disciplinare.

Alcuni docenti universitari si sono sentiti accusati di aver attribuito il titolo di dottore a chiunque, dimostrando una certa leggerezza, di aver creato negli anni dei percorsi formativi troppo facili e privi di effettivi “sbarramenti”, consentendo anche ai meno preparati di completare gli studi. Alcuni docenti universitari, per difendere il proprio operato, hanno reagito duramente con lettere aperte o accusando il MIUR di aver elaborato delle cattive prove concorsuali.

Ma quanti studenti vengono respinti negli esami universitari? Quanti “diciotto” vengono attribuiti? E quanti “trenta”? Specialmente in alcune facoltà, la selettività accademica è andata smarrita, e non solo perché gli studenti sono meno preparati in “ingresso”, ma per ragioni di opportunità, per far decollare le iscrizioni ai corsi di laurea, per la concorrenza al ribasso che si è innescata tra gli atenei, ma pure per l’abbassamento del livello culturale del corpo docente. Lo stesso, purtroppo, accade nel mondo della scuola. Il processo è ormai avanzato, e lo denunciamo da anni. Tutti hanno il diritto di criticare la scuola, perché la scuola è di tutti. Ma forse i docenti universitari possono permetterselo meno degli altri.

Oggi i nostri accademici scaricano sulla scuola la responsabilità di un sistema formativo illanguidito, ma è una responsabilità che condividono, e non mi pare facciano alcuno sforzo per capirne le ragioni profonde.

La vogliamo provare una volta tanto a fare un’analisi delle difficoltà incontrate in Italia per mettere in piedi un sistema per l’istruzione di massa? A parte lamentarsi dell’ovvio, da un docente universitario ci si attenderebbe in primo luogo una discreta lucidità nel decifrare processi ed eventuali fallimenti della scuola di massa. Credono davvero che sia sufficiente – come propongono – aumentare i momenti di verifica delle competenze linguistiche? La loro denuncia non si misura affatto sulle difficoltà concrete delle scuole nei territori complessi. La normativa sui BES ha tanti difetti, e in generale le politiche inclusive oggi non riescono a riequilibrare una buona politica scolastica, andando a indebolire spesso la qualità di alcune azioni didattiche, e abbassando in parte il livello generale. Ma questo accade soprattutto per ragioni finanziarie, perché nella scuola italiana non si investono risorse sufficienti.

Eppure nemmeno i soldi risolverebbero completamente il problema, poiché profonda è l’influenza di altre agenzie educative nella formazione dei linguaggi. E anche su questo, ci sarebbe molto da dire e da ragionare.

Forse i nostri studenti non sanno come scrivere, ma i nostri professori, purtroppo, non sanno cosa scrivere.

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