Oggi, giovedì 2 marzo, si va al voto in Irlanda del Nord. A metà gennaio scorso il Deputy First Minister, il repubblicano Martin McGuinness (Sinn Féin), ha presentato le sue dimissioni a seguito di un acceso scontro tra il suo partito e il Democratic Unionist Party (DUP) – espressione dell’unionismo più intransigente – riguardo al Renewable Heating Incentive (RHI), un programma di incentivi alla riconversione energetica su cui pesano accuse di sperpero di denaro pubblico, inefficienza e corruzione.
Il Parlamento devoluto dell’Irlanda del Nord, basandosi sul power-sharing, si scioglie qualora uno dei due partiti maggioritari, a cui spetta o la carica di First Minister o quella di Deputy First Minister, non accetti di condividere l’esecutivo con la controparte. Le dimissioni di McGuinness, quindi, e il conseguente rifiuto del Sinn Féin di condividere i piani alti dell’Assemblea di Stormont con la First Minister, Arlene Foster, hanno condotto, dopo un anno dall’ultima tornata elettorale, a nuove elezioni.
L’imprevedibilità non è certo una tara delle elezioni nordirlandesi. Il conflitto trentennale – conclusosi formalmente con il Good Friday Agreement del 1998 – tra le due maggiori comunità del paese, quella cattolica repubblicana/nazionalista e quella protestante unionista/lealista, ha consegnato un elettorato che in maniera maggioritaria vota, ancora, secondo quello che viene definito il sectarian divide. Ovvero la comunità cattolica-irlandese è incline a votare i due partiti cattolici che più o meno marcatamente aspirano all’unità dell’isola, il repubblicano Sinn Féin e il nazionalista Social Democratic and Labour Party, mentre quella protestante-unionista è incline ad optare per i due partiti protestanti più o meno intransigenti, il DUP e l’Ulster Unionist Party. Ora, sebbene questa divisione mostri alcune minoritarie eccezioni grazie ad una crescente offerta di partiti non settari ed enfaticamente cross-comunitari (il liberal democratico Alliance Party, il Green Party e, almeno, tre partiti-movimenti socialisti), il sectarian divide si fa sentire in fase di trasferimento del voto. Il sistema elettorale nordirlandese si basa sul single transferable vote, ovvero ogni elettore può votare i candidati della propria constituency in ordine di preferenza, di modo che mano a mano che il conteggio procede e i candidati vengono eletti o eliminati, il voto viene trasferito agli altri candidati in base all’ordine di preferenza. La comunità da dove si proviene, dove sei cresciuto e attraverso la quale – nolente o volente – sei etichettato fa sentire, immancabilmente, il suo impatto nell’ordine di preferenza, per cui anche chi indica come prima preferenza un partito cross comunitario e non settario solo in rari casi, elettoralmente inconsistenti, metterà in posizione più elevata un partito appartenente alla comunità opposta.
L’ancoramento all’identità etnica presenta, come contropartita, uno scenario politico completamente scollegato con i valori, gli interessi e le priorità dei differenti strati sociali o dei singoli individui. Se i due partiti cattolici hanno un’impostazione progressista e, più o meno, socialdemocratica (il Sinn Féin a Bruxelles siede con Rifondazione Comunista nel gruppo Sinistra Unitaria Europea), quelli protestanti non si staccano dal conservativismo in salsa British, di cui il DUP rappresenta la versione più bigotta.
In questo contesto, però, rispetto alle tornate elettorali passate il voto di oggi può presentare una, poco probabile ma realistica, sorpresa. Niente a che vedere con la rottura del sectarian divide, ma per la prima volta il Sinn Féin ha la possibilità di diventare il primo partito del paese. Dopo lo scandalo del RHI il DUP, guidato dall’impopolare Arlene Foster, non potendo contare su credibili proposte politiche ha giocato in maniera più pesante sulla politica della paura e del sospetto tra le due comunità. Al lancio del manifesto politico del partito, la scorsa settimana, la Foster ha citato 32 volte il Sinn Féin e 12 volte Gerry Adams (presidente del Sin Féin, da tutti riconosciuto come ex leader dell’IRA) ma, per l’incredulità del elettorato di entrambe le comunità, non ha riservato alcuna menzione al RHI. L’agitazione dello spauracchio del Sinn Féin come primo partito in Assemblea e dell’implementazione di quella che definisce ‘radical republican agenda’ è onnipresente nel discorso fosteriano, dai manifesti nella protestantissima, ma per gran parte economicamente marginalizzata, East Belfast al dibattito andato in onda martedì 28 febbraio sulla BBC.
Questa tornata elettorale presenta, quindi, un maggiore interesse rispetto al solito e questo sta nel misurare quanto la paura e il sectarian divide peserà sull’elettorato unionista, specie quello più moderato, perché mai come domani ci sono stati così tanti motivi per tutti per non votare DUP.
Inviato a Senza Soste da Aureliano Xeneizes
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