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02/06/2017

Proporzionali’s karma


Fior di articolesse per anni ci hanno spiegato delle magnifiche virtù del maggioritario nel ridurre la rappresentanza politica e, di conseguenza, moltiplicare geometricamente la “governabilità”, unico e decisivo mantra dell’Europa neoliberale. Viceversa, negli stessi anni e negli stessi ragionamenti verbosi a quattro colonne, venivamo informati dei malefici guasti che il proporzionale avrebbe portato al già frammentato sistema politico italiano: incremento esponenziale dell’offerta politica, atomizzazione nucleare dei partiti in Parlamento, e non parliamo di formare un governo: impossibile per definizione con un sistema proporzionale. Poi, incredibile! – come direbbe Piccinini – abbiamo scoperto non solo che dal 2005 in Italia vige una legge elettorale proporzionale (la legge Calderoli denominata Porcellum); non solo che la riforma di questa legge, il cosiddetto Italicum, che avrebbe dovuto imprimere la fatidica sterzata governista, era anch’essa una legge proporzionale (pur con la mediazione decisiva del doppio turno); ma anche che il sistema politico più saldo d’Europa, quello tedesco, elegge i suoi parlamentari e i suoi governi con un sistema proporzionale (qui). Inaudito, qualcuno avverta Panebianco e Galli della Loggia: non c’è nessun ritorno al proporzionale, ci siamo già da dodici anni.

[Questo soggetto è "direttore scientifico" del "Libro dell'anno" dell'Enciclopedia Treccani]

Ma la curiosità di questi giorni è invece un’altra. Come scriviamo da un anno e passa, l’unica legge elettorale possibile, vista l’attuale conformazione dell’offerta politica nazionale, è proprio il proporzionale, nonostante sia contraria agli interessi dell’Unione europea e della grande borghesia continentale. E questo per un fatto tutto italiano: la presenza del Movimento 5 stelle e la sua più che certa vittoria elettorale ha consigliato da tempo al resto dei partiti di raffreddare i propositi maggioritari. Chi vince governa, dicevano: ma siamo pazzi? Per non parlare delle avventure del ballottaggio: il rischio di una Raggi bis, con una vittoria soverchiante del M5S nei confronti di qualsiasi altro partito, ha definitivamente accantonato i sogni di gloria maggioritari. L’imperativo europeista è la grande(?) coalizione contro il M5S, e questa è possibile solo col proporzionale: l’accordo post-elettorale tra Renzi e Berlusconi è già esplicito nelle dichiarazioni pubbliche dei due malandrini della politica italiana. Il problema è che la convergenza già presenta i connotati di un’unità tra due minoranze elettorali più che tra due forze, e questo non solo impedirà ogni effettiva “governabilità”, ma costruirà autostrade elettorali verso tutti quei partiti – M5S in primis – che si opporranno al grande(?) inciucio governista-europeista. Per l’Europa neoliberale c’è qualcosa di peggio dell’ingovernabilità: un governo incapace di seguire i dogmi europeisti.

Confermata la previsione, però, le curiosità della politica italiana non smettono di sorprendere. Stando a quel che dicono tutti i sondaggi da un anno a questa parte, con l’attuale sistema elettorale simil-tedesco i partiti presenti in Parlamento si ridurranno a quattro: Pd, M5S, Forza Italia e Lega Nord. Una torsione della rappresentanza mai vista neanche nelle peggiori distopie orwelliane. Ma non era il maggioritario che riduceva l’offerta politica? Per giunta, quanti scherzi ci riserva la cronaca politica ultimamente, dei quattro partiti tre sono esplicitamente di destra (liberale o xenofoba), mentre il M5S rafforzerà il suo populismo informe, a quel punto evitando come la peste qualsiasi schiacciamento a sinistra o a destra, visto che rimarrà l’unico soggetto in grado di raccogliere tutto il malcontento elettorale verso un Parlamento che rispecchierà si e no la metà della metà del corpo elettorale. A Grillo non resta che fare come i cinesi: attendere sul fiume il cadavere elettorale dei partiti della grande(?) coalizione. Dunque: il proporzionale riduce l’offerta politica e, per come è stato pensato, anche la rappresentanza. La governabilità è l’unico obiettivo che le forze politiche attualmente stanno cercando di scongiurare: meglio un paese ingovernabile che uno governato dal populismo. Meglio una Spagna che una Brexit 2.0. Poi, ça va sans dire, che il M5S non abbia alcuna voglia di indire un referendum sull’euro o scherzi simili, è probabile. Ma, come dire, perché rischiare? La Brexit è il risultato di un maldestro tentativo di un governo europeista di legittimare se stesso nelle trattative in sede Ue, e abbiamo visto come è finito. Oltretutto: la normalizzazione politica del M5S a Roma è passata sopra il cadavere della candidatura alle Olimpiadi, causando un danno alla classe palazzinara capitolina non indifferente, visto che il banchetto era già pronto, la tavola apparecchiata e i commensali erano già sporchi di sugo attorno alla bocca. Perché rischiare dunque? Molto meglio un commissariamento informale sotto forma di grande(?) ammucchiata governista che la governabilità di un soggetto improvvido.

Certo, a margine di tutto questo rimangono due o tre inezie poco mediatiche: più della metà della popolazione non sarà rappresentata nelle sedi istituzionali atte a rappresentare gli interessi della suddetta popolazione; qualsiasi sia il governo che prenderà vita a ottobre (ammucchiata destra-destra o monocolore M5S), non avrà altro compito che approvare una legge di stabilità che recepisca alla virgola le indicazioni di Bruxelles e di Francoforte, in una stagione che vedrà, peraltro, la fine del quantitative easing e, dunque, il ritorno della maretta finanziaria sull’Italia, grimaldello ideologico attraverso cui verranno imposte tutte le “riforme” “necessarie” alla “stabilità” del paese agli occhi dei “mercati”. L’alternativa a questa desolazione sarebbe volgere lo sguardo fuori dagli intrighi di palazzo sopra descritti. Ma la desolazione, in questo caso, rischierebbe di trasformarsi in pessimismo cosmico che in confronto Schopenhauer era un tipo spassoso. In ogni caso, come ricordava Joe Strummer, il futuro non è scritto. 

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