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11/08/2017

Italia e Spagna: chi perde e chi vince nella lotta per il controllo della logistica

Negli ultimi mesi, sia nei porti del Mezzogiorno d’Italia, a Gioia Tauro, che in Spagna, a livello nazionale, ci sono state ondate di scioperi a singhiozzo, blocchi e significativi rallentamenti nelle operazioni di carico e scarico. In entrambi i casi, l’adesione dei lavoratori alle proteste è stata massiccia, le gru sono rimaste ferme, i porti bloccati e le compagnie di navigazione hanno dovuto in tutta fretta usare altri scali[1].

Il malcontento dei portuali riguardava le questioni della riduzione generale delle garanzie contrattuali, la contrazione drastica del numero dei lavoratori a tempo indeterminato, e il passaggio a forme d’ingaggio precarie[2].

Tuttavia, i due casi hanno origini ed esiti diversi. In Spagna si cercava di contrastare l’approvazione della nuova legge di riforma dei porti a livello nazionale; nel caso italiano, ovvero per il porto di Gioia Tauro, invece, le lotte dei portuali avevano l’obiettivo di impedire all’impresa terminalista, Medcenter, di licenziare un terzo dei lavoratori, ben 442 persone[3]. Alla fine, dopo vari mesi, sono stati licenziati 377 portuali; la loro sorte dovrebbe prevedere il collocamento, per altro incerto, tramite l’azione congiunta della nuova Agenzia del Lavoro e della ‘malfamata’ ZES (Zona Economica Speciale) [4] – un altro progetto fumoso e pericoloso in termini d’impatto su un territorio fortemente segnato dalla presenza di industrie fantasma che più che creare occupazione sono servite ad incassare i soldi dei finanziamenti pubblici; per poi lasciare, sul territorio della Piana, scheletri di cemento vuoti, simboli del saccheggio portato nel Mezzogiorno dalle imprese italiane e straniere.

In Spagna, invece, dove lo scontro è stato innescato dall’imposizione di un decreto legge capestro – inteso a riformare radicalmente il mercato del lavoro facendolo sprofondare nel mare del neo liberalismo più sfrenato, così come dettato dall’Unione europea – si è continuato a combattere; sicché alla fine, nei maggiori porti, il management ha dovuto accettare le condizioni dettate dal sindacato[5].

La determinazione degli spagnoli è mancata a Gioia Tauro, dove i sindacati e il ceto politico regionale, fin dall’inizio, hanno avuto un atteggiamento più incline alla resa che alla lotta. In sintesi, nel caso del porto calabrese, quello che in termini di unità, consenso territoriale, antagonismo di classe si accumulava nel corso delle lotte – dalla chiusura delle banchine al blocco dell’intero porto per poi ostruire le strade della Piana – veniva poi pressoché interamente dissipato nelle estenuanti trattative ai tavoli della solita concertazione e ancor più nei ‘pellegrinaggi’ a Roma al ministero dei trasporti o agli uffici centrali dei molteplici sindacati.

Nel caso dei porti spagnoli, come già segnalato in altri articoli[6], si lottava contro l’adozione della normativa europea e del decreto di riforma partorito dal governo conservatore di Mariano Rajoy – decreto prima bocciato a marzo e poi passato a maggio di quest’anno per una manciata di voti in Parlamento.

Così, a primavera, in Spagna, la svolta neoliberista imposta dall’Unione europea – vero cavallo di Troia, sul modello della politica della Thatcher di qualche decennio prima, per ridurre all’osso i diritti dei lavoratori portuali, aumentare il potere del padronato e annichilire quello del sindacato – sembrava aver vinto nonostante le resistenze, la solidarietà diffusa, la capacità dell’organizzazione informale operaia nel sostenere ed alimentare il conflitto rispondendo colpo su colpo agli attacchi della massiccia campagna mediatica contro i portuali; ai quali, particolare curioso, si imputava, niente meno, la colpa di essere dei privilegiati e quindi complici rispetto alle indecenti condizioni salariali e di lavoro che caratterizzavano altri settori lavorativi, come, ad esempio, i call center.

Per mesi, stampa, telegiornali, talk show, hanno sostenuto una campagna di delegittimazione tesa a minare e indebolire la lotta dei portuali cercando di farli apparire non solo come una sorta di aristocrazia operaia favorita da alti salari, ma anche come degli scansafatiche, degli irresponsabili capaci di mandare a picco l’economia della nazione; e questo sia per la multa multimilionaria – oltre 15 milioni di euro poi ridotti, di fatto, a pochi milioni – che la Spagna avrebbe dovuto pagare per il mancato adeguamento alla normativa europea, sia per gli effetti dei blocchi dei porti sull’economia nazionale.

Alcuni giornali sono arrivati al punto di dipingerli come mafiosi, solo perché risultavano poco inclini ad aprire le loro assemblee alla presenza dei giornalisti[7]. A queste accuse i portuali hanno risposto colpo su colpo, con una vivace campagna di controinformazione mediatica[8], ribadendo che l’unico privilegio che si riconoscevano era quello di essere capaci di difendere collettivamente le proprie conquiste; e proponendo di scartare la via pauperistica volta al ribasso generalizzato dei salari; ed imboccare risolutamente quella di una estensione dei diritti acquisiti dai portuali ad altre categorie di lavoratori.

Ebbene, proprio quando il governo spagnolo, il padronato ed il management, a seguito dell’approvazione del decreto, pensavano di avere la vittoria in tasca – quando ormai si discuteva del numero dei portuali da licenziare, delle riduzioni salariali e più in generale di come peggiorare le condizioni normative, smantellando il reclutamento attraverso le Sociedades anónimas de gestión de trabajadores portuarios (SAGEP)[9] – dal fronte dei porti è arrivato il colpo d’uncino che ha di nuovo modificato i rapporti di forza tra imprese e lavoratori.

Così, una volta approvato il decreto, a fronte del rifiuto un po’ arrogante dell’associazione degli imprenditori (Anesco) a non trattare, a giugno, si è levata un’ondata di scioperi; e con il supporto dell’IDC (International Dockworkers Council) la protesta ha guadagnato la solidarietà di molti altri portuali tanto in Spagna che a livello internazionale[10].

Ecco allora che, dopo lunghi mesi di aspro scontro sociale, il fronte degli imprenditori si è spaccato: fino al punto che alcuni sono usciti dall’associazione Anesco e hanno iniziato a trattare nei singoli porti. Questo ha fatto sì che nei maggiori porti spagnoli – Algeciras, Valencia, Barcellona – i portuali siano tornati a movimentare le merci, mentre restavano bloccati gli altri porti in cui non si era ancora trovato un accordo.

Una storia, quindi, del tutto diversa da quella di Goia Tauro: qui la lotta, isolata a livello locale, oscurata dai media a livello nazionale, ha scontato pesantemente la debolezza dei sindacati, ed è stata soffocata infine dalla mancata solidarietà sia degli altri porti italiani sia di quelli internazionali.

Certo, anche a Gioia, nonostante l’isolamento e la passerella di qualche politico, ci sono stati blocchi totali della movimentazione e lunghi scioperi; e questi hanno poi costretto l’azienda a riaprire la trattativa; infatti, come già notato, all’inizio i portuali licenziati erano 420; poi la MCT ha concesso, dopo il blocco del porto, una piccola riduzione a 400 e infine la partita si è chiusa a 377.

Per cui, per concludere possiamo dire che a Gioia Tauro la sconfitta operaia è avvenuta non tanto per una certa indolenza di massa degli scioperanti quanto per mancanza di solidarietà del territorio e soprattutto per la fiducia mal riposta nella burocrazia sindacale – quest’ultimo errore di valutazione fatale che sempre, nella lotta come nella vita, comporta un costo alto.

Che cosa accadrà ai 377 portuali licenziati è difficile da predire, si naviga in un mare di incertezze. A questo bisogna aggiungere che sono poco chiari anche i criteri con cui sono stati scelti i portuali da licenziare mentre le promesse sul reintegro attraverso l’Agenzia del Lavoro – finanziata per tre anni con una valanga di milioni di euro, circa 40 – appaiono improbabili mentre è sicuro che un eventuale ingaggio comporterà un peggioramento delle condizioni di lavoro.

Così, anche se verranno riassunti questi lavoratori, spiegava un portuale, non avranno più gli stessi diritti degli altri. Di fatto saranno, per mesi se non per anni, sospesi nel nulla delle dichiarazioni retoriche sullo sviluppo del Mezzogiorno e sul rilancio di un porto che più di un esperto governativo considera fra quelli seriamente in declino.

Tutto questo, non certo per colpa dei portuali di Gioia Tauro che per anni hanno movimentato container a ritmo sostenuto e per tempi prolungati, ma piuttosto per una mancanza politico-manageriale di ‘visione strategica’. Infatti, anche sul piano operativo, l’argomentazione usata per giustificare i licenziamenti "il porto è in crisi e l’azienda è costretta a licenziare" dal punto di vista dei portuali suona come una comoda scusa utile per alleggerire il bilancio dell’azienda rispetto alle spese per la forza lavoro ed esternalizzare i costi di gestione con i soldi pubblici piuttosto che immaginare un diverso uso del porto che è ora per lo più dedicato al transhipment.

Nelle lotte spagnole, invece, determinazione e solidarietà racchiuse nei motti "no un paso atras" non un passo indietro e "nunca caminaremos solos" o tutti o nessuno "todos o ningunos" ricordano che lo scontro sociale si vince quando si è solidali e risoluti; e se non tutto è andato perso è anche perché non erano solo slogan, ma prassi antagonistiche, cioè abitudini collettive di lotta.

Note
[1] https://www.youtube.com/watch?v=bgfsudvpSW0

[2] Sulle trasformazioni della logistica leggi intervista a Sergio Bologna https://www.sinistrainrete.info/lavoro-e-sindacato/4316-sergio-bologna-logistica-e-porto-di-trieste.html

[3] http://contropiano.org/interventi/2016/10/20/gioia-tauro-senza-gioia-fallimento-della-pianificazione-industriale-la-forza-dei-portuali-084874

2 Per capire perché le Zes non sono così speciali vedi https://www.economist.com/news/leaders/21647615-world-awash-free-trade-zones-and-their-offshoots-many-are-not-worth-effort-not

[5] Richard Saundry, Peter Turnbull (1999) Contractual (In)Security, Labour Regulation and Competitive Performance in the Port Transport Industry: A Contextualized Comparison of Britain and Spain http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/1467-8543.00127/abstract

[6] http://contropiano.org/news/lavoro-conflitto-news/2017/02/20/spagna-blocco-dei-porti-sconfigge-governo-089117

http://contropiano.org/news/lavoro-conflitto-news/2017/03/17/89965-089965

[7] Per esempio questo video https://www.youtube.com/watch?v=IvRsr4ByyTM

[8] https://www.youtube.com/watch?v=VlGPfpjnIEs

[9] Qui la mappa delle 33 Sagep in Spagna: http://anesco.org/sagep/

[10] http://www.idcdockworkers.org/en/ http://www.idcdockworkers.org/en/presentation/what-is-the-idc

Fonte

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