E’ notizia delle ultime settimane che fra settembre ottobre moltissimi
professori di varie università italiane aderiranno a uno sciopero per
chiedere lo sblocco degli scatti salariali. Lo sciopero consisterà nella
sospensione della sessione d’esame autunnale e impedirà di fatto a
migliaia di studenti di sostenere esami nel periodo che andrà dal 1
settembre al 31 ottobre del 2017.
Prima di fare qualche commento sullo
sciopero in quanto tale e sulle contraddizioni che questo potrebbe
generare ci sembra doveroso fare una premessa forse scontata ma comunque
necessaria. I professori universitari non appartengono certo a quel
pezzo di società con cui ci preme interloquire. Anche ai livelli più
bassi, e nonostante le eccezioni, la composizione di certi contesti
resta quella di una borghesia che replica se stessa. Anni e anni di
controriforme hanno reso quasi impossibile al normale lavoratore
accedere addirittura alla formazione universitaria, figuriamoci alla
docenza.
Chiarire questo fatto non ha però
come conseguenza diretta il disinteressarsi delle sorti del mondo
dell’università, se è vero che fare politica per i comunisti significa
intervenire “nel campo dei rapporti di tutte le classi e di tutti
gli strati della popolazione con lo Stato e con il governo, il campo dei
rapporti reciproci di tutte le classi”. Nonostante questo sciopero
non sia particolarmente interessante dal punto di vista rivendicativo o
sociale, dunque, crediamo che potrebbe aprire scenari interessanti
all’interno delle università dando prova di tutti i cambiamenti che
hanno mutato in peggio questo mondo negli ultimi dieci anni. Come da
prassi ormai consolidata lo sciopero sarà attaccato in virtù dei danni
che provoca: in questo caso si farà leva sul disagio degli studenti
impossibilitati a tenere esami. Questa operazione potrà riuscire, e
secondo noi riuscirà, proprio per via di quella trasformazione
dell’università da luogo di formazione (scientifica, ma prima ancora
umana) ad esamificio effettuata negli ultimi anni.
L’ideologia del
merito ha attecchito in profondità nella mente degli studenti,
rendendoli di fatto incapaci di mobilitarsi per i propri diritti,
figuriamoci di solidarizzare con quelli di qualcun altro. La
desertificazione culturale dello spazio universitario rende impossibile
immaginarlo al di fuori dell’acquisizione di crediti formativi, mentre
la tendenza alla parcellizzazione dei saperi ha come conseguenza anche
il sostanziale disinteresse rispetto a qualunque cosa non riguardi il
proprio specifico campo di studi.
Crediamo sia importante far presente
che non si tratta solo di “ideologia del merito”: i cambiamenti
dell’organizzazione dell’università, il restringimento dell’accesso, le
tasse raddoppiate per i fuoricorso, di fatto sono condizionamenti
materiali che condizionano la vita di uno studente:
saltare una sessione di esame può voler dire pagare migliaia di euro di
tasse per continuare un percorso universitario. Allora ecco che le
trasformazioni del mondo accademico si ritorcono contro alcuni dei
soggetti che le hanno promosse: aver spianato lo spazio universitario
alla contestazione, aver promosso e sostenuto l’intervento delle forze
dell’ordine all’interno degli atenei ad ogni occasione utile, ha
contribuito a cancellare una certa autonomia delle università,
esautorando non solo gli studenti, ma anche, in seconda battuta, i
professori, dal proprio ruolo particolare e in qualche modo decisivo per
le sorti della comunità. Questo è solo un esempio di come la
disgregazione sociale promossa dal capitalismo in tutti i contesti non
sia altro che uno strumento di governance, e a pensarci bene niente di più che il vecchio divide et impera.
Pensiamo allora che lo sciopero potrebbe essere un’occasione per
soggettività studentesche all’altezza dei tempi: non si tratta
ovviamente di sostenere ciecamente le rivendicazioni di categorie già
ultra garantite, quanto più che altro avere la capacità di sfruttare uno
spazio per riprendere in mano questioni ben più gravi e serie
all’interno del mondo della formazione. Far pesare la propria voce
all’interno di una contesa che non ci riguarda direttamente, anche mettendo
la casta dei professori di fronte alle proprie responsabilità, può
essere un modo per riprendere uno spazio all’interno dell’università,
per tornare a parlare non di aumenti di stipendio ai professori
ordinari, ma di una formazione libera e accessibile a tutti.
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