di Stefano Mauro
«Il nostro sguardo adesso va a Gerusalemme nello spirito dell’Intifada» queste le dichiarazioni del segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah,
nelle ultime interviste di queste settimane. Affermazioni che hanno
riacceso il dibattito anche tra i media israeliani visto che Nasrallah è
conosciuto per la sua concretezza e perché alle parole fa seguire
sempre i fatti.
Riguardo alla futura guerra contro Israele, come avviene ciclicamente da diversi anni, i campanelli di allarme cominciano ad aumentare nuovamente.
Secondo il segretario generale: « Il conflitto è molto probabile
soprattutto a causa dell’inasprimento delle posizioni americane e
sioniste nell’area... stiamo vedendo che, chi sta sabotando il
processo di pace con le dichiarazioni su Al Quds, sta inevitabilmente
cercando un pretesto per la guerra e se osserviamo il comportamento di
Trump e Netanyahu non possiamo scartare questa opzione».
In queste settimane, inoltre, sono aumentati i contatti tra i diversi
partiti palestinesi che rappresentano la Resistenza (FPLP, Hamas e
Jihad Islamico) e lo stesso segretario generale Nasrallah. Al di là
delle dichiarazioni di facciata, infatti, sembra che Hezbollah
sia tornato concretamente su uno dei suoi pilastri ideologici: la
liberazione di Gerusalemme, attraverso un concreto supporto in termini
di addestramento e armamenti.
Il fatto che lo stesso Nasrallah abbia incontrato, per la
prima volta da anni, una delegazione di Fatah assume un significato
particolare. Questo significherebbe, in effetti, un possibile
ritorno dell’OLP all’opzione della resistenza, anche armata, contro
Israele, visto che “gli USA hanno definitivamente sotterrato qualsiasi
speranza di soluzione pacifica e si sono finalmente rivelati come
fiancheggiatori di Tel Aviv e non come parte neutrale nel processo di
pace”. Le recenti dichiarazioni di Abu Mazen riguardo agli
accordi di Oslo, definitivamente tramontati, indicherebbero un possibile
cambiamento di rotta anche di Fatah il cui peso politico e militare è
considerato fondamentale da Hezbollah.
Le recenti reazioni americane relative ad una cospicua diminuzione
dei finanziamenti dell’Unrwa, per i profughi palestinesi dei campi, o un
taglio delle sovvenzioni nei confronti dell’ANP, spinge lo stesso Abu
Mazen a seguire tutte le opzioni possibili, cominciando dalla
sospensione degli accordi di collaborazione in materia di sicurezza tra
le forze israeliane e quelle dell’ANP.
Nel suo editoriale della scorsa settimana sul giornale online Rai Al Youm, Abdel Barri Atwan analizza le dichiarazioni di Nasrallah indicando tre punti fondamentali. Il primo riguarda il passaggio in cui si dice che “se Israele finirà per imporre una guerra in Libano, questa sarà piena di sorprese ed avrà come punto di partenza il confine settentrionale” volendo far intendere che il prossimo conflitto sarà non solamente difensivo, ma soprattutto offensivo. Nel secondo punto l’editorialista palestinese indica come, alla
conclusione del conflitto siriano, lo stesso Hezbollah sia ormai
pienamente consapevole delle proprie capacità militari e logistiche con una serie di nuovi armamenti di ultima generazione di produzione iraniana e russa. Come ultimo punto, infine, il fatto che
aver sconfitto un esercito come quello dello Stato Islamico, con
fanatici determinati al martirio, è stato molto più complicato che un
possibile confronto contro quello israeliano (Tzahal).
Sul versante israeliano restano i dubbi in merito all’efficacia della preparazione dell’esercito ed alla progressiva escalation dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele da parte di Trump. Il quotidiano Yediot Aharonot
ha reso pubblica una dichiarazione dello stesso ministro della Difesa,
Avigdor Lieberman, riguardo al fatto che, in un eventuale conflitto,
« Hezbollah sarà capace di lanciare oltre 4mila razzi al giorno su tutto
il territorio israeliano e con una maggiore precisione in confronto
alla guerra del 2006». Un ulteriore timore dei media israeliani
riguarda la possibilità di un ampliamento del conflitto non solo con il
Libano, ma anche con la Siria e con le decine di migliaia di
miliziani pronti ad intervenire dall’Iraq (Al Nujaba o Hezbollah
iracheno, ndr) o da altri paesi che rappresentano l’asse sciita nella
regione.
Il quotidiano libanese Al Akhbar, invece, evidenzia
quanto la tensione stia crescendo sempre più a causa delle continue
provocazioni israeliane anche all’interno del paese dei cedri.
L’ultimo episodio è stato un attentato dinamitardo nella città di Sidone
ad un quadro di Hamas, Mohammed Hamdan (uscito solamente ferito alle
gambe), attribuito, come modalità di esecuzione e grazie agli arresti
effettuati in questi giorni, al Mossad israeliano. «Le aggressioni
contro il Libano, contro la sua sovranità, la costruzione di una
barriera nella zona libanese delle Sheba’a Farms (territorio libanese
conteso con Tel Aviv, ndr) ed un attentato terroristico nel nostro paese
– ha dichiarato il comandante dell’esercito libanese Joseph Aoun
– non fanno che accrescere il clima di tensione contro Israele, anche
se, dopo aver sconfitto Daesh (lo Stato Islamico, ndr) e Al Nusra
(al-Qa’eda in Siria), siamo pronti a rispondere a qualsiasi provocazione israeliana».
Un clima di unità ritrovato all’interno dei confini libanesi dopo le dichiarazioni di sostegno ad Hezbollah come « forza di difesa nazionale e risorsa per tutti i libanesi » espresse dallo stesso primo ministro Saad Hariri. In questi giorni la monarchia saudita sembra intenzionata, con una visita diplomatica in Libano, a riallacciare i difficili rapporti con il suo ex pupillo.
Relazioni forse definitivamente interrotte dopo le recenti rivelazioni
riguardo alle sue dimissioni forzate e volute da Riyadh ed a quelle che
riguardavano l’organizzazione, da parte di ambienti vicini ai servizi
segreti sauditi, di un attentato – sventato dalla sicurezza libanese con
il supporto di Hezbollah – ai danni della sorella Bahia Hariri con
l’obiettivo di far cadere il Libano nel baratro della guerra civile.
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