La Cuoca di Lenin, il peggior incubo del Corriere della Sera e dei suoi ricchi editori e lettori, oggi si è materializzata – in tutti i sensi – nella sala stampa della Camera dei Deputati. Potere al Popolo ha infatti presentato la sua lista e il suo progetto in una conferenza stampa.
Si capisce da molti aspetti che gli attivisti e i candidati di Potere al Popolo, quando si avvicinano al quadrilatero dei palazzi del potere (Montecitorio, Palazzo Chigi) si sentano in “territorio ostile”. Polizia e carabinieri ad ogni angolo, procedure di entrata alla sala stampa lentissime per la rigidità delle misure di sicurezza e dei commessi adibiti a farle rispettare. Federico, uno dei candidati, annuncia fragorosamente che se ne deve andare perché deve andare al lavoro. Ma ci sono anche altri segnali – cravatte storte, nodi impossibili, giacche rimediate – a testimoniare che la gente di Potere al Popolo hanno poco a che fare con i professionisti della politica. I compagni di Napoli realizzano un siparietto impagabile cercando di farsi la cravatta all’ultimo minuto sul vagone della metropolitana che li porta verso la zona “ostile”.
A nome di tutti a parlare e rispondere alle domande dei giornalisti è stata Viola Carofalo, la “capa politica” di Potere al Popolo ma non candidata.
Le prime domande insistono sui temi un po' triti e ritriti della cronaca politica: le alleanze (“nessuna alleanza, ne con M5S né con LeU” ha ribadito Viola), la fine del Brancaccio (“guardato con interesse all’inizio ma completamente disatteso nel suo scopo di dare continuità ai comitati per il No nel referendum del 4 dicembre”), il rapporto con Liberi e Uguali (“nessuna convergenza possibile, l’accordo con il Pd, come ha detto D’Alema, è la loro naturale proiezione”), le elezioni regionali (“non siamo schizofrenici, quello che non va bene a livello nazionale non va bene neanche a livello locale, meglio soli che male accompagnati”).
Finalmente arriva qualche domanda che aiuta a chiarire i contenuti di Potere al Popolo. Sull’Unione Europea, Viola Carofalo spiega che quella più simile è l’esperienza di France Insoumise di Melenchon, “i Trattati europei sono inaccettabili, vanno respinti e non possono essere riformati”. Sull’immigrazione la parola passa a un giovane immigrato africano che va al sodo: “E’ una priorità, non è un problema ma una opportunità, i deputati non servono a creare i problemi ma a risolverli”. Infine sulla questione carcere e giustizia Viola afferma che “il carcere non è uno strumento di vendetta. Le pene devono essere commisurate al reato ma senza vessazioni. I fatti dicono che misure alternative al carcere riducono le recidive. Basta con i discorsi forcaioli”.
Viola dà la parola ad alcuni dei candidati presenti. Ed è qui che a un certo punto, nel cuore di Montecitorio, si è materializzata la Cuoca di Lenin. Si chiama Lina Perrone, è una casalinga ma è attiva nella Rete di Solidarietà Popolare ed è stata candidata a Napoli, indossa con un gesto il grembiule da cuoca che usa per cucinare come volontaria. In parole semplici dichiara l’esigenza di giustizia sociale che un parte consistente della società richiede con forza ma che non ha rappresentanza politica.
Dopo di lei tocca a Maria Vittoria Molinari, attivista dell’Asia nella rabbiosa periferia di Tor Bella Monaca. Denuncia come proprio poche settimane fa la Commissione parlamentare d’inchiesta abbia certificato che 14 milioni di abitanti vivono in condizioni di estremo disagio sociale nelle periferie delle aree metropolitane. E’ una realtà con cui chi agisce in trincea fa i conti tutti i giorni. Potere al Popolo sta diventando l’occasione di riscatto della gente delle periferie. E’ un attimo ma rende visibile a tutti quell’incubo che un editoriale del Corriere della Sera ha cercato di esorcizzare: il potere del popolo sulle elìte.
Viola Carofalo ha concluso denunciando l’aggressione fascista a Genova dove un attivista è stato accoltellato e la Questura sta strumentalizzando questa fatto gravissimo per impedire i banchetti in piazza della raccolta di firme per la lista di Potere al Popolo. La raccolta di firme sta ormai partendo in tutta Italia ed anche a livello europeo. “Noi parliamo un linguaggio semplice affinché il nostro popolo ci capisca, ma non siamo populisti, siamo popolari”.
Adesso, gli azionisti di riferimento del Corriere della Sera o de La Repubblica, sanno cosa è e cosa può diventare Potere al Popolo, sanno anche che dovranno farci i conti, e dopo averlo ignorato e poi deriso si apprestano a combatterlo.
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