Due settimane dopo le elezioni parlamentari italiane, si svolgeranno in Russia quelle presidenziali. Diversi osservatori sostengono che la data del 18 marzo non sia stata scelta a caso: nel dibattito, non su chi sarà il vincitore, ma con quale percentuale trionferà, la data del 18 marzo, quarto anniversario della riunificazione della Crimea alla Russia, può giocare un ruolo significativo nel consenso a VVP: Vladimir Vladimirovič Putin.
Ciò, anche a dispetto dell’alto numero di candidati ammessi dalla Commissione elettorale e di quelli (ad esempio: Sergej Mironov, per Russia Giusta) che hanno rinunciato a candidarsi, a favore di VVP.
Tra i “soliti” nomi che parteciperanno, in testa ancora una volta il leader del LDPR, Vladimir Žirinovskij, il liberale Grigorij Javlinskij, la conduttrice televisiva Ksenija Sobčak.
Per il PCFR, un nome nuovo, quello di Pavel Grudinin, non membro del partito e direttore del “Sovkhoz Lenin”: una grossa società per azioni dell’agrobusiness, che ha conservato sì il vecchio nome sovietico, ma in cui terra, strumenti e macchinari sono di proprietà dei dirigenti e i 9/10 delle cui entrate, a detta dei maligni, sarebbero dati dall’affitto dei terreni con destinazione edificabile e commerciale.
Il VKPB (Partito comunista dei bolscevichi) di Nina Andreeva sostiene che tutti i candidati in lizza “esprimano gli interessi non del popolo lavoratore, bensì di questa o quella frazione della borghesia”: a partire da VVP, “protégé” del grande capitale oligarchico, che sta proseguendo la politica dei liberali eltsiniani e continua a dichiarare che “non ci sarà alcuna revisione dei risultati delle privatizzazioni” degli anni ’90, proponendo di sottrarre il grosso business al controllo statale.
Sorvolando sulle uscite clownesche e antisovietiche di Žirinovskij – che però, con il suo elettorato paraleghista e il 13,14%, si piazzò al terzo posto alle ultime elezioni, dietro di un pelo al PCFR (13,34%) – il VKPB concentra la propria attenzione sull’opposizione liberale e sulla persona di Pavel Grudinin. La prima (ma il “martire” Aleksej Navalnyj non è stato ammesso alla gara, perché condannato) riflette “la rabbia” occidentale per la ritrovata posizione geopolitica di Mosca e predica la sottomissione ai diktat USA.
La candidatura del secondo sta facendo molto discutere la sinistra, soprattutto quella parte di essa che ha deciso di partecipare al voto. Proposto dal PDS-NPSR (Assemblea permanente delle Forze nazional patriottiche di Russia: ha come simbolo la bandiera nero-giallo-bianca zarista, con lo stemma imperiale dell’aquila bicipite; sostiene di raggruppare “comunisti, nazionalisti e monarchici”), il nome di Grudinin testimonierebbe, a detta di molti, la fase di crisi del PCFR. Socialdemocratico, ex membro del partito presidenziale Russia Unita, dopo un fallito tentativo di avvicinamento a Žirinovskij, Grudinin si pronuncia ora per un “socialismo scandinavo” e presenta il programma del PCFR di nazionalizzazione dei settori strategici, ma con indennizzo. Contrario al corso liberale del governo, è però a favore di un’economia di mercato, orientata in senso sociale, “per scongiurare situazioni rivoluzionarie”. Propone la “ridistribuzione di parte del reddito nazionale a favore dei poveri”, mantenendo comunque i rapporti di proprietà capitalistici. “Grudinin non è comunista; e non è nemmeno socialdemocratico” affermano al VKPB e, a proposito del “Sovkhoz Lenin”, scrivono che il capitale sarebbe in mano a circa 40 azionisti, ma solo 5 o 6 di essi sembra ne detengano il grosso e Grudinin ne controllerebbe il 40%. Secondo le cifre ufficiali, il salario mensile degli oltre 500 lavoratori del sovkhoz sarebbe intorno agli 80.000 rubli (oltre il doppio della media russa); ma pare che Grudinin, negli ultimi sei anni, abbia intascato qualcosa come 157 milioni di rubli. Non a caso, dicono al VKPB, egli si presenta come “Il candidato di tutti”: cioè, di sfruttatori e sfruttati. “Il nostro obiettivo strategico” afferma il VKPB, “è la rivoluzione socialista, per la quale dobbiamo lavorare. Chiediamo che tutti, il 18 marzo, si rechino ai seggi e annullino la scheda elettorale in qualsiasi modo: scrivendo “Abbasso il capitalismo”, “Viva il socialismo”. Tale modo di esprimere l’atteggiamento nei confronti delle elezioni dimostrerà il vostro attivo boicottaggio”.
Da parte sua, il PCOR (Partito comunista operaio russo) di Viktor Tjulkin, dopo che l’iniziale appoggio al PCFR, con la candidatura dell’operaia gruista Natalja Lisitsyna, è stato ignorato dagli zjuganovisti, ha deciso di partecipare autonomamente alle elezioni e sta raccogliendo le firme necessarie. Lisitsyna, scrive Rot Front, “si presenta alle elezioni non per una qualche mitica “vittoria”, ma per smascherare l’attuale ordine socio-economico”.
Il Rot Front (Fronte unito dei lavoratori di Russia), che affianca il PCOR, ha interpellato alcuni esponenti della sinistra, a proposito della candidatura di Pavel Grudinin.
Secondo il sociologo e pubblicista Boris Kagarlitskij, la candidatura di Grudinin rappresenta la naturale evoluzione della lotta interna al PCFR: molti dirigenti imputano a Gennadij Zjuganov una serie di disfatte, così che il leader ha deciso di legare l’ennesima certa sconfitta non al proprio nome, ma a quello di un indipendente, il quale ultimo, per non mettere in pericolo i propri affari, si guarderà bene dall’insidiare il potere. A parere di Kagarlitskij, “a registrazione dei candidati ultimata, sarà definitivamente chiara la natura farsesca di queste elezioni, in cui non verrà registrato alcun candidato progressista”.
Per Anatolij Baranov, del CC del PCO (Partito comunista unito) e direttore di “Forum.Msk”, Grudinin susciterà la ripulsa anche del nocciolo duro dell’elettorato del PCFR, come è già successo per il Fronte di sinistra, che “ha organizzato le primarie farsa, fonte di aperta manipolazione politica” a favore di Grudinin. Diversa sarebbe stata la candidatura di Lisitsyna e non ci sarebbe stato bisogno di falsificare le primarie, anche se “le probabilità della sua registrazione sono altrettanto nulle quanto la vittoria di Grudinin alle elezioni, già qualificate come un referendum sulla fiducia a Putin”. Secondo Baranov, “i comunisti dovranno chiarire il proprio atteggiamento verso queste elezioni, in cui sulla scheda non comparirà alcun candidato operaio. Credo che dovremmo seguire la proposta dei compagni della città di Penza, di prendere le schede elettorali e portarsele via, oppure annullarle, in modo che non ci sia alcun referendum sulla fiducia”.
A parere del conduttore televisivo di “Rossija-24”, Konstantin Sëmin, la candidatura di Grudinin rappresenta un “aperto tentativo di dare legittimità alle elezioni, secondo la nota tecnologia del male minore. Ritengo che la propaganda dei comunisti debba tendere a liquidare ogni illusione; si deve lavorare nei sindacati, popolarizzare l’idea dei Soviet; è necessaria una piattaforma teorica”.
Aleksandr Stepanov, ex deputato della Repubblica di Carelia, espulso dal PCFR, afferma che ormai da tempo il PCFR si è spostato a destra, ma “la candidatura di un capitalista e latifondista è troppo anche per il partito di Zjuganov. Questo passo dimostra che il partito si è trasformato in un “cortile di passaggio” per carrieristi e briganti”. La candidatura di Grudinin, dice, “è stata calata dall’alto e, senza dubbio, previo accordo con l’amministrazione presidenziale”.
Aleksandr Batov, membro del CC del PCOR e segretario dell’organizzazione moscovita di Rot Front, dice che “Grudinin non è il personaggio peggiore tra le potenziali candidature, ma considerarlo unificante per la sinistra, o adatto come candidato dei comunisti, è quantomeno assurdo”. La questione di fondo è che, “da tempo, il PCFR adotta ogni decisione di un certo rilievo consultandosi con l’amministrazione presidenziale. Lo stesso con la candidatura di Grudinin”, passata per la scarcerazione del leader del movimento Avanguardia della rossa gioventù, Sergej Udaltsov, il suo appello per un candidato unico, il suo benestare per primarie abbastanza torbide e la strana vittoria di Grudinin. Secondo me, continua Batov, la candidatura di Grudinin ha una spiegazione abbastanza semplice. Alla vigilia della “elezione dello zar”, il Cremlino è preoccupato non tanto per il risultato (non è in dubbio per nessuno), ma per l’affluenza. Se questa fosse bassa, per Putin sarebbe difficile presentarsi quale “leader nazionale”, sia sull’arena interna, che internazionale. Una chiara mancanza di coesione attorno al presidente, significherebbe vulnerabilità politica. “Se le “elezioni” fossero prevedibili e poco interessanti, la gente non andrebbe ai seggi e sarebbe un fiasco”.
Quindi, dice Batov, uno dei modi per rendere “intrigante lo spettacolo pre-elettorale, è quello di circondare il leader con concorrenti più vigorosi e più giovani, dato che l’anziano e sempre perdente Zjuganov non attira più nessuno”. Con Navalnij fuori gioco, era necessario “trovare qualcun altro che di sicuro non possa vincere, ma al tempo stesso sembri una figura vincente. Questo concorrente è stato trovato; e non è casuale che questo “sparring partner” sia candidato dal PCFR. Il Cremlino è preoccupato che i “comunisti”-marionetta stiano perdendo influenza nella società e ha invece bisogno che il PCFR continui a svolgere il ruolo di “opposizione di corte” e la funzione di parafulmine sociale. Con Zjuganov, questo non è più possibile, dato che continua a perdere popolarità. Ecco allora che i tecno-politici dell’amministrazione presidenziale hanno suggerito il nome ai loro fedeli subordinati. Ci dovremo aspettare una certa radicalizzazione della retorica dalla parte del PCFR e del suo candidato, in modo che le migliaia di delusi credano ancora nel partito. Penso che le sorprese che ci riservano i tecno-politici non si esauriranno con la candidatura di Grudinin”, conclude Batov.
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