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30/01/2018

Lotta di classe e questione nazionale in Catalogna

Compagni buona sera,
trovo particolarmente utile la discussione a cui ci avete invitato sulla questione nazionale e concordo totalmente con Santopadre che su questa questione sono stati presi a sinistra degli svarioni impressionanti.

Per economia di tempo mi concentrerò sulla questione catalana, però prima vorrei fare una premessa di carattere generale.

Credo sia assolutamente corretto quanto diceva Marco [Santopadre] sul fatto che troppa sinistra oggi, troppa sinistra riformista, mi permetto di aggiungere, considera sostanzialmente inesistente la questione nazionale in base a degli slogan abusati e anche piuttosto stupidi come appunto “ci opponiamo all’Europa delle piccole patrie” (Sinistra Italiana), oppure a delle vere e proprie equiparazioni che sono state fatte, sul Manifesto ad esempio, tra questione catalana e Padania. Abbiamo visto delle cose aberranti nel dibattito in questi mesi.

Tuttavia la questione della difesa del diritto all’autodeterminazione è una cosa, e su questo dobbiamo continuare a discutere, altra cosa è se gli diamo una torsione assumendo una linea sovranista tout court, che secondo me è un errore speculare a quello di chi, in base all’idea dell’internazionalismo proletario, nega l’esistenza della questione nazionale.

Trovo le schede di Allegra che ci sono state inviate sostanzialmente corrette, ossia una analisi storica di come è evoluta la discussione fra i comunisti e il contributo di Lenin, di Marx e di Engels su questa questione.

Lì c’è un criterio fondamentale, a parte la questione dell’analisi concreta della situazione concreta. I comunisti hanno assunto posizioni alquanto differenti a seconda della situazione, si ricordava il caso della ex Jugoslavia negli anni ’90. Potremmo ricordare quello dei Sudeti, una causa che venne strumentalizzata da Hitler per invadere la Cecoslovacchia. Come difendere quel diritto all’autodeterminazione? In quei casi era impossibile e reazionario farlo.

Il criterio fondamentale che ha sempre caratterizzato i comunisti è che noi difendiamo i diritti democratici dei popoli tuttavia questo diritto è sempre subordinato all’interesse di classe a livello nazionale e internazionale. Altrimenti non se ne esce.

Il nostro primo obiettivo è capire: la lotta che si sta facendo oggi in Catalogna permette un avanzamento delle coscienze, una maggiore unità del proletariato nella lotta contro il capitalismo, oppure no?

Il compagno Morra ha detto una cosa molto giusta quando ha affermato che ciò che vediamo in Catalogna non è un movimento “puro”. Credo che fu Lenin a dire che se aspettiamo una rivoluzione pura non ne vedremo una nella storia.

Peraltro, come è stato ricordato, nelle Tesi di aprile fu decisiva la posizione che assunse Lenin sul diritto alla separazione, che non significava invito alla separazione. Riconoscere il diritto al divorzio non significa che noi siamo per la disgregazione dei rapporti familiari, significa riconoscere quel diritto per chi lo chiede. Questo fu decisivo per permettere la vittoria nella rivoluzione d’ottobre.

Vengo alla Catalogna. Mi è capitato di leggere un post del segretario organizzativo di Sinistra Italiana, il compagno Claudio Grassi, che alla luce dei risultati delle elezioni del 21 dicembre, dove peraltro come è stato correttamente ricordato si è “tenuto botta”, anche se c’è una polarizzazione sulle forze liberali e borghesi nei due campi, venivano condannati tutti coloro che come noi, attorno alla lotta che si è sviluppata in Catalogna vedevano numerosi elementi progressivi.

Dobbiamo respingere questo tipo di argomenti, questo fare la storia e leggere la lotta di classe e i rapporti di forza in base ai risultati elettorali. Sarebbe come condannare il Maggio ’68 sulla base del fatto che nel 1969 De Gaulle vinse le elezioni.

Intanto il Pp ha avuto il suo minimo storico in queste elezioni e avrà 3 seggi. Certo, ci sono anche aspetti negativi che riprenderò più avanti nel mio ragionamento.

Lenin diceva che una nazione è quella entità evolutasi storicamente con una lingua e un territorio comune, una storia e una cultura condivisa, unita infine da legami economici. La Catalogna risponde pienamente a questi requisiti.

C’è molta ignoranza in Italia nel dibattito a sinistra attorno alla questione catalana, al ruolo decisivo per esempio che svolse negli anni ’30 nella lotta contro il franchismo, quando venne dichiarata per due volte la Repubblica catalana, così come sulla repressione subìta per oltre quarant’anni dai popoli catalano, basco, galiziano, ai quali venne impedito di utilizzare la propria lingua, i propri costumi.

C’è stato un solo presidente eletto in Europa che è stato assassinato nel XX secolo, e fu Lluis Companys, che nel 1940 venne preso dai nazisti che avevano occupato la Francia a Perpignan, nella Catalogna francese, e consegnato a Franco che lo mandò al plotone di esecuzione.

Dobbiamo certamente denunciare i limiti della direzione borghese di questo movimento, del PdeCat, di Esquerra Republicana che è il partito storico della piccola borghesia catalana, ma che da molti viene visto come un partito di sinistra e infatti una delle ragioni del ridimensionamento dei marxisti indipendentisti della Cup nelle ultime elezioni è che Erc a queste elezioni si presentava autonomamente (mentre nel 2015 era in un raggruppamento con il PdeCat), anche se non è questo l’unico motivo e forse neanche il più importante.

Dobbiamo ricordare la storia della Transizione, della lotta contro il franchismo, e il tradimento che venne fatto dai partiti riformisti dell’epoca, il Partito socialista ma soprattutto il Partito comunista, i patti della Moncloa, il fatto che abbandonarono la lotta per la Repubblica e accettarono la monarchia lasciando sostanzialmente intatto l’apparato repressivo, militare e giudiziario del franchismo. Non ci fu mai un’epurazione e infatti vediamo come agiscono ancora oggi i “tribunali costituzionali”: in Catalogna dove c’è stato un vero e proprio golpe!

In questo momento gli indipendentisti hanno la maggioranza, ma ci sono 8 deputati eletti che sono in carcere o in esilio volontario, come Puigdemont, chi è in carcere ha capi di imputazione gravissimi di sedizione e rischia da 30 a 50 anni di prigione.

Oriol Junqueras, vicepresidente della Generalitat è sottoposto a un regime simile al 41 bis in Italia, e questo perché durante la campagna elettorale ha consegnato [inviato dal carcere] un discorso scritto. In questo momento in Catalogna c’è un clima di terrore. Oltre agli arresti, i mille feriti (una persona ha perso un occhio), le misure speciali, hanno permesso l’uso di pallottole di gomma che in teoria sarebbero vietate. La repressione c’è stata anche contro i Mossos, come si ricordava, la polizia catalana che è stata sostanzialmente commissariata da quella di Madrid.

In questo momento c’è gente condannata a pagare multe di 10mila, 20mila euro, solo perché portava un fiocco giallo, simbolo della lotta contro l’Art. 155 (in base al quale la Catalogna è stata commissariata da Madrid), e tutto questo è riconducibile a una Costituzione, quella del 1978, alla crisi di quel regime e al fatto che la questione dell’autodeterminazione, una questione decisiva che permise di sconfiggere il franchismo, è stata sostanzialmente abbandonata; dai partiti della sinistra, negli anni ’70 così come da quelli di oggi.

Vediamo gli strafalcioni che formazioni comuniste, Rifondazione comunista inclusa, hanno preso seguendo la politica di Pablo Iglesias e di Garzon, segretari di Podemos e di Izquierda Unida, che su questa questione sono stati equidistanti, in un contesto in cui è in corso una repressione brutale da parte della destra reazionaria contro l’intera popolazione della Catalogna.

Sappiamo bene che la borghesia catalana ha tradito più volte la causa dell’indipendenza. Oggi Puigdemont è un eroe in Catalogna per tutto un settore della popolazione, ma quando il 27 ottobre ha dichiarato l’indipendenza per “sospenderla” 57 secondi dopo, lo ha fatto sotto la pressione delle masse, in quanto solo il giorno prima, stava trattando un accordo con Madrid. E l’accordo che basi aveva? Si proponeva di liberare i “due Jordi”, ossia i capi delle due associazioni promotrici del referendum del 1° ottobre, Anc e Omnium, ritirare la 155, e in cambio Puigdemont avrebbe rinunciato alla dichiarazione di indipendenza e a convocare le elezioni catalane. Hanno cercato un accordo fino alla fine.

Oggi Mas, leader storico del PdeCat, il partito della borghesia catalana, si sta dimettendo da quel partito. Lui era a capo di questa trattativa.

Perché hanno dovuto fare un passo indietro? Perché appena Puigdemont ha cercato di arrivare a un accordo ci sono state manifestazioni di piazza, una in particolare a Piazza Jaume a Barcellona con decine di migliaia di persone, in cui le masse lo accusavano di tradimento.

Vengo ora alla questione del ruolo svolto dal proletariato, Marco diceva “in forme nuove”. In forme nuove, è vero, ma anche in forme tradizionali, le due cose sono combinate. Abbiamo visto uno sciopero generale due giorni dopo il referendum, che paradossalmente è stato convocato dalla piazza dai dirigenti piccolo borghesi, dai “due Jordi” che poi sono stati arrestati, e che ha visto la partecipazione in piazza di 700mila lavoratori a Barcellona e altrettanti nel resto della Catalogna; la Catalogna ha in tutto 7 milioni di abitanti, per cui quando si dice che partecipano in due milioni alla diada (la giornata nazionale catalana, ndr), tutti gli anni, stiamo parlando di un movimento di massa, non solo della piccola borghesia come qualcuno tenta di dimostrare, ma anche del proletariato.

Pensiamo ai portuali che hanno boicottato le navi che ospitavano la Guardia civil. E questo sciopero di massa si è fatto nonostante il sabotaggio di Ugt e Cc.Oo., è stato convocato dai sindacati di base, da alcune categorie, dai delegati, che hanno organizzato una mobilitazione gigantesca.

Voglio anche dire due parole sulla Cup, un’organizzazione che si dichiara marxista ma che dal 2015 ad oggi ha collaborato con le politiche di austerità portate avanti dai partiti della borghesia catalana, e questo è stato uno dei gravi errori che questa organizzazione ha pagato alle ultime elezioni.

Ma allo stesso tempo bisogna anche dire che il segretario di Arran, l’organizzazione giovanile della Cup, ha fatto un discorso di fronte a 40mila studenti universitari a Barcellona, proclamandosi sostenitore della repubblica comunista della Catalogna. Questi compagni alla diada avevano uno spezzone che a differenza di quello di Podemos e di Iniciativa, che grosso modo corrisponde a Izquierda unida in Catalogna, era composto da 15mila giovani che cantavano l’Internazionale a pugno alzato. Come si fa a voltare le spalle a un’organizzazione di questo tipo?!

La direzione del movimento, certo, è in mano alla borghesia, ma la pressione delle masse è stata continua in tutta la mobilitazione. Nonostante che i lavoratori sono stati abbandonati dai loro sindacati tradizionali (devo dire che la Cgt che è il principale sindacato di base ha svolto un ruolo, ma un ruolo fondamentale lo ha svolto l’autorganizzazione delle masse).

Non è stato ancora ricordato, ma questi comitati per il referendum, che sono diventati Comitati per la difesa della Repubblica (Cdr), non saprei come altro definirli se non come organismi di contropotere.

Una compagna catalana che vive in Italia nel periodo delle feste è stata nella sua città, Tarragona, una città industriale di 100mila abitanti, non è certo Barcellona. Bene, tra Natale e Capodanno ci sono state tre riunioni del Cdr di Tarragona centro (ce ne sono 6 in tutta la città) con centinaia di persone che organizzavano la lotta contro lo Stato spagnolo, la raccolta di fondi andando ai caselli autostradali per sostenere le persone sanzionate dalle multe o per liberare i compagni della Cup arrestati.

Più volte le forze dell’ordine hanno tentato di assaltare la sede della Cup e ci sono state manifestazioni di massa per respingere l’attacco della Guardia civil. In questo momento la Catalogna è un paese sotto assedio, questa è la realtà, vige un clima di vero e proprio terrore. Gli indipendentisti hanno vinto le elezioni, ma nonostante questo Puigdemont, che è stato indicato come futuro presidente, è in esilio, e ha dichiarato che aspetta di essere formalmente eletto prima di rientrare in territorio spagnolo.

Sono sicuro che se rientrerà il Tribunale costituzionale tenterà di farlo arrestare, così come è in carcere Junqueras e metà del precedente governo catalano.

Uno dei problemi principali in Catalogna, che è stato sfruttato da Ciudadanos, un partito nuovo sostanzialmente reazionario, è il fatto che gran parte del proletariato della cintura industriale di Barcellona è di lingua spagnola. Se non sei in grado di coniugare la questione nazionale a quella di classe, cioè alla lotta per una repubblica socialmente avanzata, così come sostenuto dalla Cup, dunque alla lotta contro le politiche di austerità, non sei in grado di fare un appello al proletariato di lingua spagnola in Catalogna, così come nel resto della Spagna.

Nelle prime settimane di settembre, quando si preparava il referendum, si stavano organizzando mobilitazioni di solidarietà in tutta la Spagna, non solo nel Paese Basco. Per esempio il Sindicato obreros del campo (Soc) dell’Andalusia, guidato da Sanchez Gordillo e Cañamero stava organizzando iniziative in questo senso.

Rivendicando il diritto all’autodeterminazione, alle elezioni politiche, Podemos era stato il primo partito in Catalogna e nel Paese Basco. Ma quando il referendum è stato lanciato veramente, dopo tutti i tentativi di ottenere l’Estatut, cioè i diritti di autonomia negati non solo dal Tribunale costituzionale, non solo dalla destra di Rajoy, ma anche dal Psoe con tutte le promesse tradite da Zapatero, allora Podemos si è tirata indietro dal difendere quel diritto.

La questione della repubblica è diventata una questione urgente nella misura in cui a Madrid è stato rieletto un governo di destra, che ha fatto attacchi e provocazioni continue, spingendo la posizione della separazione, minoritaria in un primo momento a diventare maggioritaria.

Oggi tutte le inchieste indicano che l’indipendentismo si sta indebolendo nelle zone più ricche, perché la borghesia catalana ha abbandonato i suoi partiti, circa mille aziende hanno spostato o hanno deciso di spostare la loro sede legale fuori dalla Catalogna, e sta crescendo nel proletariato, anche di lingua spagnola.

Qui vediamo come la questione nazionale si coniuga alla questione di classe, questa non è né la Scozia, né il Quebec, e il referendum pactado, ossia concordato, come proponevano le sinistre spagnole, non verrà concesso mai!

La questione nazionale della repubblica in Catalogna può essere risolta solo con mezzi rivoluzionari, altrimenti non ci sarà soluzione. Questo è l’errore tragico della sinistra spagnola, che ha indebolito un movimento che non solo produceva una rottura degli equilibri in Spagna ma, come è stato giustamente ricordato, poteva aprire una crisi nell’intera Unione europea, una crisi decisiva all’interno della quale si poteva inserire una battaglia più generale contro le politiche di austerità che ci arrivano dall’Europa.

Garzon ha dichiarato: “Io sospetto delle battaglie condotte dalle nazioni ricche”. Come se Garzon non conoscesse l’importanza che nella storia ha assunto la questione catalana e basca, il ruolo che ebbe nella lotta contro il fascismo, e il ruolo ancor più decisivo del proletariato catalano nella storia del movimento operaio spagnolo.

La sinistra spagnola ha considerato il referendum come una semplice mobilitazione e anche la sindaca di Barcellona, Ada Colau, è caduta in questo errore. Di conseguenza Rifondazione, dopo due o tre cose giuste scritte da Ramon Mantovani, che conosce la questione catalana in quanto è cresciuto a Manresa, le ha rinnegate non appena Iglesias e Garzon hanno preso questa linea miope e perdente. Una svolta che è stata devastante, e che giustamente è stata punita alle elezioni dal popolo catalano.

Podemos ha sostanzialmente espulso il suo rappresentante in Catalogna, Albano Dante Fachin. In Izquierda unida ci sono attacchi e rappresaglie politiche contro quei marxisti come Alberto Arregui e altri che sostengono una posizione a difesa della repubblica catalana.

Qui si vedono i limiti del riformismo e la necessità di dare una lettura di classe e marxista alla questione nazionale, una questione che oggi è più urgente e esplosiva che mai.

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