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18/01/2018

La “grande coalizione” come unico governo possibile

Come noto, anche la Germania proseguirà nel solco della “grande coalizione” (congresso Spd permettendo). Nonostante i proclami socialdemocratici (“mai più un governo con la Cdu!”), la realtà ha ricondotto la “sinistra” tedesca a ben più miti consigli. Ma la “grande coalizione” è l’unica possibilità di governo nell’Unione europea, al di là della convenienza politica che inviterebbe il partito di opposizione a smarcarsi dal governo per evitare sicuri tracolli elettorali. Il processo è fin troppo conosciuto per destare sorpresa. Quello su cui invece bisognerebbe intendersi è che la coalizione liberista non ha come unica forma quella dell’accordo tra partiti di “centrodestra” e “centrosinistra”.


La “grande coalizione” trova il suo fondamento persino epistemologico in due obiettivi di natura strategica: in primo luogo, gestire la progressiva ritirata del welfare in Europa attraverso la necessaria copertura data dal rapporto tra “sinistra” e sindacati al fine di garantire la pace sociale; l’altro obiettivo è il rafforzamento dell’Unione europea, frenando e delegittimando qualsiasi “ritorno al nazionale”. Fatti salvi questi due obiettivi, tutto è contrattabile. Si possono avere governi più attenti ai diritti civili, altri chiusi a ogni apertura civica; si possono avere esecutivi liberali e altri meno; certi governi possono reintrodurre forme di spesa pubblica (esclusivamente assistenziale), altri invece favorire strategie più marcatamente liberiste. E così via. L’importante è salvaguardare i due pilastri su cui si fonda l’euroliberismo: ritiro dello Stato dall’economia e contestuale devoluzione alla Ue di ogni potere d’indirizzo economico-sociale.

Se questi sono gli obiettivi, gli strumenti per raggiungerli sembrano essere sostanzialmente due. Il primo, di gran moda da anni a questa parte, è quello dell’accordo tra i due partiti maggiori di “centrodestra” e “centrosinistra”. E’ il modello tedesco, visto che da anni la Germania sperimenta questa modalità di governo. L’altra forma è rappresentata in Francia da Macron e in Spagna da Albert Rivera: replicare l’accordo trasversale in un unico partito, che si configura come superamento definitivo del modello centrodestro e centrosinistro. En Marche – il partito di Macron e Ciudadanos – il partito di cui è presidente Rivera si configurano come partiti-coalizione, che superano i noiosi intendimenti post-elettorali, le trattative segrete, gli accordi da giustificare davanti al proprio elettorato, per sperimentare un nuovo modello politico, quel “partito della nazione” che abolisce di fatto le differenze parlamentari tra “sinistra” e “destra”, per configurarsi come nuovo volto della destra liberista, ideologicamente adeguato alla narrazione del “superamento delle ideologie” e “dei confini tra destra e sinistra”. Un percorso che avrebbe voluto intraprendere anche il Pd, frenato dalla scissione e dal ripiegamento elettorale che non lo rende più perno di alleanze trasversali. Di fatto nei due principali paesi europei che determinano il processo europeista – Francia e Germania – già governano esecutivi di grande coalizione, l’uno plateale perché ancora espressione del “vecchio modello”, l’altro camuffato ma non per questo meno trasversale alla classe politica del paese transalpino.

E in Italia? L’Italia è retta di fatto da una coalizione trasversale dal 2011: prima con Monti, poi con Letta, successivamente con Renzi e Gentiloni, ogni governo di questi lunghi sette anni è stato espressione delle forze politiche dei due schieramenti. Ma anche il futuro sembra essere già segnato. Nonostante i tentativi del M5S di presentarsi come “primo partito” (è vero, ma in regime proporzionale non è determinante esserlo), e nonostante le minacce di un ritorno al voto a giugno, il governo che nascerà il prossimo marzo o aprile o luglio sarà stabilito dall’accordo tra Pd e Forza Italia. Non c’è altra scelta praticabile, e a confermarlo è proprio oggi Massimo D’Alema sul Corriere della Sera: “Occorrerà [dal 5 marzo] lo sforzo di garantire una ragionevole governabilità [...] Un governo del presidente? Per forza: una convergenza di tanti partiti diversi attorno a obiettivi molto limitati. E noi daremo il nostro contributo”. A quel punto avremmo i primi tre paesi della Ue – per abitanti e Pil – retti dall’accordo liberista tra “centrosinistra” e “centrodestra”. Anestetizzando così persino la possibilità teorica di “contrattare” riforme strutturali interne alla Ue tra governi di diversa impostazione.

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