Come noto, anche la Germania proseguirà nel solco della “grande
coalizione” (congresso Spd permettendo). Nonostante i proclami
socialdemocratici (“mai più un governo con la Cdu!”), la realtà ha
ricondotto la “sinistra” tedesca a ben più miti consigli. Ma la “grande
coalizione” è l’unica possibilità di governo nell’Unione europea, al di
là della convenienza politica che inviterebbe il partito di opposizione a
smarcarsi dal governo per evitare sicuri tracolli elettorali. Il
processo è fin troppo conosciuto per destare sorpresa. Quello su cui
invece bisognerebbe intendersi è che la coalizione liberista non ha come
unica forma quella dell’accordo tra partiti di “centrodestra” e
“centrosinistra”.
La “grande coalizione” trova il suo fondamento persino epistemologico
in due obiettivi di natura strategica: in primo luogo, gestire la
progressiva ritirata del welfare in Europa attraverso la necessaria
copertura data dal rapporto tra “sinistra” e sindacati al fine di
garantire la pace sociale; l’altro obiettivo è il rafforzamento
dell’Unione europea, frenando e delegittimando qualsiasi “ritorno al
nazionale”. Fatti salvi questi due obiettivi, tutto è contrattabile. Si
possono avere governi più attenti ai diritti civili, altri chiusi a ogni
apertura civica; si possono avere esecutivi liberali e altri meno;
certi governi possono reintrodurre forme di spesa pubblica
(esclusivamente assistenziale), altri invece favorire strategie più
marcatamente liberiste. E così via. L’importante è salvaguardare i due
pilastri su cui si fonda l’euroliberismo: ritiro dello Stato
dall’economia e contestuale devoluzione alla Ue di ogni potere
d’indirizzo economico-sociale.
Se questi sono gli obiettivi, gli strumenti per raggiungerli sembrano
essere sostanzialmente due. Il primo, di gran moda da anni a questa
parte, è quello dell’accordo tra i due partiti maggiori di
“centrodestra” e “centrosinistra”. E’ il modello tedesco, visto che da
anni la Germania sperimenta questa modalità di governo. L’altra forma è
rappresentata in Francia da Macron e in Spagna da Albert Rivera:
replicare l’accordo trasversale in un unico partito, che si configura
come superamento definitivo del modello centrodestro e centrosinistro. En Marche – il partito di Macron – e Ciudadanos
– il partito di cui è presidente Rivera – si configurano come
partiti-coalizione, che superano i noiosi intendimenti post-elettorali,
le trattative segrete, gli accordi da giustificare davanti al proprio
elettorato, per sperimentare un nuovo modello politico, quel “partito
della nazione” che abolisce di fatto le differenze parlamentari tra
“sinistra” e “destra”, per configurarsi come nuovo volto della destra
liberista, ideologicamente adeguato alla narrazione del “superamento
delle ideologie” e “dei confini tra destra e sinistra”. Un percorso che
avrebbe voluto intraprendere anche il Pd, frenato dalla scissione e dal
ripiegamento elettorale che non lo rende più perno di alleanze
trasversali. Di fatto nei due principali paesi europei che determinano
il processo europeista – Francia e Germania – già governano esecutivi di
grande coalizione, l’uno plateale perché ancora espressione del
“vecchio modello”, l’altro camuffato ma non per questo meno trasversale
alla classe politica del paese transalpino.
E in Italia? L’Italia è retta di fatto da una coalizione trasversale
dal 2011: prima con Monti, poi con Letta, successivamente con Renzi e
Gentiloni, ogni governo di questi lunghi sette anni è stato espressione
delle forze politiche dei due schieramenti. Ma anche il futuro sembra
essere già segnato. Nonostante i tentativi del M5S di presentarsi come
“primo partito” (è vero, ma in regime proporzionale non è determinante
esserlo), e nonostante le minacce di un ritorno al voto a giugno, il
governo che nascerà il prossimo marzo o aprile o luglio sarà stabilito
dall’accordo tra Pd e Forza Italia. Non c’è altra scelta praticabile, e a
confermarlo è proprio oggi Massimo D’Alema sul Corriere della Sera: “Occorrerà [dal 5 marzo] lo sforzo di garantire una ragionevole governabilità [...] Un governo del presidente? Per
forza: una convergenza di tanti partiti diversi attorno a obiettivi
molto limitati. E noi daremo il nostro contributo”. A quel punto avremmo
i primi tre paesi della Ue – per abitanti e Pil – retti dall’accordo
liberista tra “centrosinistra” e “centrodestra”. Anestetizzando così
persino la possibilità teorica di “contrattare” riforme strutturali
interne alla Ue tra governi di diversa impostazione.
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