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29/01/2018

Yemen - Esplode lo scontro tra scessionisti e governo

A dipingere gli scenari peggiori, spesso ci si prende: i movimenti secessioni del sud dello Yemen si sono ribellati al loro burattino per passare nelle mani di un altro. Da anni, da quando l’Arabia Saudita nel marzo 2015 lanciò la sua brutale guerra contro lo Yemen anche con il sostegno delle tribù e i clan meridionali, a sud del paese si sono riaccese spinte secessioniste mai sopite dall’unità del 1990.

Da ieri la tensione è esplosa, con lo zampino degli Emirati Arabi Uniti: scontri sono scoppiati nella città di Aden, strategico porto nel sud dello Yemen e dal 2014 capitale provvisoria del governo del presidente Hadi cacciato da Sana’a dal movimento ribelle Ansar, Allah, dagli Houthi.

Sono almeno 15 i morti e oltre 120 i feriti nelle violenze esplose nelle strade tra i secessionisti e le truppe legate ad Hadi e ai sauditi dopo che i governativi hanno cercato di impedire ieri un manifestazione separatista in città. Università, scuole, uffici pubblici, negozi chiusi, voli sospesi all’aeroporto internazionale. E il presidente in autoesilio – qualcuno dice prigioniero – a Riyadh invoca il cessate il fuoco, chiamando le sue truppe a tornare nelle caserme. Allo stesso tempo il suo primo ministro, Ahmed bin Dagher, accusa i secessionisti di colpo di Stato, facendo appello a Riyadh. Intervenga, dice Dagher. Non certo una cosa da poco visto il palese coinvolgimento degli alleati sauditi, gli Emirati Arabi che mai hanno nascosto la loro contrarietà ad Hadi.

Uno degli strumenti di Abu Dhabi è stato l’ex governatore di Aden, Aidarous al Zubeidi: dopo il licenziamento imposto da Hadi lo scorso aprile, ha creato un suo Consiglio di transizione meridionale con il quale “guidare le province meridionali”, formato dai governatori delle cinque province sud e due ministri. È stato il Consiglio ad organizzare la manifestazione prevista per ieri, miccia che ha fatto esplodere tensioni latenti da anni. Ed è il Consiglio a ricevere da mesi il sostegno degli Emirati, sotto forma di armi, addestramento e supporto militare – ad Aden sono di stanza le truppe emiratine – ma anche di costruzione di un’amministrazione parallela (milizie, forze di polizia, carceri). Ed è sempre stato il Consiglio a dare una settimana fa un ultimatum al presidente Hadi: vattene entro il 28 gennaio.

Promessa rispettata: ieri i separatisti hanno tentato di occupare le sedi governative nella capitale provvisoria, riuscendo a prendere il quartier generale dell’esecutivo e alcuni campi militari, attaccando il palazzo presidenziale e facendo gridare a Dagher al golpe: “Un colpo di Stato è in corso ad Aden contro la legittimità e l’unità del paese”. “Sulla base delle istruzioni del presidente Hadi, il comandante supremo delle forze armate, e dopo consultazioni con la coalizione araba, devo ordinare a tutte le unità militari di cessare il fuoco immediatamente”, si legge in un successivo comunicato del premier.

La tensione è altissima: il porto di Aden è militarizzato e colpi di arma da fuoco risuonano nella città da due giorni, con battaglie in corso nei quartieri di Khormaksar, al-Mansoura, Dar Sad. Il Consiglio non intende arrendersi e chiama alla “sollevazione” fino alla caduta del governo di Hadi: “Abbiamo annunciato un nuovo programma di rivolta che inizierà domani [oggi, per chi legge] – dice il segretario di al Zubeidi, Zaid al Jamal – La gente è già pronta a riempire piazza al-Orouth e non se ne andrà fino a quando il governo non sarà rovesciato”.

Dalla sua al Zubeidi non ha solo il denaro emiratino. Ha anche le vittorie registrate sul terreno: ha preso parte alla cacciata degli Houthi da Aden e da buona parte delle regioni meridionali, punti segnati con alleati di ogni tipo. Per le strade di Aden, durante la battaglia di due anni fa, tra marzo e luglio 2015, non c’erano solo le forze governative: c’erano i separatisti, gli uomini dei clan meridionali e c’erano le bandiere nere di Al Qaeda nella Penisola Arabica. La più potente filiale della rete internazionale, approfittando dei vuoti di potere in uno Yemen devastato, si è allargata a dismisura nelle province sud-orientali del paese, arrivando a imporre la propria presenza nella più importante città del sud, con l’avallo delle forze lì egemoni.

I secessionisti non hanno disdegnato il sostegno jihadista, né ad Aden né a est, dove hanno preso parte alla gestione amministrativa delle province occupate dai qaedisti. Il tutto in nome della sconfitta degli Houthi e dell’agognata separazione. Hanno aperto agli Emirati, un’alleanza che potrebbe condurre ad una frattura interna alla apparentemente monolitica coalizione sunnita a guida saudita.

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