A dipingere gli scenari peggiori, spesso ci si prende: i movimenti
secessioni del sud dello Yemen si sono ribellati al loro burattino per
passare nelle mani di un altro. Da anni, da quando l’Arabia Saudita nel
marzo 2015 lanciò la sua brutale guerra contro lo Yemen anche con il
sostegno delle tribù e i clan meridionali, a sud del paese si sono
riaccese spinte secessioniste mai sopite dall’unità del 1990.
Da ieri la tensione è esplosa, con lo zampino degli Emirati
Arabi Uniti: scontri sono scoppiati nella città di Aden, strategico
porto nel sud dello Yemen e dal 2014 capitale provvisoria del governo
del presidente Hadi cacciato da Sana’a dal movimento ribelle Ansar, Allah, dagli Houthi.
Sono almeno 15 i morti e oltre 120 i feriti nelle violenze
esplose nelle strade tra i secessionisti e le truppe legate ad Hadi e ai
sauditi dopo che i governativi hanno cercato di impedire ieri un
manifestazione separatista in città. Università, scuole, uffici
pubblici, negozi chiusi, voli sospesi all’aeroporto internazionale.
E il presidente in autoesilio – qualcuno dice prigioniero – a Riyadh
invoca il cessate il fuoco, chiamando le sue truppe a tornare nelle
caserme. Allo stesso tempo il suo primo ministro, Ahmed bin Dagher,
accusa i secessionisti di colpo di Stato, facendo appello a Riyadh.
Intervenga, dice Dagher. Non certo una cosa da poco visto il palese
coinvolgimento degli alleati sauditi, gli Emirati Arabi che mai hanno
nascosto la loro contrarietà ad Hadi.
Uno degli strumenti di Abu Dhabi è stato l’ex governatore di Aden, Aidarous
al Zubeidi: dopo il licenziamento imposto da Hadi lo scorso aprile, ha
creato un suo Consiglio di transizione meridionale con il quale “guidare
le province meridionali”, formato dai governatori delle cinque province
sud e due ministri. È stato il Consiglio ad organizzare la
manifestazione prevista per ieri, miccia che ha fatto esplodere tensioni
latenti da anni. Ed è il Consiglio a ricevere da mesi il
sostegno degli Emirati, sotto forma di armi, addestramento e supporto
militare – ad Aden sono di stanza le truppe emiratine – ma anche di
costruzione di un’amministrazione parallela (milizie, forze di
polizia, carceri). Ed è sempre stato il Consiglio a dare una settimana
fa un ultimatum al presidente Hadi: vattene entro il 28 gennaio.
Promessa rispettata: ieri i separatisti hanno tentato di occupare le
sedi governative nella capitale provvisoria, riuscendo a prendere il
quartier generale dell’esecutivo e alcuni campi militari, attaccando il
palazzo presidenziale e facendo gridare a Dagher al golpe: “Un colpo di
Stato è in corso ad Aden contro la legittimità e l’unità del paese”.
“Sulla base delle istruzioni del presidente Hadi, il comandante supremo
delle forze armate, e dopo consultazioni con la coalizione araba, devo
ordinare a tutte le unità militari di cessare il fuoco immediatamente”,
si legge in un successivo comunicato del premier.
La tensione è altissima: il porto di Aden è militarizzato e
colpi di arma da fuoco risuonano nella città da due giorni, con
battaglie in corso nei quartieri di Khormaksar, al-Mansoura, Dar Sad. Il
Consiglio non intende arrendersi e chiama alla “sollevazione” fino alla
caduta del governo di Hadi: “Abbiamo annunciato un nuovo
programma di rivolta che inizierà domani [oggi, per chi legge] – dice il
segretario di al Zubeidi, Zaid al Jamal – La gente è già pronta a
riempire piazza al-Orouth e non se ne andrà fino a quando il governo non
sarà rovesciato”.
Dalla sua al Zubeidi non ha solo il denaro emiratino. Ha anche le
vittorie registrate sul terreno: ha preso parte alla cacciata degli
Houthi da Aden e da buona parte delle regioni meridionali, punti segnati
con alleati di ogni tipo. Per le strade di Aden, durante la
battaglia di due anni fa, tra marzo e luglio 2015, non c’erano solo le
forze governative: c’erano i separatisti, gli uomini dei clan
meridionali e c’erano le bandiere nere di Al Qaeda nella Penisola
Arabica. La più potente filiale della rete internazionale,
approfittando dei vuoti di potere in uno Yemen devastato, si è allargata
a dismisura nelle province sud-orientali del paese, arrivando a imporre
la propria presenza nella più importante città del sud, con l’avallo
delle forze lì egemoni.
I secessionisti non hanno disdegnato il sostegno jihadista,
né ad Aden né a est, dove hanno preso parte alla gestione amministrativa
delle province occupate dai qaedisti. Il tutto in nome della sconfitta
degli Houthi e dell’agognata separazione. Hanno aperto agli
Emirati, un’alleanza che potrebbe condurre ad una frattura interna alla
apparentemente monolitica coalizione sunnita a guida saudita.
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