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22/01/2018

Siria. Escalation in corso, la Turchia rilancia il conflitto

Il Primo Ministro turco Binali Yildirim ha dichiarato che l’operazione di terra è ufficialmente cominciata. “L’operazione sarà condotta in 4 fasi per creare una zona di sicurezza di 30 chilometri ripulita dai terroristi”, così cita le parole di Yildirim il canale televisivo NTV. Il Governo turco avrebbe informato anche quello siriano tramite la mediazione della Russia, la quale avrebbe dato il suo assenso; circostanza, quest’ultima, confermata anche dalle agenzie curde.

Secondo questa versione del Primo ministro turco, dunque, si tratterebbe di un’operazione dai contorni non molto estesi, sulla quale è verosimile ci sia l’accordo con le altre potenze.

Dopo mesi in cui i combattimenti in molte aree del paese sono stati più blandi grazie all’istituzione delle de-escalation zones istituite negli accordi internazionali firmati da Russia, Iran, Turchia e grazie al fatto che sia l’esercito siriano, sia la coalizione a guida USA con le Syrian Democratic Forces (SDF) si sono contemporaneamente focalizzati nella lotta all’Isis nelle aree di Raqqa, di Deir-ez-Zor e del deserto siriano, gli equilibri che avevano caratterizzato il 2017 si sono rotti.

Due i fronti più caldi: la provincia di Idlib e dintorni (sud-ovest di Aleppo) e il cosiddetto Cantone di Afrin, controllato dal Pyd curdo e dai gruppi armati ad esso afferenti, i quali, si ricorda sono legati ideologicamente e politicamente al Pkk in conflitto perenne col governo turco, ma costituiscono anche il cuore delle SDF, truppe di terra alleate con la coalizione a guida USA.

Dopo un’iperbole di dichiarazioni bellicose e contumelie verso gli USA, responsabili di essersi alleati con i “terroristi del Pkk”, Ankara ha dato il via ad un’operazione militare di intervento diretto che, in alleanza con alcuni gruppi fondamentalisti sunniti satelliti operanti nell’area (Ahrar al-Sham su tutti), dovrebbe portare, nelle intenzioni turche, ad estirpare il Cantone di Afrin; sulle agenzie di stampa curde già rimbalzano i primi video che documentano i danni inflitti ai civili dai bombardamenti dell’aviazione di turca; tuttavia i tentativi di incursione da parte di truppe di terra sarebbero, al momento, stati respinti.

Gli USA, da parte loro, si sono limitati ad una flebile esortazione alla Turchia a non cominciare operazioni militari su Afrin, bensì a focalizzarsi sulla “lotta all’Isis” (utilizzata come specchio per le allodole di ogni manovra sporca). I comandi militari statunitensi, da un lato hanno utilizzato le Ypg-Ypj (milizie legate al Pyd), nell’ambito delle più larghe (almeno sulla carta) SDF, per istallarsi militarmente nel nord-est della Siria e impossessarsi dei giacimenti di petrolio della provincia di Deir-ez-Zor, sempre col pretesto della lotta all’Isis, dall’altro, si disinteressano apertamente dell’area di Afrin poiché lì l’ormai el'x-Califfato non è presente. La continuità territoriale delle due aree appena descritte sotto controllo di Ypg e alleati è interrotta dalla presenta delle stesse milizie filo-turche che ora stanno spalleggiando l’esercito turco nell’operazione appena scattata nelle città Abab, Azaz e Jarablus.

D’altra parte, a garanzia dell’entità curda ad Afrin vi è un piccolo contingente russo, di cui, nei giorni scorsi, attraverso intensi contatti diplomatici, i vertici di Ankara hanno cercato di ottenere il ritiro; al momento, tale scopo non è stato raggiunto (nonostante gli annunci trionfali, smentiti dal Ministro degli Esteri russo Lavrov in persona, da parte dei media turchi), ponendo una seria ipoteca sulle possibilità di raggiungere i propri scopi da parte dell’esercito turco.

Mosca, dunque, sembra in questo momento non aver dato il proprio assenso all’azione militare e sarebbe impegnata in una delicata mediazione sotterranea, che coinvolgerebbe anche il governo siriano. Quest’ultimo, nei giorni scorsi, ha ovviamente condannato le incursioni turche come una violazione alla propria sovranità e, nonostante le divergenze profonde con le Ypg (definite il mese scorso dal Presidente Assad in persona come “traditrici” al soldo dell’invasore americano) ha consentito l’afflusso di rinforzi ad Afrin attraverso Aleppo; alcune fonti vicine a Damasco agitano l’idea che l’esercito siriano possa essere coinvolto in qualche modo nell’area di Afrin, stabilendovi una propria presenza come forma di mediazione, grazie ai buoni uffici della diplomazia russa.

Esercito siriano che, comunque, ha già indirettamente beneficiato dell’esacerbarsi del conflitto Turchia-Pyd, nell’altro fronte caldo del conflitto, quello della provincia di Idlib. L’afflusso delle milizie filo-turche verso nord-est per unirsi all’offensiva dei loro padrini, infatti, sta consentendo ai reparti di elite, le Forze Tigre, di proseguire l’imponente l’offensiva che, da fine dicembre, le ha portate a conquistare diverse centinaia, fra città e villaggi più o meno grandi, collocati nella provincia di Idlib e dintorni. Hayat Tahrir al-Sham, ex al-Nusra (formazione, si ricorda, legata ad al-Qaeda, anche se non formalmente), si trova ora di nuovo quasi sola a contrastare l’operazione militare su larga scala condotta da Damasco, con risultati fino ad ora lusinghieri, che comprendono la conquista del primo grande obiettivo militare: la base di Al-Dhuhur, che era stata persa nel 2015 dopo un lungo assedio.

La provincia di Idlib fino a pochi mesi fa costituiva un feudo jihadista, in cui centinaia se non migliaia di gruppi fondamentalisti sunniti spadroneggiavano imponendo una visione fanatica della sharia e alternando periodi di sostanziale accordo a periodi di guerra intestina; sembrava, pertanto, destinata a diventare uno dei pezzi in cui sarebbe rimasta smembrata la Siria, posto sotto tutela di potenze sunnite straniere, Turchia e Arabia Saudita in primis. Ora il suo destino sembra di nuovo essere mutato grazie all’offensiva dell’esercito siriano e dei propri alleati, i quali, stando all’andamento attuale, paiono in grado di liberarla dalla morsa jihadista in maniera definitiva.

Ovviamente, l’immenso risiko in cui si è trasformato il conflitto siriano porta a non dare mai nulla per scontato, tuttavia la tendenza principale continua ad essere quella di una progressiva sconfitta dei progetti delle potenze imperialiste (USA e UE) e di quelle islamico-sunnite reazionarie (Turchia, Arabia Saudita e altre petromonarchie); queste ultime, tuttavia, non assisteranno al declino delle proprie ambizioni standosene con le mani in mano, ma già tentano incessantemente di rifarsi destabilizzando tutta l’area (vedi la decisione degli USA rispetto a Gerusalemme e il rapimento, da parte dell’Arabia Saudita, del Primo Ministro libanese Sa’ad Hariri nel tentativo di imporgli le dimissioni lo scorso novembre).

Carico di incognite, infine, resta anche il destino dell’entità curda in Siria, il cosiddetto Rojava, stretto anch’esso nell’abbraccio potenzialmente mortale con gli USA e più in generale nel risiko dei rapporti fra le varie potenze operanti nello scacchiere mediorientale.

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