Sono accomunate dalla nevrastenica avversione a tutto quanto venga da est della Vistola o del Dnepr. Per il resto, Varsavia e Kiev non fanno altro che mostrare i denti l’una contro l’altra, molto spesso a suon di sprangate (non sono mancati nemmeno i colpi di bazooka); ancora più di frequente tirando in ballo gli antecedenti storici del nazionalismo di entrambi i fronti.
Da un lato, infatti, sono risuonate anche nei giorni scorsi le grida di sgomento del nuovo premier polacco Mateusz Morawiecki, secondo cui Mosca, che si starebbe “preparando ad attaccare l’Ucraina”, costituisce oggi il principale pericolo per la Polonia e anche il gasdotto “North stream-2”, checché “ne dica la Germania, non è un progetto economico”, ma uno strumento di “attacco politico”, come sottolineato anche dal Segretario di stato USA, Rex Tillerson.
Dall’altro lato, però, l’ultimo ceffone, in ordine di tempo, appioppato da Varsavia ai vicini sudorientali è di ieri e porta la firma del direttore dell’Istituto per la memoria nazionale polacca Jaroslav Sharek. L’Istituto, sulla base di fonti tedesche, polacche, austriache e statunitensi, ha messo in rete un primo elenco di 9.686 nomi di addetti ai campi di sterminio nazisti in Polonia. Secondo Sharek, l’Istituto dispone attualmente di un elenco di oltre 25.000 nomi, da cui risulta come la maggior parte dei criminali aguzzini di quei lager fossero tedeschi, ma un’altra parte non meno rilevante fosse composta da ucraini, lettoni e lituani.
Il portale GermanDeathCamps.info prende in esame l’intero sistema di lager nazisti in territorio polacco, partendo dal più tristemente famoso, Auschwitz-Birkenau e testimonia del ruolo anche qui svolto dalla polizei ucraina e baltica.
E se lo dicono i nazionalisti dell’Istituto polacco, che, al pari dei loro colleghi ucraini, hanno fatto della “decomunistizzazione” la propria bandiera – poco dopo l’insediamento, nell’estate del 2016, Jaroslav Sharek aveva già stilato l’elenco di oltre 1.500 vie e piazze polacche che dovevano essere rinominate, insieme all’elenco dei monumenti, a ricordo dei soldati sovietici, da abbattere; aveva poi esortato alla creazione di una “nuova élite, non legata all’eredità postsovietica – ecco che vanno a farsi benedire le assicurazioni del direttore del corrispondente Istituto ucraino, Vladimir Vjatrovich, secondo cui le SS della divisione “Galizia” e le bande di OUN-UPA non avevano fatto altro che liberare l’Ucraina dai nazisti e difendere gli ebrei dagli hitleriani.
La verità è che, per la maggior parte, i nazisti lasciavano proprio ai loro Komplizen orientali il compito di spingere le vittime verso le camere a gas e incenerire i cadaveri.
A dire il vero, lo stesso Sharek, al momento della sua investitura da parte del Sejm, si era dovuto difendere dall’accusa di negare la partecipazione polacca al pogrom nazista contro gli ebrei di Jedwabne, nella regione di Belostok, allora in Bielorussia. Nonostante ciò, è stato lui che, ancora nel novembre scorso, ha dichiarato ufficialmente che Varsavia non può certo indicare a Kiev quali personaggi innalzare a propri eroi, ma nemmeno può tacere sui crimini dell’UPA contro i polacchi di Volinija e Polesia.
E’ chiaro d’altronde, aveva affermato Sharek, che Polonia e Ucraina possono essere unite dai nomi di altri “eroi”, quali Simon Petljura e Marko Bezruczko (che dal 1918 al 1944 combatté nelle file dei nazionalisti ucraini), “eroi” polacchi contro “l’invasione bolscevica” di Ucraina e Polonia. Possono identificarsi su temi quali il cosiddetto “Golodomor” in Ucraina e l’attività clandestina della chiesa cattolica, fino alle “imprese” degli attivisti anticomunisti degli anni ’70.
Tutti temi, ha detto Sharek, su cui Polonia e Ucraina possono unirsi. Ha forse dimenticato di aggiungere il comune sentimento filohitleriano che, ad esempio, il 26 gennaio del 1938, aveva portato alla stipula del patto Lipski-Neurath, secondo cui Germania e Polonia, già alleate dal 1934, si spartivano la Cecoslovacchia.
A proposito di spartizioni, si attende ora il pronunciamento di Sharek a proposito degli appetiti territoriali di Varsavia, Budapest e Bucarest su quanto resterà dell’Ucraina golpista.
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