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24/01/2018

Siria - La guerra turca contro i curdi "preoccupa" l'UE

“Sono molto preoccupata [per quanto accade ad Afrin] e discuteremo di questa situazione con i nostri interlocutori turchi”. Ad affermarlo è stata ieri la responsabile degli affari esteri dell’Unione Europea (Ue) Federica Mogherini. Le preoccupazioni espresse dall’Ue sono essenzialmente due: “Da un lato – ha spiegato lady Pesc – c’è la questione umanitaria. Dobbiamo assicurarci che l’accesso umanitario sia garantito e che i civili non soffrano per gli effetti delle attività militari sul campo”. “La seconda – ha aggiunto – è che l’offensiva può compromettere seriamente la ripresa degli incontri di Ginevra che riteniamo possano portare una pace sostenibile e la sicurezza in Siria”. Nel tentativo di calmare la tensione nel Rojava curdo (nord e nord est della Siria), altissima a causa dell’offensiva iniziata quattro giorni fa da Ankara, Mogherini ha poi espresso la sua speranza di incontrare “nei prossimi giorni” il rappresentante turco per gli affari europei Omer Celik a Bruxelles.
 
Ma ad Ankara, però, l’unica lingua che si parla è quella della guerra. Ieri il capo della delegazione turca alla Nato Berat Conkar lo ha ribadito senza mezzi termini: l’obiettivo dell’operazione “Ramo d’ulivo” è eliminare il “corridoio terroristico” del Pyd (partito curdo siriano) considerato dalle autorità turche nient’altro che la longa manus dei “terroristi” del Pkk (partito dei lavoratori del Kurdistan) in Siria. In una lettera inviato a Paolo Alli, il presidente dell’Assemblea parlamentare della Nato, Conkar ha collegato quanto sta avvenendo in questi giorni ad Afrin con l’operazione Scudo d‘Eufrate iniziata dalla Turchia nell’agosto del 2016 e ufficialmente dichiarata terminata da Ankara nel marzo 2017. Rivolgendosi a Scudo d’Eufrate Conkar, non a caso, usa il tempo presente: “L’offensiva ha come obiettivo quello di eliminare il corridoio terroristico che è stato creato ai nostri confini e porre finalmente termine all’oppressione delle organizzazioni terroristiche sul popolo della regione e restaurare la pace nell’area”.

Superfluo precisare che Ankara colpirà solo “elementi terroristici, i loro rifugi e le loro armi” mentre verrà data “tutta l’attenzione possibile ai civili affinché questi non vengano danneggiati”. Conkar è chiaro nella lettera ad Alli: “Mentre l’operazione Scudo d’Eufrate ha contribuito chiaramente alla sicurezza e alla stabilità della regione e ai Paesi dell’area, le posso garantire che con Ramo d’Ulivo ci impegneremo a garantire la sicurezza e la stabilità nel mondo”. Insomma, la Turchia è impegnata in una “guerra contro il terrorismo”. Parole per cui qualcuno nell’amministrazione passata americana di Bush junior potrebbe rivendicare diritti di copyright.

Di fronte alla debole (se non inesistente) posizione europea, Ankara fa sul serio. Il presidente turco Erdogan lo va dicendo da giorni: “Siamo determinati, [la situazione ad] Afrin sarà risolta – ha ripeto ieri – Non indietreggeremo. Ne abbiamo parlato con i nostri amici russi, abbiamo un accordo”. Il “Sultano” ha però voluto tranquillizzare tutti precisando come il suo Paese “non ha mire sui territori di altri stati”. Ankara può ostentare una certa serenità avendo dalla sua, oltre all’indifferenza complice russa, anche il pieno sostegno di Washington. Ieri, infatti, il Segretario alla difesa Jim Mattis ha detto che gli Usa erano stati avvisati delle intenzioni turche prima ancora che avesse avuto inizio l’offensiva “Ramoscello d’ulivo” e che la Turchia ha “preoccupazioni legittime sulla sicurezza” ai suoi confini.

A ribadire il sostegno di Washington all’offensiva turca contro i curdi del Rojava è stato ieri anche il Segretario di Stato Rex Tillerson: gli Usa, ha affermato, “riconoscono e apprezzano pienamente il diritto legittimo turco a proteggere i suoi cittadini dagli elementi terroristici che potrebbero lanciare attacchi contro il suolo turco dalla Siria” sottolineando poi come tra i due alleati della Nato i contatti siano “continui”. Tillerson, però, non ha spiegato perché quelli che ora chiama “elementi terroristici” (leggi PYd e Ypg) sono gli stessi gruppi con cui gli americani collaborano in chiave anti “Stato Islamico” (e, in misura non meno rilevante, anti governo siriano): le operazioni a Raqqa e nella provincia siriana di Deir Ezzor delle Fds, coperte dai bombardamenti a stelle e strisce, qualcuno le ricorda ancora alla Casa Bianca? Tillerson ha poi esortato “tutte le parti coinvolte” alla “moderazione” tornando a proporre la creazione di zone cuscinetto tra Rojava e Turchia.

Il Cremlino per ora si limita a “osservare con molta attenzione l’andamento delle operazioni”, anche se il ministro degli esteri Lavrov ha voluto ricordare come “il ruolo dei curdi dovrà essere garantito nel processo politico”. La posizione di Mosca è tuttavia per i curdi del Rojava un vero e proprio “tradimento”. A esprimere tutta la loro rabbia è stato ieri il comandante delle unità combattenti Ypg. Mosca, ha dichiarato Sipan Hemo all’agenzia curda Firat, si dovrebbe infatti “scusare” per aver abbandonato l’area controllata dai curdi alla Turchia e ai ribelli siriani. “Per due anni le forze russe sono state ad Afrin e hanno detto che avrebbero risolto certe questioni insieme ai curdi”. Hemo è un fiume di rabbia: “Hanno affermato ripetutamente che non c’è soluzione senza i curdi. Avevamo accordi con loro. Ma la Russia ha improvvisamente disatteso queste intese e ci ha tradito. Ci ha chiaramente venduti”.

Se l’Ue è “preoccupata”per quanto sta accadendo, è dall’Egitto – e dai paesi del Golfo – che viene la condanna dell’avanzata turca. Il Cairo parla esplicitamente di “violazione della sovranità” della Siria. Il riposizionamento geopolitico dell’asse sunnita mostra come la partita per la spartizione della Siria sia già in atto.

Mentre si contano i primi morti civili – 12 vittime nei conti dell’agenzia curda Anha, 54 i morti tra i combattenti (26 curdi) secondo l’Osservatorio siriano vicino all’opposizione al governo di Damascoieri sera si è riunito il Consiglio di sicurezza dell’Onu per valutare la crisi di Afrin dove le truppe corazzate turche, coadiuvate da circa 5 mila miliziani anti-Assad dell’Esercito siriano libero (Els), dopo aver conquistato le alture a ovest della città hanno iniziato l’avanzata verso Azaz (a nord di Aleppo) per impedire la formazione di un “corridoio del terrore” lungo la frontiera.

L’iniziativa dell’Onu sollecitata dal ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian è stata aspramente criticata dal presidente turco Erdogan che pretende di avere mano libera sul campo.

Fonte

Difficilissimo fare considerazioni di carattere "tecnico" sulla situazione. L'unica cosa che si può registrare – al netto dell'appoggio acritico di buona parte della sinistra alle mosse curde, così come l'esaltazione dei fasci più o meno travestiti da rossobruni ogni volta in cui un potere autoritario muova i corazzati per schiacciare oppositori di qualsiasi risma – è che i curdi stanno pagando dazio per essersi trovati in mezzo ad un ginepraio d'interessi in cui la solidità dei rapporti d'alleanza è estremamente labile e in cui, probabilmente, si mossi con una disinvoltura eccessiva.

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