“Sono molto preoccupata [per quanto accade ad Afrin] e discuteremo di
questa situazione con i nostri interlocutori turchi”. Ad affermarlo è
stata ieri la responsabile degli affari esteri dell’Unione Europea (Ue) Federica Mogherini. Le preoccupazioni espresse dall’Ue sono essenzialmente due: “Da un lato – ha spiegato lady Pesc – c’è la questione umanitaria.
Dobbiamo assicurarci che l’accesso umanitario sia garantito e che i
civili non soffrano per gli effetti delle attività militari sul campo”. “La seconda – ha aggiunto – è
che l’offensiva può compromettere seriamente la ripresa degli incontri
di Ginevra che riteniamo possano portare una pace sostenibile e la
sicurezza in Siria”. Nel tentativo di calmare la tensione nel
Rojava curdo (nord e nord est della Siria), altissima a causa
dell’offensiva iniziata quattro giorni fa da Ankara, Mogherini ha poi
espresso la sua speranza di incontrare “nei prossimi giorni” il
rappresentante turco per gli affari europei Omer Celik a Bruxelles.
Ma ad Ankara, però, l’unica lingua che si parla è quella della guerra. Ieri il
capo della delegazione turca alla Nato Berat Conkar lo ha ribadito
senza mezzi termini: l’obiettivo dell’operazione “Ramo d’ulivo” è
eliminare il “corridoio terroristico” del Pyd (partito curdo
siriano) considerato dalle autorità turche nient’altro che la longa
manus dei “terroristi” del Pkk (partito dei lavoratori del Kurdistan) in
Siria. In una lettera inviato a Paolo Alli, il presidente
dell’Assemblea parlamentare della Nato, Conkar ha collegato quanto sta
avvenendo in questi giorni ad Afrin con l’operazione Scudo d‘Eufrate
iniziata dalla Turchia nell’agosto del 2016 e ufficialmente dichiarata
terminata da Ankara nel marzo 2017. Rivolgendosi a Scudo d’Eufrate
Conkar, non a caso, usa il tempo presente: “L’offensiva ha come
obiettivo quello di eliminare il corridoio terroristico che è stato
creato ai nostri confini e porre finalmente termine all’oppressione delle
organizzazioni terroristiche sul popolo della regione e restaurare la
pace nell’area”.
Superfluo precisare che Ankara colpirà solo “elementi
terroristici, i loro rifugi e le loro armi” mentre verrà data “tutta
l’attenzione possibile ai civili affinché questi non vengano
danneggiati”. Conkar è chiaro nella lettera ad Alli:
“Mentre l’operazione Scudo d’Eufrate ha contribuito chiaramente alla
sicurezza e alla stabilità della regione e ai Paesi dell’area, le posso
garantire che con Ramo d’Ulivo ci impegneremo a garantire la sicurezza e
la stabilità nel mondo”. Insomma, la Turchia è impegnata in
una “guerra contro il terrorismo”. Parole per cui qualcuno
nell’amministrazione passata americana di Bush junior potrebbe
rivendicare diritti di copyright.
Di fronte alla debole (se non inesistente) posizione europea, Ankara fa sul serio. Il presidente turco Erdogan lo va dicendo da giorni: “Siamo determinati, [la situazione ad] Afrin sarà risolta
– ha ripeto ieri – Non indietreggeremo. Ne abbiamo parlato con i nostri
amici russi, abbiamo un accordo”. Il “Sultano” ha però voluto
tranquillizzare tutti precisando come il suo Paese “non ha mire sui
territori di altri stati”. Ankara può ostentare una certa
serenità avendo dalla sua, oltre all’indifferenza complice russa, anche
il pieno sostegno di Washington. Ieri, infatti, il Segretario
alla difesa Jim Mattis ha detto che gli Usa erano stati avvisati delle
intenzioni turche prima ancora che avesse avuto inizio l’offensiva
“Ramoscello d’ulivo” e che la Turchia ha “preoccupazioni legittime sulla
sicurezza” ai suoi confini.
A ribadire il sostegno di Washington all’offensiva turca
contro i curdi del Rojava è stato ieri anche il Segretario di Stato Rex
Tillerson: gli Usa, ha affermato, “riconoscono e apprezzano pienamente
il diritto legittimo turco a proteggere i suoi cittadini dagli elementi
terroristici che potrebbero lanciare attacchi contro il suolo turco
dalla Siria” sottolineando poi come tra i due alleati della
Nato i contatti siano “continui”. Tillerson, però, non ha spiegato
perché quelli che ora chiama “elementi terroristici” (leggi PYd e Ypg)
sono gli stessi gruppi con cui gli americani collaborano in chiave anti
“Stato Islamico” (e, in misura non meno rilevante, anti governo
siriano): le operazioni a Raqqa e nella provincia siriana di Deir Ezzor
delle Fds, coperte dai bombardamenti a stelle e strisce, qualcuno le
ricorda ancora alla Casa Bianca? Tillerson ha poi esortato
“tutte le parti coinvolte” alla “moderazione” tornando a proporre la
creazione di zone cuscinetto tra Rojava e Turchia.
Il Cremlino per ora si limita a “osservare con molta attenzione l’andamento delle operazioni”,
anche se il ministro degli esteri Lavrov ha voluto ricordare come “il
ruolo dei curdi dovrà essere garantito nel processo politico”. La posizione di Mosca è tuttavia per i curdi del Rojava un vero e proprio “tradimento”. A esprimere tutta la loro rabbia è stato ieri il comandante delle unità combattenti Ypg. Mosca, ha dichiarato Sipan Hemo
all’agenzia curda Firat, si dovrebbe infatti “scusare” per aver
abbandonato l’area controllata dai curdi alla Turchia e ai ribelli
siriani. “Per due anni le forze russe sono state ad Afrin e hanno detto
che avrebbero risolto certe questioni insieme ai curdi”. Hemo è un fiume
di rabbia: “Hanno affermato ripetutamente che non c’è soluzione
senza i curdi. Avevamo accordi con loro. Ma la Russia ha
improvvisamente disatteso queste intese e ci ha tradito. Ci ha
chiaramente venduti”.
Se l’Ue è “preoccupata”per quanto sta accadendo, è dall’Egitto – e
dai paesi del Golfo – che viene la condanna dell’avanzata turca. Il
Cairo parla esplicitamente di “violazione della sovranità” della Siria.
Il riposizionamento geopolitico dell’asse sunnita mostra come la partita
per la spartizione della Siria sia già in atto.
Mentre si contano i primi morti civili – 12 vittime nei conti
dell’agenzia curda Anha, 54 i morti tra i combattenti (26 curdi)
secondo l’Osservatorio siriano vicino all’opposizione al governo di
Damasco – ieri sera si è riunito il Consiglio di sicurezza dell’Onu per valutare la crisi di Afrin
dove le truppe corazzate turche, coadiuvate da circa 5 mila miliziani
anti-Assad dell’Esercito siriano libero (Els), dopo aver conquistato le
alture a ovest della città hanno iniziato l’avanzata verso Azaz
(a nord di Aleppo) per impedire la formazione di un “corridoio del
terrore” lungo la frontiera.
L’iniziativa dell’Onu sollecitata dal ministro degli Esteri francese
Jean-Yves Le Drian è stata aspramente criticata dal presidente turco
Erdogan che pretende di avere mano libera sul campo.
Fonte
Difficilissimo fare considerazioni di carattere "tecnico" sulla situazione. L'unica cosa che si può registrare – al netto dell'appoggio acritico di buona parte della sinistra alle mosse curde, così come l'esaltazione dei fasci più o meno travestiti da rossobruni ogni volta in cui un potere autoritario muova i corazzati per schiacciare oppositori di qualsiasi risma – è che i curdi stanno pagando dazio per essersi trovati in mezzo ad un ginepraio d'interessi in cui la solidità dei rapporti d'alleanza è estremamente labile e in cui, probabilmente, si mossi con una disinvoltura eccessiva.
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