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22/01/2018

Le idrovore insaziabili del sindacalismo complice. Il caso Bonanni

A Bonanni, evidentemente, non basta la superpensione d’oro di 336.000 euro all’anno, quasi il doppio del presidente USA e svariate volte più di quanto percepisca un qualsiasi capo di stato europeo o internazionale.

Un straordinario trattamento previdenziale concesso ai sindacalisti apicali, calcolato sull’ultima retribuzione gonfiata ad arte e reso possibile da un’incredibile legge del 1996.

Una legge che, guarda caso, venne approvata un anno dopo la Legge 335/1995 (Riforma Dini) che affossò le pensioni di anzianità, introdusse il famigerato calcolo contributivo e consegnò, di fatto, il sistema previdenziale nelle mani dei grandi gruppi assicurativi legati a doppio filo a Cgil, Cisl e Uil (Ras, Generali, Unipol, ecc).

Non è un caso se oggi l’ex segretario della Cisl svolga proprio l’attività di broker assicurativo. Un’attività che, di recente, si sta peraltro diffondendo a macchia d’olio, anche tra funzionari e delegati di quei sindacati, e che ora ha preso di mira anche il settore sanitario, con l’offerta di polizze convenzionate e l’inserimento nei contratti dell’adesione obbligatoria degli inconsapevoli lavoratori ai “fondi chiusi”, cogestiti da assicurazioni ed organizzazioni sindacali di comodo.

No, evidentemente, a Bonanni, non bastava la superpensione d’oro.

Ora si candida con Forza Italia, in un collegio sicuro, per diventare Senatore della Repubblica e percepire anche i lauti emolumenti previsti per la prestigiosa carica.

In un paese che ha la metà dei giovani disoccupati; milioni di lavoratori precari e sottopagati; i salari e gli stipendi più bassi d’Europa; quasi quattro morti al giorno sul posto di lavoro ed i pensionati che rovistano nei cassetti dell’immondizia, resta per me un fenomeno inspiegabile non tanto che si candidi alle elezioni un simile personaggio (in fondo abbiamo visto anche di peggio), quanto che ci siano ancora dei lavoratori iscritti a dei sindacati le cui sedi – in un qualsiasi paese europeo – sarebbero state chiuse a furor di popolo.

Ma attenzione, ciò che è ancora più grave è che non ci si renda conto abbastanza che la vicenda Bonanni come altre simili non sono altro che l’epifenomeno della trasformazione dei grandi apparati sindacali parastatali in strutture di supporto al grande capitale finanziario e speculativo. Queste vicende ci parlano di un sistema di porte girevoli tra politica, sindacato ed assicurazioni che, per consolidarsi, sta cercando in tutti modi di affossare la democrazia sindacale con il fine di impedire che la rabbia dei lavoratori trovi uno sbocco nelle iniziative del sindacalismo conflittuale.

La fase contrattuale che si è aperta da poco nel pubblico impiego purtroppo spinge proprio in questa direzione. È anche e soprattutto per queste ragioni e per questa grave emergenza democratica che non riguarda solo i lavoratori interessati dai nuovi contratti ma l’intera vita civile di questo paese, che la USB ha deciso di non firmare quei contratti e di avviare una grande battaglia in difesa della democrazia sindacale.

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