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17/01/2018

Siria - La Turchia pronta a colpire "l'esercito del terrore curdo-americano"

di Chiara Cruciati il Manifesto

Contro «l’esercito del terrore» la Turchia è pronta a lanciare un’operazione nel nord della Siria. Parola del presidente Recep Tayyip Erdogan, che ieri ha accusato gli Stati Uniti di voler armare 30mila uomini al confine in chiave anti-turca.

Quegli uomini sono le Forze Democratiche Siriane (Sdf), federazione di curdi, assiri, arabi, turkmeni, capace di liberare i territori occupati dall’Isis nel nord siriano. L’intervento nel corridoio di terre lungo la frontiera, la regione curda di Rojava, è in canna da tempo: l’esercito di Ankara è presente nel nord-ovest siriano da un anno e mezzo e ha già compiuto numerosi attacchi contro le Ypg curde, nel dichiarato obiettivo di evitare l’unificazione del cantone di Afrin (a ovest) con Kobane e Jazira (a est).

Ora la minaccia – già sventolata venerdì con l’ultimatum ai curdi a lasciare Afrin entro una settimana – trova terreno nell’annuncio della coalizione a guida Usa: si sta lavorando alla creazione di una specifica forza, «Esercito del Nord», che operi ai confini con Iraq e Turchia e lungo l’Eufrate, linea rossa unilateralmente dichiarata da Ankara.

Al momento sono 230 i combattenti (di diverse etnie e religioni) in fase di addestramento per impedire il ritorno dell’Isis, ha detto il portavoce della coalizione Dillon.

«Un paese che definiamo alleato insiste nel formare un esercito di terroristi ai nostri confini – ha tuonato Erdogan – La nostra missione lo strangolerà prima ancora che nasca». La controffensiva è pronta da tempo, conferma il presidente: l’assalto ad Afrin potrebbe partire in qualsiasi momento, aprendo dunque un altro fronte di conflitto interno che rimescola per l’ennesima volta il volatile sistema di alleanze nella guerra siriana.

Ankara non è la sola contraria alla mossa statunitense. Critiche arrivano anche da Mosca e Damasco, che definiscono la nascita della nuova forza uno strumento di partizione del paese. Gli Usa, da parte loro, sembrano muoversi come una banderuola: l’amministrazione Trump ha prima inviato armi alle Sdf e marines a sostegno dell’operazione su Raqqa, poi ha dichiarato di volerle ritirare e ora delinea nuovi piani che prevedono il loro pieno coinvolgimento.

Nelle stesse ore a Washington rappresentanti dell’Esercito Libero Siriano (l’opposizione a Damasco considerata per anni la sola moderata e legittima, ma da tempo assorbita dalle più potenti milizie islamiste operanti nell’ovest del paese) hanno incontrato funzionari Usa e chiesto la ripresa del programma della Cia di addestramento e armamento dei «ribelli».

Un programma fallimentare, costato un miliardo di dollari e chiuso in estate dopo la scoperta che molte armi Usa sono passate direttamente in mano a qaedisti e jihadisti. Era costato mezzo miliardo, invece, il programma del Pentagono che in tre anni riuscì a formare «quattro o cinque combattenti», come disse Lloyd Austin, capo del Comando centrale Usa.

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