Incontrai Viktor Anpilov per la prima volta il martedì o il mercoledì successivo alla sua scarcerazione da Lefortovo; era il 2 o il 3 marzo 1994. La Duma aveva accordato l’amnistia per i reclusi della tragedia dell’ottobre precedente, allorché i difensori del Palazzo dei soviet a Mosca avevano tentato di resistere, a costo di alcune centinaia di morti, all’assalto dei carri armati di Eltisn; così, i cancelli del carcere moscovita si erano aperti il 26 febbraio. Avevo telefonato per l’ennesima volta alla giovane e battagliera legale di Viktor Ivanovich, per avere notizie del suo assistito e lei mi rispose “Può parlarci direttamente: Viktor è a casa”.
Prima di allora lo avevo visto nelle numerose manifestazioni, alla testa dei cortei di Trudovaja Rossija e del Partito Comunista Operaio Russo; ma non avevo mai avuto occasione di incontrarlo direttamente. Anpilov mi ricevette nel suo modesto appartamento alla periferia della capitale e della lunga conversazione ne venne fuori una breve intervista per “il manifesto”. Ricordo soltanto che lui, certamente felice per la scarcerazione, si rammaricava del fatto che, con l’amnistia, la maggioranza eltsiniana alla Duma aveva di fatto posto una pietra tombale sull’inchiesta per il golpe filoyankee di Boris Eltsin e sul suo sciagurato ukaz di scioglimento del Soviet supremo, cui aveva tentato di opporsi anche il presidente della Corte costituzionale, Valerij Zorkin, costretto a dimettersi. Nello stesso tempo, il novello emissario di Washington posto alla presidenza della Russia, chiedeva a tutti di firmare una sorta di patto di pacificazione sociale, con regole dettate dallo stesso Eltsin, cui le forze più in vista dell’opposizione – PCFR di Gennadij Zjuganov, i nazionalisti di sinistra di Sergej Baburin, insieme alle “forze patriottiche” e lo stesso Zorkin – rispondevano con l’alleanza “Intesa per la Russia”, criticata dalle organizzazioni comuniste, tra cui Trudovaja Rossija e PCOR.
Dopo, avevo incontrato altre volte Viktor Anpilov, sia durante le manifestazioni e i cortei, fattisi più sporadici per la “pacificazione” eltsinanina, sia in assemblee organizzate anche in collaborazione ad altre forze della sinistra. L’ultima volta che lo sentii parlare in pubblico, fu nella primavera del 1996, durante la campagna presidenziale in cui Trudovaja Rossija aveva deciso di appoggiare la candidatura di Gennadij Zjuganov. In quell’occasione, mentre il segretario del PCFR chiamava a una certa moderazione, evocando l’immagine di un grosso bastimento (la Russia) che non può invertire la rotta di 180 gradi, così, d’improvviso, pena il ribaltamento dello scafo, Viktor Anpilov rispondeva che se l’intero l’equipaggio, come un sol uomo, esegue correttamente, a tempo giusto, gli ordini del comandante, la nave può virare senza timore di imbarcare acqua: Anpilov aveva fiducia nella possibilità, in quel momento forse ancora concreta, di deviare il paese dalla rotta del capitalismo.
Si sa – ormai nessuno, a ogni livello, si sogna più di negarlo – come le presidenziali del 1996 fossero state vinte da Zjuganov e solo i brogli (allora non si parlava di hacker elettronici) imbastiti da oltreoceano avessero assegnato la vittoria a Boris Eltsin. Lo stesso Zjuganov sembra avrebbe poi fatto poco o nulla per contestare il risultato, forse in nome della “pace sociale”.
Non ho più incontrato Viktor Anpilov. Le cronache parlano, oltre che delle divergenze sorte in seno al PCOR e che lo videro, prima in minoranza e poi espulso, di incontri coi “nazional-bolscevichi” di Eduard Limonov, di un certo avvicinamento, a metà degli anni 2000, al cartello dell’opposizione liberale (Kasparov, Kasjanov, Limonov, ecc.) “Un’altra Russia”, avvicinamento poi rientrato e, nel 2012, al LDPR di Vladimir Zhirinovskij. Al momento del malore, sembra si stesse recando a un incontro in sostegno del candidato del PCFR alle prossime presidenziali, Pavel Grudinin.
Come scriveva ieri il sito del PCOR, “pur con tutti suoi errori, Viktor Anpilov merita che lui e i suoi valori siano ricordati. E questi sono, prima di tutto, che egli, all’inizio degli anni ’90 risvegliò la coscienza di molti. Che egli lottò allora, in un momento in cui non c’erano ancora né il PCFR, né altre organizzazioni della sinistra-patriottica. E anche quelle parole sul pane per il popolo” – il giorno della scarcerazione, appena fuori dei cancelli di Lefortovo, Anpilov chiese se il prezzo del pane, in quei sei mesi di carcere, fosse diminuito; nel qual caso, disse, avrebbe significato che Eltsin aveva ragione – “anche quelle parole sul pane sono importanti; anche solo per il fatto che non ogni politico pensa alle cose evidenti, a ciò che preoccupa milioni di persone, il prezzo del pane”.
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